10. Hazard

L'idea che Sean per una volta volesse proteggerla, invece che buttarla in pasto al suo fan-club per portarla allo stremo, l'aveva tormentata per tutta la sera e per la nottata appena passata. E le occhiate unite con le domande insistenti che la sua compagna di stanza le aveva rivolto appena tornata, avendo visto il pacchetto nel cestino e il suo sguardo perso, non avevano fatto altro che aumentare la sua confusione.

Non era sicuramente un atto gentile, come aveva sottolineato anche lui nel biglietto. L'idea che la spaventava di più era proprio quella, sospettava che fosse solo un modo per trarla in inganno, per farsi beffa di lei un'altra volta, o un preludio di qualche nuovo guaio. Non riusciva a comprendere il piano nascosto dietro quello strano aggeggio che ora teneva nella tasca davanti della sua tracolla, incerta su cosa farsene.

- Se non volevi niente dal rampollo dei Rousseau, perché non l'hai buttato?

Alice, che era reduce da una notte insonne e, in quel momento, era completamente assente dalla realtà che la circondava, non si era neppure accorta che Corinne la stava seguendo da quando erano uscite dalla sede dei dormitori. Questo fatto non le sarebbe di certo sfuggito in circostanze normale, ma la sua vita si era riempita di così tante stranezze e colpi di scena negli ultimi tempi, che questo non poteva rivelarsi niente di più che un altro sintomo.

Corinne non le aveva mai rivolto più di cinque frasi di seguito e aveva messo in chiaro fin da subito che non aveva alcun interesse a essere gentile né a esserle amica, quindi si era stretto questo patto silenzioso e taciuto di reciproca indifferenza al di fuori delle quattro mura in cui dormivano.

Il fatto che Corinne fosse lì, al suo fianco, in mezzo al cortile dell'Accademia, era un evento bizzarro e Alice si chiese cosa stesse architettando per spezzare il loro tacito accordo.

La ragazza dai riccioli biondi tirati in un perfetto chignon effetto disordinato con due ciuffetti ribelli sulla fronte e la divisa dalla gonna accorciata di proposito (infrangendo anche qualche regola sul vestiario consono dell'Accademia, costatò Alice), alzò un sopracciglio in attesa di una risposta.
Sembrava perfettamente a suo agio, mentre Alice non sapeva come comportarsi e cosa risponderle, quella domanda l'aveva colpita in pieno.

Non aveva una risposta da dare neppure a sé stessa.

Perché non l'aveva buttato insieme al pacchetto? Perché se l'era portato dietro?

Erano tutte ottime domande, ma di cui non conosceva alcuna risposta. Si limitò a stringersi nelle spalle e a dire con voce un po' troppo misurata: - Non è cortese rifiutare un regalo indipendentemente da qualsiasi cosa sia o da chi provenga. Non volevo fargli alcun torto.

E questa non era una bugia.

Non voleva rifiutare il suo regalo, voleva solo andare da lui e farglielo ingoiare insieme ai suoi sbalzi di umore, ai dubbi e a tutto ciò che a causa sua stava vivendo, sperando che gli andasse di traverso. Ma questo non poteva confessarlo ad anima viva, quindi per rendere convincente tutte quelle belle parole si aprì in un sorriso dolce e si rassenerò appena vide Corinne roteare gli occhi.

- E di certo averlo accettato non ti provocherà più problemi di quelli che già hai, visto che lo sappiamo solo io, te e lui. Ho recepito il messaggio. - alzò le mani ingioiellate con fare stizzito, prendendo per gli edifici del Corso A - Spero tu abbia ragione e... Alice Valois, sei davvero un caso perso!

La ragazza non poteva darle torto e iniziava a sospettare di avere un lato masochista, mentre percorreva con passo rapido il cortile in direzione della piccola caffetteria, che a quell'ora era già piena di studenti. Aveva bisogno di bersi una tisana calda, di quelle che solitamente riuscivano sempre a rilassarla e a calmarle i nervi. Non aveva mai creduto di poter attrarre le attenzioni di un ragazzo come Sean e avrebbe voluto solo che gli ultimi giorni potessero essere cancellati con un semplice colpo di gomma.

Con un sospiro si portò alle labbra la tazza fumante di tisana al biancospino che la ragazza del bar le aveva appena depositato di fronte, chiedendosi per l'ennesima volta cos'avrebbe dovuto fare.

La perfetta principessa sicuramente avrebbe trovato un punto di forza nelle proprie disavventure, avrebbe tenuto alto il mento e continuato la sua vita come se niente fosse e forse, tra tutte le soluzioni che aveva vagliato, quella era stata l'unica che non aveva considerato. Ora, riflettendoci, le pareva quasi ovvio.

Doveva andare dall'unica persona che sarebbe sempre stata dalla sua.

Con quel pensiero tornò sui propri passi in direzone degli edifici del Corso A, con animo combattivo, tra le mani un cartone con del caffè macchiato caldo per il suo Principe Bianco. Era certa che quel giorno non avrebbe incontrato Sean o che, se fosse successo, lui le sarebbe stato alla larga perché il giorno prima era stato molto specifico: sarebbe venuto da lei solo se chiamato e per una volta pensò che sarebbe stato davvero così.

Ma non aveva contato il fatto che gli edifici del Corso A erano due, che lei non aveva la più pallida idea di dove fosse l'aula di Arthur... E che Sean non fosse l'unico ragazzo del Corso A di cui lei si dovesse preoccupare.

Tuttavia ignara di tutto questo la Principessa della prestigiosa Accademia Rousseau Loquis si inoltrò nel labirinto, sotto gli sguardi attenti di due loschi individui, che bighellonavano sulla scala antincendo incuranti dell'approssimarsi dell'inizio delle lezioni.

Svettavano dall'alto come due falchi in esplorazione, alla ricerca di una piacevole via di fuga, così diversi da tutti quei pulcini che si credevano acquile reali. Incuranti di essere visti infrangere diverse regole dell'Accademia di prima mattina, anzi, fieri di essere così com'erano.

Prima: trovarsi al di fuori dell'edificio scolastico durante l'inizio dell'orario scolastico, senza permesso speciali o giustificazioni concrete.

- Quanto detesto monsieur Flinèt, saltiamo la prossima ora? - sbuffò un ragazzo dai capelli così chiari da sembrare bianchi, l'accento marcato e freddo tipico delle lingue nordiche, appoggiandosi pesantemente al muro accanto alla porta. Il fatto che i suoi capelli fossero rasati sui lati non aiutava, ma la cresta era uno spettacolo da far invidia a qualsiasi punk in circolazione e che lo rendeva ancora piu stonato con quella divisa addosso. - Ok che è la prima, ma è così palloso...

Seconda: vestiti inadeguati, il primo aveva la camicia sbottonata e non presentava la cravatta, il secondo ce l'aveva ma era slacciata, lasciata a penzoloni come un segno di sfida.

Terza: capelli inappropriati e non c'era molto da aggiungere.

Il punkettone, notando di non aver ottenuto alcuna risposta, voltò la testa verso il compare, che appoggiato alla ringhiera si stava portando una sigaretta alle labbra e fissava con un interesse crescente un punto sotto di loro.

- Pierre?

Quarta: non si poteva fumare all'interno dell'Accademia.

- Ho appena trovato qualcosa di più interessante da fare per la prossima ora. - Sorrise il ragazzo dai capelli lunghi raccolti per metà in un codino, allargando maggiormente le labbra quando vide la ragazza dai capelli neri entrare nel loro edificio.

- Riconosco quella faccia! Centra Rousseau, vero? - Il ragazzo dalla cresta candida si stiracchiò prima di far scroccare le dita delle mani in uno scatto rapido e feroce.
- Una specie. Se non ricordo male dobbiamo ancora pareggiare i conti...

Quinta: non sono tollerate alcun tipo di azioni violente contro chiunque faccia parte del corpo studentesco o insegnante dell'intera Accademia, pena l'immediata espulsione.
Ma questa regola era solo in procinto di essere infranta.

- E, ora, so come fare.















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