Ed eccoci qui, finalmente, vero? Non vedevate l'ora...
Già: azione.
È così che avreste il coraggio di chiamarla questa parte della storia fino ad ora. Cioè gli ultimi venti minuti della mia vita vissuta, forse gli ultimi in assoluto.
Comodi voi a gustarvi la novelette in poltrona o sul cesso o seduti in treno. Comodi, prego, continuate!
A me tocca riprendere da dove eravamo e quindi da Sonia Carelli, la sottoscritta, che con una siringa carica di aloperidolo nella tasca sinistra del camice e nella destra una mazza da baseball si accinge a varcare la porta che si apre sugli ambienti notte del primo piano di questa clinica per gestire l'emergenza di una crisi di scompenso psichiatrico aggravata da pantoclastia.
La pantoclastia è la condizione tipica dei pazzerelli che scoppiano e spaccano tutto quel che trovano a tiro – lo dico per voi che certi termini non siete obbligati a impararli.
No, forse preferireste parlare di quel che sta succedendo a Sonia Carelli, sempre io, pochi minuti dopo, con il cadavere rimorto – spero definitivamente – della signora Linda Buozzi in terra, la testa sfasciata, sangue e purea celebrale ovunque sulle mattonelle celestine di questo bagno per disabili.
E con Vincenzone che bussa poco educatamente alla porta sebbene...
Ecco, appunto, cominciamo da questo sebbene.
Quando arrivo alla porta del corridoio, io Vincenzone non lo vedo. Vedo la sua ombra e la gamba sinistra scomparire nella suite numero quattro, in fondo al corridoio.
E ricomincia con la solfa. Peggio. Molto peggio. Stavolta grida impazzito.
"Ecco, è stata fatta la volontà di Dio... Cristorrè mi ha ascoltato! È viva, è viva...".
Poi lo sento fare trambusto.
Gridare.
Sento il rumore di cose rovesciate. Grida, scalpita... No, cazzo, no... deve aver buttato giù la signora Buozzi da quella specie di catafalco. Non grida, rantola. Rantola e continua a dibattersi.
Vuoi vedere che si ricompensa da solo rendendosi conto che la vecchia è ancora morta?
Vuoi mai che nel pianto e nei singhiozzi e nei rantoli si calma e non devo tirare fuori l'aloperidolo. O peggio, non devo usare la mazza per difendermi?
Bello. Quanto sarebbe stato bello se fosse andata proprio così, con Vincenzone che accasciato in terra accanto al cadavere freddo e rigido della signora Buozzi mi avesse detto: "Sonia, non è vero, non sono riuscito a sconfiggere la morte. Miracoli non ne faccio".
Sarebbe stato fantastico.
Perché questo vuol dire che adesso la porta non cederebbe di schianto, mandando entrambi i battenti a colpire le pareti accanto. Già. Soprattutto Vincenzone non farebbe irruzione in questo bagno per disabili fiutando l'aria e cercando la fonte di quell'urlo che prima l'ha attirato.
Il mio urlo.
In tutto e per tutto simile a quello che devo aver lanciato qualche minuto fa entrando nella suite numero quattro, con la destra che abbandonava diritta la mazza da baseball proprio dietro l'ingresso e poi andava a infilarsi comoda nella tasca sinistra, dissimulando braccia conserte proprio sulla pancia.
Avrei voluto vedere voi, rimanere calmi e impassibili davanti a quello spettacolo.
Vincenzone carponi sul pavimento, proprio pochi passi dopo l'ingresso della stanza, piedi alla porta e testa verso il letto della signora Buozzi.
Sangue per terra, tutt'intorno alla testa, come una di quelle vignette dei fumetti, quelle in cui pensi e tutto sembra una nuvola con contorni da pecorella disegnata alle elementari. Solo d'un rosso bruno, sul pavimento finto parquet in ceramica.
Agli incidenti ci sono abituata. Ai morti in piedi o gattoni su altri morti, che li sbranano e ne mangiano le carni strappandole a morsi, un po' meno.
A questi ultimi forse sarebbe meglio dire per niente.
L'urlo è venuto fuori incontrollato. Rauco, proprio dalla bocca dello stomaco, mentre trattenevo a stento i conati.
Ho visto la testa della vecchia sollevarsi. Ho visto i suoi occhi vitrei, grigi, inespressivi, la condensa dell'appannamento funebre dietro il bulbo. Carnagione pallida, diafana, la benda che le fasciava il mento caduta sul petto come una curiosa collana. Mi ha fissata, mi ha visto gridare. Almeno, mi ha puntato gli occhi contro, scuotendosi dal banchetto rivoltante e alzando la testa di scatto.
Mi ha fissata, non so dire cosa o se mi abbia visto.
Ma s'è alzata con una rapidità che non ricordavo possedesse. Non lo so con quanta agilità abbia superato il corpo di Vincenzone che ingombrava la stanza.
Io sono fuggita fuori.
Ci ho provato, cercando di non dimenticare la mazza poggiata all'ingresso. L'ho mancata; la sinistra non è tecnicamente la mia mano migliore.
Sono inciampata. E tutto si è fatto confuso.
Sono scivolata a terra, la mazza solo un po' più in là. Un rantolo rauco alle mie spalle: la troia morribonda mi è arrivata addosso. Fa nulla se la chiamo morribonda riferendomi a un momento in cui quel nome non era ancora coniato, vero? Ci capiamo, ormai, noi.
Il verso catarrale di quella vecchia chiariva il suo arrivo alle mie spalle. Era in orario, verrebbe da dire. In realtà lì per terra, ho vissuto con ansia quel suo evidente anticipo. Cazzo io ero ancora in terra.
Che è successo?
Facile: poggio i palmi a terra con tutta la forza che riesco a trovare dentro. Faccio presa, in aderenza. Mi isso sulle braccia cercando di far scivolare le ginocchia a reggermi. Mi viene bene davvero e riesco anche a piazzare il piede destro a terra. Non me lo dico subito ma mi rendo conto che quella faccenda sulle capacità che abbiamo nascoste dentro, cavoli, è vera.
Sono in piedi.
Aggancio l'impugnatura della mazza con la sinistra. Mi metto in piedi con poco equilibrio, giusto il tempo di vedere l'arma rotolare lontana. Un passo avanti, scomposto. Poggio meglio i piedi, mi allungo quel tanto che basta per acciuffarla bene.
E ce l'ho dietro, quella schifosissima vecchia ce l'ho dietro, cazzo.
Non mi volto, perderei tempo.
Poi non serve voltarmi: ho visto quel che mi serviva, m'è bastato quello che porto stampato sulle retine: quei due occhi spettrali, raggelanti.
Cazzo voglio solo scappare, non voglio guardarla, non voglio perdere un minuto di più. Inforco rapida la porta del bagno, corro verso la finestra e realizzo solo ora che, fisicamente sì, è vero, abbiamo sempre delle grandissime doti nascoste. Ma è bene sempre non dimenticare che per tutto quel che ha a che fare con la sfera del pensiero più che della azione, la legge di Murphy è sempre in agguato.
E se qualcosa potrebbe andare male, andrà sicuramente peggio. Un esempio? Che senso ha infilarsi in uno qualsiasi degli ambienti al primo piano, tutti come già vi ho spiegato, dotati di grate in acciaio alle finestre governate da chiavi che non ho al momento a disposizione quando potevo fare solo cinque metri di più e chiudermi dietro le spalle il cadavere semovente di quella vecchia schifosa?
Non ve lo so dire esattamente. Ma è più o meno quello che pensavo mentre mi sono voltata nella malcelata speranza che dietro di me ci fosse ancora spazio praticabile, per tentare una fuga proprio verso quel dorato proposito: porta di sicurezza chiusa, piano terra, Marco, la sua pistola, il telefono, la mia auto, la fuga.
No, alle mie spalle non c'è spazio: solo la salma rianimata della signora Buozzi, trasformata, non si sa da chi o da cosa, in un pericoloso, osceno morribondo, che punta grugnendo e sbavando sangue verso di me.
Fa schifo, cazzo se fa schifo, vista così.
Viene meglio la parola ribrezzo, credo.
Ha il mento e le guance impastate di sangue. Ha sangue sul vestito, sulla camicetta bianca sotto la giacchina del tailleur. La garza le si muove scomposta sul petto, sotto la collana di perle che le avevo messo la sera prima.
Avanza, anche abbastanza rapidamente.
Sembra quasi l'artrite reumatoide alle ginocchia non le impedisca più i movimenti o quantomeno non la costringa a procedere con lentezza. Rapida nel suo ciabattare m'è quasi addosso.
Tende le mani ossute, coperte del sangue di Vincenzone, verso di me. Non mi viene istintivo colpirla; una schivata è quella che sembra scattare in automatico cercando la via migliore per divincolarmi dal suo incedere.
Allontano le mani con la mazza ma è più lesta, parecchio più lesta. Serra sul polso sinistro. Non avrei mai creduto avesse tutta questa forza, eppure mi tiene ferma, mi tira indietro, così forte da rischiare di farmi perdere l'equilibrio.
Da dove la tiri fuori tutta questa energia non lo so.
So solo che faccio resistenza e per una volta la sorte arride a me, almeno. La mano scivolosa di sangue perde la presa. La sento rapida agguantarmi la codetta del camice.
Mi tira ancora.
Questa volta non ci penso, nemmeno per un attimo. E' un momento solo, mi giro: l'impugnatura salda nella destra, la testa avvolta per metà dalla sinistra. Colpisco così, con forza, un bel colpo secco proprio al lato della faccia.
Vedo la vecchia spostarsi di botto, la testa cede di lato e si piega. Tutto torna normale in qualche secondo.
Sono stata davvero così stupida da pensare sarebbe bastato?
Lo dicono anche al cinema, cazzo: "Tutto troppo facile!".
È in quel momento che capisco che non ne uscirò viva, se continuo a metterla così educatamente la faccenda. Mi piazzo davanti a lei, indietreggiando quel tanto che mi basta a tenerla a distanza e creare lo spazio giusto per colpirla con la maggior efficacia.
Qualche passo ancora, più rapidi dei suoi, quasi saltellando.
Faccio un respiro profondo, sposto la sinistra a rafforzare la presa sul manico, un saltello ancora.
Poi la colpisco.
Carico poco dietro la schiena e le schianto un colpo ben assestato sulla testa. Resta in piedi al primo colpo. Non accusa cedimenti, se non la sbandata prepotente che la scuote mentre la centro.
Torno a pestare, un altro bel colpo assestato, tra temporale e frontale.
Uno ancora e poi un altro.
Sangue, sangue sulle lenti di plastica degli occhiali di sicurezza. Il parietale è andato in frantumi. Il parietale superiore, che la vecchia è anche un po' più bassa di me.
Non è il primo colpo ad averla ferita, quello che la fa caracollare a terra, ma il secondo, quello che le sfonda il cranio.
Si affloscia sulle ginocchia, come un automa cui abbiano staccato le batterie. Crolla al suolo scomposta, terminando una piroetta su se stessa. Tragica, disordinata, collant scuri smagliati, tacco destro, basso, scollato.
Non so perché, ma resto lì ferma, fisso il cadavere.
Chiudo la porta alle mie spalle, con un'inconcepibile delicatezza. Mi ci appoggio. È rassicurante il contatto con quella barriera che tiene fuori il mondo.
La stessa che Vincenzone, qui, ora, ha fatto esplodere sotto la furia dei suoi pugni e calci.
Sono dietro al muro: con questo bestione non sarà così facile.
**Nota dell'autore: Inutile ricordarvi che noi autori artigiani abbiamo un solo modo per far conoscere in giro le nostre storie. Il passaparola dei lettori che hanno amato le nostre parole è uno dei migliori. Qui su Wattpad ti basta inserire questa storia in elenco lettura - credo poi che se ti piace quel che hai letto, la cosa dovrebbe anche tornarti utile :)
Oltre a questo, potresti pensare di lasciar una stellina qui sotto... Quella ci aiuta a restare alti in classifica
Se però hai davvero voglia di fare qualcosa di grande, il top sarebbe lasciarmi un commento. Non perchè mi piaccia sentirmi dire "Bravo!"... ma perchè se quel commento è una tua riflessione su quello che hai letto, su un particolare che ti ha colpito, su qualcosa che secondo te andrebbe cambiato... le mie storie future faranno tesoro anche di questo e non potranno che dirti grazie.
Buona lettura e grazie comunque di essere passato.
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