Capitolo 93

La sua schiena era tesa come un corda di violino, lo spintone di Damon gli aveva fatto prendere proprio una bella botta.
Percepiva una sensazione di umido dietro la schiena e piccole gocce gli picchiettavano sul viso ad intervalli regolari.
"Neanche il tempo di asciugarmi dall'acqua di lago... ora ci mancava pure la pioggia" disse fra sé e sé.
Doveva essere caduto dall'alto, visto che si ritrovava steso e dolorante per la seconda volta. Il ragazzo si mise a sedere e roteò le spalle per cercare di sciogliere i muscoli contratti. Si guardò intorno, solo ora si era reso conto di essere da solo.
"Non di nuovo" mugolò sconsolato.

Riconobbe quella strada che gli era rimasta impressa nella mente: pietra grezza, ciuffi d'erba tra le crepe del terreno, di un grigio spento e sporco. Era di nuovo a Londra. Durante il Natale del 1847, come indicava la data scritta su di un foglio di giornale abbandonato all'angolo della strada.
Non c'era nessuno in giro, eppure la città era illuminata a festa, con luci colorate ed alberi agghindati in rosso e oro.
Quando pensi a Londra, pensi alla pioggia. Da quel punto di vista non era cambiato niente a distanza di decenni, pensò Adam.
Sperò persino di rivedere la stessa donna che l'ultima volta l'aveva accompagnato, ma anche di lei nessuna traccia.
"E secondo voi io dovrei ricordarmi la strada?" Chiese a nessuno in particolare. E subito dopo si rese conto di quanto sarebbe sembrato ridicolo se qualcuno lo avesse visto parlare da solo.

Come in risposta al suo pensiero, una lieve risata, accompagnata da uno scricchiolio, lo mise sull'attenti. Proveniva dalle sue spalle, ma Adam era rimasto paralizzato. Poco a poco le luci si spensero, una dopo l'altra le finestre delle case divennero scure vetrate inermi.
Sentiva dei lievi passi dirigersi verso di lui. Un brivido gli attraversò la schiena, ma non a causa della pioggia che continuava a gocciolargli addosso.
Subito una piccola mano gli si posò su di una spalla e sentì il freddo bacio di una lama accarezzargli il collo. Perché non era scappato? Perché non si era voltato? Perché anche ora non riusciva a reagire?
'È la fine, morirò senza essere ricordato da nessuno' pensò.
Poi però un ricordo riaffiorò nella sua mente. Non era solo, non era inerme. Era il padrone dell'aria.
Chiuse gli occhi e si rilassò, per quanto possibile con una lama puntata alla gola. Il familiare formicolio si fece strada lungo le sue braccia, sino ai palmi delle mani, e poi si espanse a tutto il corpo.

D'improvviso si sentì leggero e... incorporeo, come se nulla potesse più ostacolare un qualunque suo movimento. Era sparito persino il dolore alla base del collo. Con uno slancio fece un passo all'indietro e nemmeno il corpo della figura che lo aveva preso alle spalle lo bloccò. Gli passò attraverso, come un fantasma.
Poi, con uno strappo secco, sentì il suo corpo riprendere consistenza e i suoi piedi ben piantati sul pavimento.
Si trovava di fronte ad una figura minuta, coperta da un lungo mantello nero che la nascondeva fino alla testa. Questa si voltò lentamente: con tutta quell'oscurità non si riusciva a vedere bene il suo volto, anche se Adam in fondo sapeva chi era. Era sicuro che l'avrebbe incontrata di nuovo.
"Elena, dove hai portato i miei amici?" Disse con voce ferma.
"In un posto sicuro. Credo che si stiano divertendo molto" esclamò con la sua voce sottile, per poi scoppiare in una risata da far gelare il sangue nella vene.
Uno scintillio attraversò i suoi occhi, indentici a quelli di Jo.

"Staranno morendo dalle risate. Si, proprio morendo"

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