Capitolo 11: Cry for me

"Vattene... per favore vattene via".

Quelle parole risuonavano nella testa di Taehyung mentre saliva le scale del portico così lentamente da sembrargli che il tempo fosse rallentato, quasi fosse in un film a slow motion. Sapeva che non stava facendo bene a Jungkook quella situazione ma non immaginava che lo avrebbe ferito così tanto da quasi implorargli di andarsene. Era sempre stato il tipo che faceva soffrire gli altri senza rendersene neanche conto. Ogni volta che incontrava qualcuno lo spremeva fino all'ultima goccia dalla quale poteva trarre vantaggio, eliminando completamente i sentimenti che poteva provare o no. E questo, spesso, lo rendeva l'antagonista della sua stessa vita. Per il corvino erano state le scelte delle persone che amava a rovinare la sua felicità, per il modello invece, erano le sue stesse decisioni che gli impedivano di cambiare e sorridere sinceramente e, francamente, non gliene era mai importato. Ma questa volta... questa volta era diverso. Non stava accadendo nulla ma al contempo sentiva che tutto stava andando a pezzi e per quanto si sforzasse di ignorare i suoi sentimenti, quel senso di terrore e dolore che gli aveva attanagliato lo stomaco, non potette evitare di sentire i suoi occhi umidi e lasciare scivolare quelle emozioni lungo le sue guance.

Al suono della porta sbattere, Jimin che era sul divano a guardare la televisione, si voltò verso il nuovo arrivato, sgranando appena gli occhi nel vederlo... piangere. Taehyung stava piangendo. Nei suoi 23 anni di vita, il biondo aveva visto il fratello in quello stato solo due volte: la prima alla morte della loro nonna a cui il moro era molto legato, e la seconda quando aveva vinto il concorso che lo aveva reso finalmente un modello a tutti gli effetti. Cosa che rendeva ancora più strane quelle lacrime era che sapeva riconoscerle... erano di dolore e suo fratello non piangeva mai di dolore.

«Tae... che cosa è successo?» chiese il biondo, alzandosi dal divano, avvicinandosi a lui, ma il maggiore fu più veloce e alzò una mano nella sua direzione per intimargli di fermarsi.

«No», disse, tirando su con il naso, passandosi la manica del suo maglione sugli occhi per asciugarli. «Sto bene. Non c'è bisogno che ti preoccupi» disse, iniziando a salire le scale a grandi falcate. «Vado a fare le valige, domani parto» disse poi, senza aggiungere altro, con il suo solito tono indifferente e atipico.

A quelle parole Jimin sgranò gli occhi, alzandosi di scatto, seguendolo a lunghi passi per raggiungerlo, fermandolo per il polso, poco prima che riuscisse a chiudersi in camera. Taehyung tendeva a sbattere le porte in faccia e chiuderle a chiave; era il suo modo di proteggersi ed impedire a qualcuno di fargli cambiare idea. Prendere una decisione per lui equivaleva a dettare una nuova legge e nessuno poteva intromettersi, nessuno poteva vedere quanto fragile fosse quando rinunciava alle potenzialità della sua vita.

«Taehyung... che succede?» chiese ancora il biondo, cercando di farlo voltare per guardarlo negli occhi. Riusciva sempre a leggerlo quando lo faceva ed era per questo che il maggiore evitava di farsi vedere in quello stato.

«Niente... ne ho solo abbastanza di questo posto» rispose con tono rude il maggiore, scostandogli malamente il braccio, afferrando il telefono dalla propria tasca, sbloccandolo e iniziando a digitare qualcosa con i suoi agili e sottili pollici.

«È successo qualcosa con Jungkook?» chiese il più piccolo alzando la voce per farsi sentire. Sapeva che avrebbe fatto di tutto per non ascoltarlo, per ignorarlo e proseguire verso il suo obbiettivo, qualunque esso fosse. Era fatto così Taehyung, era determinato e ego-riferito, in tutto ciò che faceva.

«Non ti interessa». Risposte secche e fuorvianti, era tutto ciò che avrebbe ottenuto da lui e Jimin lo sapeva. Ecco perché con uno slancio veloce e diretto, afferrò il suo cellulare, nascondendolo dietro la propria schiena. «Che diamine ti prende?» chiese con tono serio, irritato dal suo comportamento da solito menefreghista.

«Jimin. Dammi il cellulare» disse serio il modello, fissando i suoi occhi in quelli del fratello per la prima volta da quando avevano iniziato quella discussione. Erano vitrei, silenziosi, non dicevano nulla, non brillavano ed erano fermi e crudi, puntati come degli opachi spilli nelle iridi del minore.

«Non finché non mi dici che ti prende» rispose il biondo e il maggiore si stupì di quanto fermo il tono dell'altro potesse diventare. Era mancato per sei anni, anni in cui Jimin si era forgiato nella responsabilità di essere l'ultimo figlio rimasto, quello su cui i suoi genitori puntavano tutto. Il ragazzo che era stato lasciato da solo a prendersi cura delle persone che circondavano il loro piccolo mondo. Quello che doveva vedersela con le crisi emotive di sua madre, i crolli nervosi di suo padre, i lutti dei suoi amici e l'armonia della loro comunità. Lui non c'era stato. Non era presente ai funerali delle persone che avevano influenzato la loro vita e che ne avevano fatto parte. Non era presente ai malori e alle corse in ospedale. Lui c'era invece. Lui aveva visto e aveva vissuto.

«Non è niente davvero, dammi il telefono» il tono del modello era più calmo adesso, un misto tra lo spazientito ed il consapevole, come se fosse un'insegnante che ribadisce una lezione ad un bambino che non riusciva a capire.

In quel momento, il dispositivo iniziò a squillare e vibrare e Taehyung cercò di afferrarlo ma Jimin fu più svelto e rispose al suo posto, premendo il tasto verde e portandoselo all'orecchio. «Pronto?».

«Taehyung?» dall'altra parte della cornetta, una voce maschile, profonda ma pacata, fece sgranare gli occhi del biondo che per poco non lanciò il cellulare fuori dalla finestra per la sorpresa. «Mi hai chiamato?»

Ci mise qualche secondo bello lungo per cercare di riorganizzare i suoi pensieri e far fuoriuscire una risposta sensata. «Y-yoongi?» sussurrò il più piccolo, dando le spalle al fratello che nel mentre cercava di afferrare il cellulare, mentre l'altro lo teneva lontano con il braccio steso e la mano schiacciata sul suo petto.

«Con chi parlo?» la voce di Yoongi tremava appena. Lo aveva riconosciuto ma non poteva credere che fosse lui. Insomma, come poteva essere lui? Cosa ci faceva con il telefono del suo assistito? Cosa cavolo stava succedendo?

«So-sono Jimin» sussurrò il ragazzo, con occhi ancora leggermente sgranati dallo stupore. Non si sarebbe mai aspettato di udire la sua voce rispondendo ad una telefonata di suo fratello e stava incominciando anche ad intuire la situazione in cui erano appena finiti.

Il corvino, che in quel momento era seduto sulla poltrona girevole del suo ufficio nel suo appartamento, con una mano poggiata sulla superfice di vetro della sua scrivania e l'altra a sorreggere il suo cellulare. «Jimin? Che ci fai con il cellulare del mio assistito?»

«I-il tuo assistito?» rimandò il biondo, voltandosi lentamente verso suo fratello che aveva le mani ferme sul suo braccio, guardandolo leggermente confuso.

«Jimin, che succede?» chiese nuovamente Yoongi, allontanandosi leggermente dalla scrivania, facendo pressione con i piedi per azionare le rotelle della propria poltrona.

«Sono il fratello di Taehyung» rispose, sospirando, passandosi una mano tra i capelli. Quella situazione aveva dell'incredibile.

«Si, certo... siamo su scherzi a parte?» scosse il capo il corvino, poggiando i gomiti sulle proprie ginocchia, sorridendo appena, incredulo.

Taehyung, nel mentre, assisteva alla conversazione in modo alquanto passivo e confuso. Insomma, il suo manager e suo fratello sembravano conoscersi e lui non aveva nemmeno idea che Jimin potesse essere uscito da Daegu durante il corso della sua intera esistenza.

«Yoon, non sto scherzando» disse il biondo, scuotendo il capo, allontanandosi maggiormente da suo fratello che ormai non cercava più di levargli il cellulare da mano, più curioso di capire le dinamiche che portavano i due a parlare in modo tanto informale.

«Aspetta... sul serio?» rispose il manager, mentre si alzava dalla poltrona e prendeva a camminare nervosamente per la stanza, guardandosi intorno. «Sono il suo manager da anni e non ho mai visto una tua foto! Okay, non l'ho vista di nessun familiare ma insomma Jimin!».

«Non mi stupisce» rispose l'altro, sospirando, passandosi una mano sul volto, scuotendo il capo. «Dove sei? Ancora a lavoro?» chiese, sedendosi sul davanzale davanti alla finestra, guardando fuori, in un vano tentativo di allontanarsi da Taehyung ed avere un po' di "privacy".

«Si, perché mi hai detto di chiamarti col suo numero?» rispose il corvino, osservando anche lui fuori dalla sua finestra.

«È stato Taehyung, non so per quale motivo» rispose il biondo, abbassando lo sguardo sulla propria mano. «Ascolta... non è che... insomma, ora che lui è qui... potresti venire a Capodanno no? Se non hai nulla da fare ovviamente e... e se hai voglia di vedermi» sussurrò le ultime parole, quasi avesse paura di una risposta negativa anche se sapeva che non ci sarebbe stata.

«Non ho impegni in realtà» sorrise appena il corvino, mordendosi appena il labbro, abbassando lo sguardo sulle sue scarpe di vernice lucide. «Mi piacerebbe rivederti e stare un po' insieme».

«Allora vieni» disse Jimin, poggiando il capo contro il vetro freddo della finestra, chiudendo per qualche secondo gli occhi, prima di riportarli fuori da essa.

«Preparami una coperta allora» disse di rimando il più grande, dando le spalle alla vetrata, dirigendosi verso la propria scrivania.

«Anche due» ridacchiò appena il biondo, mordendosi il labbro. «E Yoon...» lo chiamò, allentando appena la presa sul cellulare che teneva ancora in mano.

«Si?» sussurrò l'altro in risposta, poggiandosi alla scrivania, incrociando il braccio libero al petto, attendendo la sua risposta.

«Mi manchi» ed era vero. Jimin sentiva la sua mancanza come l'aria e l'idea di rivederlo dopo così tanto tempo in cui non erano riusciti a farlo gli scaldava e riempiva il cuore.

«Anche tu...» sussurrò l'altro, abbassando lo sguardo, sorridendo appena. «E guarda che so dove vuoi arrivare» continuò, mordendosi il labbro. «Ci sentiamo più tardi» aggiunse, attendendo poi la sua risposta.

«Sei tu che vuoi arrivare a quello» borbottò il biondo, raddrizzandosi appena.

«Come se ti dispiacesse» ridacchiò il corvino, scuotendo il capo. «Salutami Taehyung» concluse, staccando poi la telefonata.

Jimin sorrise, spostando lo sguardo sulle proprie mani, osservando ancora il conto dei minuti in cui era durata la chiamata, pensando già a quando avrebbe potuto riabbracciarlo. Solo in quel momento, quasi avesse premuto un pulsante nascosto nel suo cervello, si ricordò della presenza di suo fratello che continuava a fissarlo con sguardo tra il confuso e l'incredulo.

«Ha detto che viene a capodanno» disse, ridandogli il cellulare, guardandolo come se nulla fosse successo.

«MA SEI UN COGLIONE!» Urlò il moro in risposta, guardandolo sconvolto, passandosi poi le mani sul volto. «Non ci credo» borbottò contro i palmi delle sue mani. «Tu non hai la più pallida idea del casino che hai appena combinato! E poi come diamine lo conosci?» sbraitò, scoprendosi il volto che si era arrossato per il nervosismo, guardando suo fratello con un misto di ira e disperazione.

«Beh...» Jimin arrossì come un peperone, ricordando il modo in cui si erano incontrati e in cui erano finiti a letto insieme la stessa sera...

##

Jimin non aveva mai viaggiato. Era sempre stato il ragazzo che preferiva starsene chiuso in casa a guardare una serie tv o a leggere qualche libro. Era piuttosto pigro e se le cose che doveva fare non fossero state di suo gradimento ci avrebbe impiegato un'eternità a compierle, ma le avrebbe fatte lo stesso. Nonostante la sua innata pigrizia e il suo essere poco sbrigativo, c'era una cosa che amava fare: imparare. Jimin letteralmente adorava studiare e leggere cose nuove, così come amava visitare posti fino ad allora inesplorati. Era il piccolo genio di casa, quello su cui i suoi genitori puntavano tutte le loro più alte aspettative di carriera. Ma poi Taehyung se ne era andato. Quando suo fratello maggiore era diventato modello e si era trasferito, il peso delle responsabilità del crescere avevano incominciato a premergli sulle spalle e il fatto che ora fosse l'unico figlio rimasto in casa non faceva altro che peggiorare la situazione.

Quando la mattina apriva gli occhi, Jimin sapeva che non avrebbe potuto dedicarsi a ciò che più lo rendeva felice; c'era sempre qualcosa da fare, qualcuno da aiutare, eventi a cui partecipare e spesso quando la sera si infilava nel suo letto e rifletteva a ciò che aveva fatto quel giorno, si ripeteva sempre le stesse parole: questa vita non è vita. Non fraintendete, lui amava la sua famiglia ed era altrettanto felice di aiutare ma, allo stesso tempo, si rendeva conto che il tempo passava e lui si ritrovava ad essere una persona che non voleva essere. E fu in uno di quei giorni in cui aprendo gli occhi, ripensava a quanto stanco fosse, che Jimin decise di staccare la spina. E quale modo migliore di allontanarsi dalla propria vita se non quello di prendere e partire?

Ed ecco che fece le valige e prenotò un biglietto di sola andata per Jeju. Ritrovarsi da solo su un'isola turistica fu alquanto incredibile. L'idea di fare ciò che voleva, quando lo voleva e come lo voleva, senza pensare alle mille cose che aveva da fare o a qualcuno che gli dicesse che era sbagliato era incredibile. Ma dall'altra parte era anche un po' in ansia. La paura che possa succedere qualcosa e tu sei da solo senza nessuno che possa aiutarti, l'ansia dell'approcciarsi a quel tipo di cose per la prima volta, l'apprensione di non esserne all'altezza. Nonostante ciò, aveva continuato il suo viaggio e si stava divertendo molto. Stava conoscendo nuove persone, facendo nuove esperienze e prendendo in mano la sua vita.

Una mattina, qualche giorno dopo il suo arrivo sull'isola, Jimin aveva visto in lontananza un servizio di affitto monopattini elettrici. Non ne aveva mai guidato uno ma si trovava lì per fare cose che non aveva mai fatto quindi perché non provarci. Pagò il biglietto e diede i suoi documenti, prima di montare su e incominciare a guidare per le strade della città.

Ora, c'è un'altra cosa da sapere su Jimin ed è quella dell'essere estremamente goffo. Ma chi se lo sarebbe mai aspettato che quel suo essere completamente imbranato, lo avrebbe portato ad avere un incontro fortuito.

Quando il biondo prese un sassolino sotto la ruota del suo monopattino e perse il controllo del suddetto, finendo con il cadere precipitosamente addosso ad un pover'uomo che stava sorseggiando tranquillamente il suo caffè.

Ed ecco che si ritrovò addosso a Yoongi che ormai aveva la camicia completamente zuppa di caffè ed un ragazzino con le gambe attorcigliate all'asse di un monopattino a premergli gli stinchi. Jimin si scusò in mille modi e provò anche a "riparare" al danno che aveva causato. Risultato? Si ritrovarono in una lavanderia a gettoni, con il corvino a petto nudo che cercava di tranquillizzare il minore che continuava ad insistere sul pagargli lui il servizio.

Nonostante lo strano incontro e il fastidio che il più grande avesse potuto provare nei confronti del ragazzo che era piombato improvvisamente nella sua giornata, rovinandogli tutti i piani, non potette evitare di trovare il suo comportamento impacciato e leggermente infantile davvero adorabile. E quando la sua camicia uscì dall'asciugatrice, Yoongi pagò il servizio e alle proteste del più piccolo, rispose con una semplice frase: "Vieni a cena con me stasera e considera il tuo debito pagato".

Jimin, seppur leggermente confuso, accettò la proposta e quella sera uscirono insieme. Non fu un appuntamento come tutti gli altri. Passeggiarono sulla spiaggia per un po' e si fermarono a cena in un ristorante italiano, dove il biondo si innamorò completamente della carbonara, facendo ridere il maggiore ad ogni boccone. Si trovavano davvero bene in compagnia l'un dell'altro. Yoongi non avrebbe mai creduto possibile che provasse così tanta attrazione per una persona in così poco tempo e il minore non poteva credere di essere finito a cena con un uomo durante un viaggio che sarebbe dovuto servire a prendere in mano la sua vita. Il trasporto che si era creato tra i due era incredibile e una cosa tira l'altra si erano ritrovati nella stanza d'albergo del più grande mentre si divoravano le labbra a vicenda. Per quanto strano possa essere, si ritrovarono a letto insieme la sera stessa del loro primo incontro e nelle giornate a seguire, quasi si fossero sempre conosciuti, visitarono l'isola insieme.

Jimin era luce agli occhi di Yoongi. Era come guardare il sole di mezzogiorno ed accecarsi. Era travolgente, incredibilmente allegro ed ogni suo sorriso gli fermava il cuore. Non sapeva perché ma sentiva di doverlo proteggere. Lo vedeva così piccolo ma al contempo così prezioso, che era tentato di non lasciarlo andare neanche un secondo e più lo guardava più se ne rendeva conto. Stare con Jimin era come correre senza meta sui prati verdi delle colline in campagna; come fare il bagno nelle acque ghiacciate dei ruscelli e ne rimase travolto come aveva lasciato fare da pochissime cose nella sua vita. Era un uomo d'affari e non aveva mai tempo per la sua vita personale. Di solito viveva avventure di una notte per non impegnarsi ma con quel ragazzo, per la prima vera volta, sentiva che poteva esserci un futuro. La vedeva negli anni a venire, quella testolina bionda spuntare dalle lenzuola appena sveglio con la mano ancora stretta alla sua nella sua solita abitudine di non sentirsi solo nel buio e non aveva intenzione di lasciarla quella mano, questo era poco ma era sicuro.

Dall'altra parte, Jimin si sentiva davvero libero di essere sé stesso con Yoongi. Non correggeva mai i suoi modi di dire e lo ascoltava sempre. Non importava quanto stupido potesse essere ciò che stava dicendo, lo ascoltava e lo assecondava. Lo aveva trascinato per l'isola, costringendolo a fare il bagno di notte e a mangiare 3 chili di gelato con lui e l'altro lo aveva fatto. Lo guardava e sorrideva, sorrideva semplicemente perché era lui, era semplicemente Jimin. E tutto questo ancora gli metteva i brividi. Sentiva sulla pelle la bellezza di quelle emozioni e sapeva che non poteva rinunciarci. Non poteva rinunciare ai suoi occhi, alle sue labbra e alle sue mani che lo accarezzavano così dolcemente, proprio come il vento accarezzava le fronde degli alberi. Fare l'amore con Yoongi era proprio come l'essere travolti dal più dolce dei tornadi. Tutto gli sembrava così perfetto che quando arrivarono al momento dei saluti entrambi non avevano nessuna intenzione di lasciare la presa l'uno sull'altra.

Da quell'addio passarono due anni e in quel tempo avevano continuato a conoscersi, vedendosi nelle rare volte in cui il maggiore poteva permettersi una giornata libera. Jimin non riusciva spesso ad andare a trovarlo per via della sua vita a Daegu e dei suoi mille impegni familiari. Per questo aveva tenuto segreta la loro relazione ai suoi familiari. In primis, non sapeva quanto a lungo sarebbe potuta durare, nonostante i loro continui sforzi di tenersi insieme e in secondo luogo, non aveva la più pallida idea di come i suoi genitori avrebbero potuto reagire non solo alla notizia che stesse con un uomo ma in più che lo vedeva si e no 3 volte l'anno. Ed ecco che si erano ritrovati in quella situazione. Per quanto strano possa essere, Jimin non parlava mai di suo fratello a Yoongi e quest'ultimo evitava di parlare di lavoro con il più piccolo e a nessuno dei due era mai passato per mente che potessero essere relegati in quel modo.

##

«Quindi... tu sei il tipo con cui sta il mio manager» disse Taehyung alla fine del suo racconto, guardandolo ancora più incredulo di prima. Conoscendo Yoongi, gli risultava difficile credere al modo così veloce e quasi naturale in cui era accaduto il tutto.

«Già...» rispose Jimin mentre giocava con i suoi pollici, leggermente imbarazzato dal dire quelle cose a suo fratello con cui non si confidava da più di sei anni.

«Non importa comunque» disse poi il maggiore, dopo qualche secondo di silenzio, alzandosi, aprendo il suo armadio. «Devo tornarmene a Seoul».

Jimin si alzò di scatto, afferrandogli saldamente le braccia, tenendogliele ferme lungo il busto, con lo sguardo fermo sulle punte delle proprie scarpe. «Non puoi... mamma e papà ci tengono che tu resti qui a capodanno e poi...» sussurrò le ultime parole, stringendo maggiormente la presa sui suoi avanbracci. «N-non lo ve-vedo da s-sei mesi... ti prego» sussurrò ancora, chiudendo poi gli occhi.

«Non posso, okay?» rispose direttamente il modello, con tono agitato e nervoso, voltandosi verso di lui. «Non mi interessa della tua storiella, io devo andarmene» concluse, riprendendo a raccattare le sue cose, venendo nuovamente fermato dal più piccolo.

«Taehyung, non puoi farmi questo...» disse di rimando, alzando lo sguardo, cercando di vederlo in viso. «Per favore...»

«Tu non capisci, Jimin...» scosse il capo il moro, poggiando la fronte contro l'anta dell'armadio aperta, prendendo un grosso sospiro. «Devo andarmene. Devo, che io voglia o no».

«Ma perché?» chiuse gli occhi il più piccolo, stringendo il fratello tra le braccia, schiacciando la guancia contro la sua schiena. «Cosa succede? Sono tuo fratello, sai che puoi dirmelo».

«Niente...» sussurrò Taehyung, prima di venire interrotto da un flebile singhiozzo. «Non succede niente... non deve succedere». Si portò le mani sul viso, cercando di ovattare i suoi piccoli lamenti.

Jimin si staccò lentamente, portando le mani sulle sue spalle, guidando suo fratello a sedersi sul letto. Si inginocchiò davanti a lui, guardandolo con il volto ancora coperto dalle sue mani. Gli prese i polsi tra le proprie, massaggiandogli lentamente la pelle con i pollici. «T-taehyung... parlami», il suo tono era dolce, quasi come stesse tentando di accarezzarlo anche con la sua voce.

Il moro scosse il capo, mentre il suo corpo iniziò a tremare per la violenza dei suoi singhiozzi. Stava esplodendo. Sapeva come tenersi insieme ma in quel momento non ce la faceva, in quel momento non riusciva a far finta di niente. Era diventato tutto troppo pesante da sostenere, troppo grande da nascondere. «Io non volevo...» disse con le lacrime che scivolavano lungo le sue guance. «Non volevo... lui sta soffrendo a causa mia» singhiozzò, non tentando neanche di asciugarsi il volto.

«Jungkook?» chiese il biondo, giusto per averne la conferma, dal momento che ne aveva già i sospetti.

Il modello sorrise appena, con il velo della tristezza ad infestargli il volto, annuendo, portando poi le braccia a circondare il collo di suo fratello, stringendolo per la prima volta in anni. Jimin portò il mento sul suo capo, accarezzandogli dolcemente la schiena.

«Va tutto bene... shh... calmo» sussurrò, portando una mano tra i suoi capelli. «Cosa ti ha detto?»

Taehyung cercò di riprendersi appena per parlare, nonostante il suo corpo fosse ancora scosso per i singhiozzi che prepotenti interrompevano la sua normale respirazione. «Ha detto c-che devo andarmene...» sussurrò, tirando su con il naso, tenendo il capo schiacciato contro il petto di suo fratello. «La bambina continua a chiamarmi mamma e lui... i-io non volevo che accadesse Jimin, devi credermi».

Jimin sgranò appena gli occhi, realmente stupito da quelle parole. «Dahyun ti chiama mamma?» chiese, ancora incredulo.

Il moro annuì, asciugandosi le lacrime, abbassando poi lo sguardo sulle proprie mani. «Mi ha detto che le piaccio... e che piaccio anche a Jungkook» continuò, sorridendo appena al ricordo della tenerezza della bambina che gli parlava con tono dolce ed innocente.

«Ha fatto qualcosa per fartelo capire? Vi siete baciati?» continuò a chiedere il più piccolo, accigliandosi appena, asciugandogli con la manica del proprio maglione il volto.

«Abbiamo fatto l'amore Jimin» sussurrò in risposta l'altro, tenendo lo sguardo basso. «Ed è stato incredibile... non credo di essermi mai sentito come mi sento con lui» il suo tono era sincero e questo destabilizzò il biondo e non poco. Suo fratello che provava qualcosa per qualcuno era davvero una novità.

«A-avete fatto sesso?» chiese, sgranando appena gli occhi. «Quando, dove e perché?». Insomma, aveva notato che si erano leggermente avvicinati ma non avrebbe mai immaginato che sarebbe arrivati a quello, tanto velocemente. Ma poi parlava lui che aveva ceduto il primo giorno in cui aveva visto Yoongi.

«Un po' ovunque... ma che importa adesso» borbottò il più grande, con ancora delle grosse gocce salate che sgorgavano dai suoi occhi, ormai rossi e gonfi. «Io non ti ho chiesto dove ti sei fatto il mio manager».

Jimin scosse il capo, guardandolo con leggero imbarazzo misto ad incredulità. Dopo qualche secondo, però si riprese e tornò a ciò che era davvero importante. «Taehyung... tu lo ami?» fu una domanda veloce, diretta e precisa che il più grande di certo non si aspettava ed infatti ci impiegò qualche minuto per raccogliere i pensieri e far fuoriuscire qualcosa che gli sembrasse sensato.

«Se lo amo?» sussurrò, alzando lo sguardo nei suoi occhi, con le guance leggermente arrossate. «Come faccio a capirlo?».

«Beh...» Jimin sorrise appena, abbassando il capo, mordendosi appena il labbro, pensando a Yoongi. «È come se... quando sei con lui non avessi bisogno di altro... e quando non c'è sembra che tutto ti riporti al suo ricordo... ti manca, lo fa come l'aria, come se fosse la tua riserva privata di ossigeno. Trovi l'amore quando... quando lo guardi e... e senti solo il cuore, che batte così forte da spaventarti. Quando i silenzi valgono più di mille parole... quando rimarresti ad ascoltarlo per ore ed ore senza mai stancarti. Quando ti fa sentire protetto da tutto... quando ti fa sentire giusto anche mentre sai di star sbagliando tutto. Quando basta un suo solo tocco per guarire le ferite che non gli avevi nemmeno mostrato ma lui lo sa... lo sa che sono lì perché l'amore è fatto così... non può fare a meno di salvarti».

Quelle parole uscirono dalle labbra di Jimin come se fossero la cosa più naturale del mondo e colpirono Taehyung dritto nel proprio petto. L'amore ti faceva provare tutte quelle cose insieme? E lui? Lui le sentiva quando era con Jungkook?

«Taehyung...» la voce del biondo interruppe i suoi pensieri, mentre portava una mano sulla sua guancia per accarezzarla piano. «Se lo ami... non fartelo scappare».

«Ma come faccio Jimin» rispose il maggiore guardandolo negli occhi. «Io non voglio che stia male, né lui né Dahyun...», si portò le mani sul viso, singhiozzando appena. «è tutto così complicato».

«Forse non hai capito che l'unico modo per fargli male è andartene, Taehyung» disse Jimin, guardandolo negli occhi. «Jungkook ha visto andarsene molte persone... probabilmente non voleva veder andarne via un'altra. Te lo ha chiesto perché ha paura... perché sa che se rimanessi fino alla fine, non sarebbe più in grado di lasciarti andare».

Taehyung scosse il capo, tirando su con il naso. «Non lo hai visto, Jimin... era così arrabbiato... sembrava così ferito».

«Lo era... era arrabbiato perché sapeva che alla fine non saresti rimasto» rispose subito il biondo. «Sua moglie scelse la morte e alla fine delle vacanze tu avresti scelto di prendere quell'aereo».

«Mi stai dicendo di lasciare tutto? Jimin io ho un'intera vita a Seoul. Come posso mollare la mia carriera e rimanere qui?» la voce del moro era rotta. Tutte quelle sensazioni lo stavano sfinendo e in quel momento gli sembrò migliore la possibilità di richiudersi di nuovo nella sua armatura di ferro e indifferenza.

«Taehyung... preferisci tornare in quella villa vuota... alla tua vita piena di impegni e priva di calore ed emozioni... alla vita che potresti vivere al fianco di Jungkook?» chiese il più piccolo, guardandolo dritto nelle sue iridi scure. «Riflettici» concluse, baciandogli la fronte prima di alzarsi e uscire dalla stanza, lasciando il maggiore nella confusione più totale, mentre scoppiava di nuovo in lacrime.

"Non lo so... io non lo so".


Angolo autrice:

Ed eccoci con il capitolo 11! Scusate per il mancato aggiornamento del fine settimana ma ho avuto degli impedimenti di salute. Tranquille, va tutto bene, ora sto meglio.

Speriamo tantissimo che questo capitolo vi piaccia e non vediamo l'ora di sapere le vostre opinioni su questi nuovi risvolti.

Detto ciò, ci sentiamo nel fine settimana con il capitolo 12!

Alla prossima,

Stels&Co.

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