Punti di criticità


Gridare non è stata la classica cazzata da film horror visto e rivisto. Conosco i termini, quelli appropriati.

Io non sono una screaming queen del cazzo come Sally Hardesty e quello che vi apprestate a vedere non è Sonia Carelli che corre da un cubicolo all'altro di questo gabinetto con piastrelle antiscivolo certificate ISO 9001:2008 urlando e aprendo e richiudendosi alle spalle una porta per poi gridare più forte quando il morribondo Vincenzone di turno avrà distrutto anche questa porta e sgusciargli tra il fianco e il muro di piastrelle per infilarmi in un altro cubicolo e ripetere le operazioni.

Non ho preso fiato raccontandovelo. Nemmeno per pensarlo. Non hai tempo per prendere fiato!

Cosa faccio? Presto detto.

Mordo più forte il pugno e al primo colpo - ancora non troppo violento - contro la porta, mi spingo velocemente in avanti.

Guadagno l'angolo cieco a destra. Aderisco al muro, perfettamente. Tolgo la mano dalla bocca e faccio scendere il palmo in aderenza al muro. Dall'altra parte, libera da impedimenti, la mazza scende lungo la gamba.

Provo e riprovo, mentre lì fuori Vincenzone morribondo continua a colpire la porta. Provo a verificare che un bel colpo ruotato non incontri ostacoli. Niente: via libera.

Quello stronzo obeso ce ne metterà un po' di più, di tempo, a buttare giù questa, di porta. Ce ne metterà un bel po' di più: questa è di quelle antipanico, spesse, in metallo e plastica.

Non chiedetemi perché questa porta contravvenga le normali regole di antinfortunistica; dovreste essere abbastanza intelligenti da averlo capito. Le strutture psichiatriche hanno regole leggermente difformi dai normali ospedali e dalle comuni case di cura: qui ci sono persone non equilibrate sotto nostra assoluta e stretta responsabilità.

Si da il caso che, da regolamento, dobbiamo essere sempre noi, dall'esterno, a intervenire. Tecnicamente non è intelligente lasciare a persone disturbate la facoltà di aprire o no una porta per sfuggire dal o nel fuoco. Questo aiuta molto, in casi di emergenze come tentati suicidi, aggressioni, crisi epilettiche da sovradosaggio, scompensi. Questo aiuta molto di meno quando chi bussa energicamente a pugni e calci fuori dalla porta, per il solo compulsivo e irrefrenabile desiderio di divorarti le viscere, sta bussando e colpendo proprio nel verso giusto.

Fossimo in una normale struttura pubblica, saprei di avere ancora un paio di minuti di respiro e vita serena. Purtroppo siamo in una residenza Dopo di Noi, precisamente a Villa Sole. E qui le porte degli ambienti non comuni si aprono tutte e solo verso l'interno: ho qualcosa come trenta secondi per prepararmi a rendere l'anima a un dio in cui non credo o farmi venire una brillante idea.

Quando stamattina le urla di Vincenzone ci hanno risvegliati la prima volta, l'orologio batteva le sei e dieci circa.

E' da un po' che io e Marco scopiamo serenamente in medicheria. C'è una coppia di barelle, che evitiamo di giustapporre perché non sono componibili, una poltroncina e un lettino da spiaggia ben nascosto nel piccolo sgabuzzino dei prodotti per l'igiene delle superfici.

Ci si scopa discretamente, su queste superfici.

Sulla barella, fidatevi, soprattutto quella cosiddetta a cucchiaio, certificazione ISO 9001:2008 per il trasporto di politraumatizzati con sospetto interessamento della colonna vertebrale ci si scopa da dio ed è pure bella eccitante come cosa. Dondola se ci si sa muovere. E i rumori in questo posto non sono mai stati davvero un problema, quando i pazienti dormono beati e sedati.

Sulle altre superfici si dorme decisamente peggio. La barella va bene per mezz'ora. Quindi io e Marco scopiamo un po' dove e come viene, poi tiriamo fuori il lettino da spiaggia e ci corichiamo lì.

Porte esterne chiuse a chiave, grate chiuse a chiave, a turni di ogni due ore ci diamo il cambio.

Non è servito il risveglio di Marco, nemmeno un grido emergenza. Era sveglio, non siate malpensanti. Semplicemente, vi sfido con il sonno leggero che ci abituiamo ad avere tutti noi paramedici da turno di notte, a non sobbalzare preoccupati all'urlo di Vincenzone.

"Le trombe hanno suonato! E' arrivato il Papa pazzo! Non si muore più!"

Solo il tempo di mettermi seduta e stropicciare gli occhi che mi sono trovato Marco sulla porta che mi fa: "Sonia, quello sta dando di matto lì su.".

Inforco i ciabattoni per nulla sexy in gomma antistatica e antisettica.

Mi avvolgo nel plaid che uso come coperta – il riscaldamento entra in funzione alle seietrenta per assicurare, col massimo del risparmio, un ambiente confortevole a tutti gli ospiti durante la fase del risveglio.

Agguanto gli occhiali di sicurezza e li inforco.

Salgo i gradini lentamente. Non ho preso il caffè. Sono in piedi da tre minuti e le urla di Vincenzone non smettono di rimbalzare tra le mura. Sono in piedi da tre minuti e non ho nemmeno avuto lo stomaco oltre che la testa di sorridere a Marco. Sono in piedi da tre minuti e sono le sei praticamente e dieci ed io non dovrei adesso essere stata catapultata giù dalla brandina per gestire le crisi mistiche di quell'enorme omone.

No, certo. Il tutto, se non avessi scelto di fare l'infermiera e non avessi accettato, senza starci a pensare, il contratto di lavoro offerto dalla clinica presso cui ero stata tirocinante.

Sono in piedi da quattro minuti e un minuto di grida belluine di quella sottospecie di sedicente cugino di primo grado di Gesù – ma a sua detta molto più bravo – hanno risvegliato e piombato nel panico tutto il primo piano.

Tutto, tranne la signora Linda Buozzi, suite numero quattro, che tecnicamente non fa un fiato perché è all'altro mondo.

Così penso, mentre con le chiavi faccio scattare la serratura della porta di sicurezza al piano delle stanze e percepisco, di colpo, il frastuono che cinque pazzerelli – disabili psichici come abbiamo disposizione di chiamarli – riescono a produrre quando qualcosa li sveglia col quarto storto, esplodere in tutto il suo insopportabile clangore.

"Puttana della madonna che mattino di merda!"

No questa non sono io; la bestemmiatrice incallita è Marina, suite numero uno, la sociopatica.

"Ma guarda tu se uno stronzo di bifolco deve svegliarci così... sì, sì non moriamo più Vincenzone di 'sto cazzo! Non si muore più! Finché non riesco a metterti le mani addosso!"

E poi c'è la voce gracchiante di quel mongoloide di Alberto.

"Sonia, Sonia..." e i suoi ansimi, non appena mi sente cercare di tranquillizzarli ad alta voce. Lo sa che sono qui, il bastardello. Lo sa! E non perde un attimo per prodursi in quel suo solito, stancante rituale della sega mattutina in mio onore.

"Entra Sonia, vieni a vedere il pisellone!" – sì gli articoli ce li aggiungo io, non parla così bene.

Poi c'è Donato, c'è Enza. Strepitano tutti. Strepita pure Riccardo, con la sua voce stridula da vecchio rincoglionito.

Mi fermo un attimo. Credo sia il caso di tornare giù.

I colpi che sento provenire dalla suite numero tre, quella di Vincenzone, non mi dicono niente di buono. Il ciccione si è scompensato. Non so cosa stia colpendo, ma non accenna a fermarsi. Continua a pontificare del papa pazzo – credo sia lui – continua a sferrare pugni e calci ovunque.

Deve aver rovesciato la branda, lo fa sempre quando non si presta ascolto a quella che lui chiama la sua parola. Con la P maiuscola. Vincenzone comincia a colpire la porta.

I pugni e i calci li sento distintamente adesso. Cazzo, vibrano le pareti. Se si scompensa al piano, sono cazzi. Abbiamo un protocollo d'intervento molto chiaro e preciso per questi casi. Cose che, tecnicamente, voi non vorreste nemmeno sapere. Cose che ci tengono al riparo, ci permettono di lavorare in sicurezza.

Comincio ad aprire le porte. Comincio dalla suite cinque e afferro Riccardo, l'anziano smemorato, per il polso. Lo tiro via dalla camera con fare spiccio.

"Dai, Riccardo, dai... le pantofole gliele porto giù io, adesso, ok?" Credo non si ricordi nemmeno dove sono.

Poi apro la suite di Enza, l'ultima a destra. Enza sa già cosa sta succedendo. Enza è depressa, non stupida. Enza quel che succederà a breve non lo vuole vedere. Ci sono persone così lucide nel loro modo di soffrire che non hanno bisogno di parole. Enza corre via.

Come Marina, appena le apro la porta. Mi fissa, prima di sparire lungo le scale.

"Guarda, credimi, non sai cosa pagherei per darti una mano... stavo sognando di farmi, cazzo..."

La guardo severa.

"Credo che lo psichiatra sarà contento di sapere che non sei riuscita a goderti il viaggio..."

Non riesco a essere tollerante con quella testa di cazzo di Marina. La detesto. Finta, stucchevole, come tutte le sociopatiche: bambine viziate in cerca di attenzione. E' la volta di Alberto, che continua a sventolare quel coso in mano senza smettere di urlare il mio nome. Resta basito quando entro: è la prima volta che glielo guardo. Non posso fare diversamente.

Per chi se lo stia chiedendo: niente di diverso da una persona con i cromosomi a posto, nel menarselo. Sgrana gli occhi.

"Al' finisci dopo, ok? Adesso fila giù oppure resta qui e magari la puntura ci scappa anche a te... forza!"

Alberto si rinforca i pantaloni del pigiama alla bell'e 'meglio. Dell'alzabandiera gli frega poco; vuole solo scansarsi una bella dose equina di calmanti. Lo vedo corrermi davanti mentre faccio uscire Donato e gli indico la strada, mentre richiudo la porta alle mie spalle e mi volto per essere sicura di serrare la chiave.

Un botto, violentissimo.

Sobbalzo sconvolta. Vorrei vedere voi con una porta che finisce proiettata sulla parete opposta, smontata dai cardini.

Vincenzone si lancia fuori, verso la suite quattro, dove giace cadavere la signora Buozzi.

Che si fotta lui e la sua maledettissima mistica del guaritore miracoloso: gli sparo un narcolettico triplo e vediamo come la prende!

Si avventa contro la porta davanti alla sua camera. Prova ad aprirla. Ci si poggia contro, spinge.

Io corro giù. Corro giù a preparare il boccione di aloperidolo. Marco è sconvolto, cerca di gestire gli ospiti, i pazienti, i cinque pazzi rimasti.

"Andate nella stanza della televisione e metti su qualcosa... attacca Rai yo-yo, male non gli fa..."

"Sonia, sicuro che non vuoi che..."

"No, sta qui, resta con loro, se quello vede una divisa...".

Sì, tecnicamente è così: è sempre bene non far vedere divise o cose del genere a una persona in evidente scompenso psichiatrico. Meglio dire questo a Marco e non:

"Resta giù caro, non vorrei ti sparassi su un piede...".

Preparo la boccia velocemente, infilo la siringa in tasca, tolgo il cappuccio.

In questo momento non so chi ringraziare, non so perché; chiamatela una voce. Qualcuno o qualcosa mi ha sussurrato: "Ricordi la mazza da baseball che tenete sempre nella portineria? Prendila, magari ti serve...". Era l'attimo prima che rinforcassi le scale armata solo di una siringa all'aloperidolo.




** Nota dell'autore: Inutile ricordarvi che noi autori artigiani abbiamo un solo modo per far conoscere in giro le nostre storie. Il passaparola dei lettori che hanno amato le nostre parole è uno dei migliori. Qui su Wattpad ti basta inserire questa storia in elenco lettura - credo poi che se ti piace quel che hai letto, la cosa dovrebbe anche tornarti utile :)

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Buona lettura e grazie comunque di essere passato.

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