Capitolo 50
Un piede davanti all'altro, punta contro tallone, sempre più veloce. Correva, volava quasi, tremava, vestiti fradici sulla pelle.
Gocce di pioggia si impigliavano fra i suoi capelli, cadevano dal cielo singhiozzando con un breve ciack. Sbattè le ciglia appesantite dalla pioggia o dalle lacrime, ormai non lo sapeva più.
Era un pianto che liberava, un pianto che veniva da dentro.
Inspirava, espirava, era sempre più affannata mentre fuggiva, fuggiva lontano, in un posto sconosciuto anche per lei.
Lasciò che l'odore di terra umida le si appiccicasse addosso, così come il fango smosso dai suoi piedi.
Veloce, sempre più veloce, sempre più...barcollò, cadde.
Si arrese, rimase sdraiata sull'erba, così verde, così brillante.
Prese forza e si girò sulla schiena.
Il temporale la colpiva in viso, celando le sue emozioni.
Alzò lo sguardo, sotto al cielo vide delle foglie, foglie d'autunno, rosse e arancioni.
Una di essa cadde e si depositò sul suo ventre. Si mise seduta per toccarla con mano e vide che non era più nel bosco.
Era in un grande prato, vasto e reso indefinito dalla nebbia che era scesa a coprirlo.
Era sotto un grande acero, probabilmente appartenente all'enorme casa vittoriana che aveva di fronte.
Grigia e bianca, assi di legno arricchite da intagli decorativi, ampie finestre chiuse, porta d'ingresso spalancata. Gradini frantumati e tegole precipitate dal tetto non facevano che confermarne l'abbandono di cui la casa era in balia.
Non l'aveva mai vista, eppure...eppure era così familiare.
Incuriosita si sorresse alla corteccia scivolosa dell'imponente pianta che le faceva da rifugio e, mentre fece leva per alzarsi in piedi, qualcosa la fece risedere di scatto.
Gli occhi si sgranarono, la bocca si socchiuse per lo stupore.
Una pozzanghera. Davanti a lei c'era una pozzanghera. Una di quelle così cristalline da parere uno specchio. Su di essa, deformata dal movimento della superficie che si increspava per far spazio a nuove gocce d'acqua, un riflesso.
Non il suo. Quello di suo fratello. Riconobbe i magnifici occhi verdi e la zazzera di capelli scuri sulla sua fronte. Sorrise e, quando riaprì gli occhi, la vista cambiò. Ora stava guardando una ragazza.
Il suo sguardo si spostò e si incrociò al suo. Il suo cuore si fermò.
Era incredibilmente simile a lei, avrebbe detto uguale se... se non fosse stato per un piccolissimo particolare: gli occhi. Non erano chiari, ma neri come l'ombra dopo il tramonto, un nero profondo come quello che nascondeva nel fondo del cuore.
Si mise in piedi, ma prima di riuscire a vedere chi si nascondeva realmente dietro il tronco il riflesso svanì. E così la pozza, la terra, l'albero e la casa.
Tutto tornò scuro. Pensò di essere precipitata nell'oscurità di quegli occhi appena intravisti, poi si rese conto che si trattava solo del suo braccio posato sulle palpebre per bloccare la luce che la circondava. La sua mente riprese coscienza e si accorse di essere in piedi. Un sogno, solo un sogno, avrebbe detto se lei stesse dormendo.
Ma così non era constatò muovendo appena i piedi su di una superficie dura. Era tornata nella caverna.
Ma cosa significava tutto quello? Cosa voleva dirle? Cosa doveva fare? Lo avrebbe scoperto a suo tempo.
'Vivo di fuga. Scappo da me, dagli altri, persino dalle mie bugie. Ecco cosa sono brava a fare: mentire e fuggire. Nascondo chi sono per non affrontare i giudizi. Fingo sorrisi per non dover rispondere alle domande altrettanto finte di chi mi chiede come sto. Insceno la figura della ragazza timida per giustificare il fatto che non vivo da protagonista, ma da comparsa. Anzi, nemmeno. Sono più una di quelle che fa il sasso sullo sfondo o chiude le tende del sipario'
Aprì gli occhi.
Quelle parole erano troppo vere, ma solo ora se ne rendeva conto.
Doveva uscire fuori dal suo guscio e mostrare chi era.
Cosa che non era mai riuscita a fare a Roma, e tantomeno in quel folle posto in cui era finita.
Perché quella che lei aveva mostrato di essere fino a quel momento non era la vera Jo.
La ragazza spericolata, che amava il pericolo, coraggiosa e spregiudicata.
Colei che risponde male, a cui non importa di niente e nessuno.
Lei non era così, solo che ancora non lo sapeva.
O almeno non prima della prova che aveva appena superato.
Aveva solo un'alternativa, riscoprirsi.
Poi l'immagine di suo fratello vivo le si rifece vivida davanti agli occhi.
Perché non poteva essere andato tutto così bene come nella sua prova?
Perchè la vita è ingiusta, ti volta le spalle nei momenti migliori e te li rovina come sabbia al vento.
Si rispose mentre s'inginocchiava sulla fredda pietra.
Perchè la vita è ingiusta, pensò mentre stringeva il proprio corpo inerme.
Perchè la vita è ingiusta... ma il tempo lo è ancor di più.
Quegli anni preziosi che erano stati rubati a Teddy, quegli stessi anni che lei avrebbe protetto come se fossero la cosa più importante della sua vita.
Sarebbe sopravvissuta, avrebbe vissuto a lungo e sarebbe morta con l'idea di aver avuto una vita felice.
Aveva fatto pace con il suo passato.
Ed ora avrebbe affrontato il suo futuro.
Per suo fratello.
Per Teddy.
E per sé stessa.
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