Capitolo 84
L'aveva scritto lui.
Aveva l'abitudine di scrivere con la matita, e poi di ripassare con la penna, cercando di cancellare i segni della matita sperando che nessuno se ne accorgesse.
Sapeva che la matita si poteva cancellare, mentre la penna no, una volta scritto, non poteva più essere cancellato.
Scriveva la sua vita a matita, perché di quella non era mai sicuro, non era sicuro nemmeno di stare vivendo.
Ma quell' 'Addio' no, non lo scrisse in matita, ma subito in penna.
Di quell'addio si, per una volta era sicuro, sapeva che non si sarebbe più potuto cancellare, sapeva che una volta scritto, che una volta detto, sarebbe stato per sempre.
Scoppiai a piangere, il giorno dopo sui giornali, c'era un articolo che parlava di un ragazzo che si era tolto la vita: era lui.
Si era suicidato lì, nel nostro piccolo nascondiglio segreto, proprio perché serviva per nascondersi dal mondo.
Si era buttato giù da quella scogliera, dove guardavamo il tramonto insieme, e i gabbiani che volavano.
Il suo corpo non fu mai ritrovato, solo la sua felpa arancione, che indosso ancora oggi, per sentire il suo profumo.
Lui era perfetto, io l'amavo più di quanto amo me stessa, e lo amo ancora, e si, ora glielo voglio dire " tu sei perfetto" "io ti amo, e ti amerò per sempre" lo urlavo sempre al cielo mentre mi trovavo lì, nel nostro piccolo posto segreto.
Così chissà, magari un giorno mi avrebbe sentito, ormai di lui mi rimaneva solo un ricordo, il ricordo di quegli occhi azzurri, che pur essendo di ghiaccio erano riusciti a sciogliermi il cuore, il ricordo di quel sorriso, del suo sorriso unico al mondo, il ricordo di quelle braccia, che quando mi abbracciavano mi facevano sentire a casa.
Ormai era tutto solo un ricordo, un ricordo indelebile nella mia mente, che nemmeno il passare del tempo sarebbe mai riuscito a cancellare.
E nessuna cosa, nessuna persona al mondo, sarebbe mai riuscita a colmare il vuoto che lui aveva lasciato dentro di me.
Continuai a tornare lì in quel posto tutti i giorni, e poi tornavo a casa prendendo quel treno delle 6 e tre quarti, e mi sedevo sempre in quel posto dove sedeva lui il giorno in cui l'ho conosciuto...
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"Da quel giorno, mi riproposi che non avrei mai dato nulla per scontato. Che anche la cosa che può sembrarmi più stupida e inutile, ha il diritto di essere detta o fatta. E forse è proprio per quello che ti ammiro tanto, Romeo. Tu hai avuto il coraggio, il coraggio di amare nonostante tutto, il coraggio di urlare i tuoi sentimenti di fronte alle vostre famiglie, il coraggio di andare avanti nonostante le avversità. Tutte cose che io non ho fatto, tutte cose che lo hanno portato via da me..."
Il suo racconto si concluse così, perché quello che Ashleigh intendeva con 'questa storia' non era di certo il viaggio assurdo che stava vivendo, bensì quell'anno che aveva segnato per sempre la sua vita.
"Come si chiamava?" La voce di Romeo rimbombò nella stanza.
"Dylan, si chiamava Dylan"
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