Man or Monster (aggiornato)
Quando arrivo sul posto, però, devo ricredermi. Il Black Hole si trova nel cuore pulsante dell'Upper East Side, l'anima classica, chic e raffinata di New York. Camminando per le vie Midtown – fra hotel, palazzi signorili e boutique – mi rendo conto di come questo sia il regno del lusso e dell'eleganza. In questo momento preferirei essere nella mia nuova casa di Brooklyn a disfare gli scatoloni.
Ma è impossibile se non hai le chiavi, mi ripeto cercando di reprime la sensazione di essere fuori posto. Il ristorante che, almeno dall'esterno, non sembra tradire le aspettative. La tenda nera sopra l'ingresso riporta il nome. Il menù appeso di fianco alla porta attira la mia attenzione. Mi avvicino per esaminarlo e rimango impressionata. Pietanze dai nomi e foto allettanti riportano prezzi a dir poco scandalosi. Ma poi mi torna in mente il commento di Andrew, il mio capo, quando gli ho proposto di servire i suoi panini su qualcosa di più raffinato dei vecchi taglieri di legno: «La gente paga per il cibo non per i piatti».
Tirando la porta a vetri ed entrando, comincio a pensare che non sia del tutto vero. L'ambiente è piacevole. La luce naturale che entra spiovente dai lucernari sul soffitto crea un bel contrasto con le pareti scure, accentuato dagli arredi bianchi e neri. Tutto gioca su questo contrasto. La luce e l'ombra qui si sfidano, restando però in perfetto equilibrio. Tuttavia la sala è vuota. Forse il pranzo è già finito.
«Le candidature sono terminate», mi sorprende una voce alle mie spalle.
«Come scusi?»
«È qui per il colloquio di lavoro, giusto?» Un uomo si avvicina con un sorriso affabile e due menù sotto braccio.
«No... No, non sono qui per un colloquio...»
«Come si chiama?», mi chiede l'uomo in gilet e papillon rosso.
«Lora».
Mi osserva con attenzione, squadrandomi dalla testa ai piedi neanche troppo discretamente.
«Ha davvero una bella presenza», dice in modo inaspettato. «E anche delle belle mani».
«Ehm, io...» Non so cosa rispondere, anche perché so di avere un aspetto tutt'altro che piacente in questo momento. La camminata sotto il sole, nonostante la temperatura mite di inizio primavera, mi ha accaldato la pelle. Sfioro i lunghi capelli rossi, che di solito sono il mio orgoglio e che ora sono raccolti in uno chignon improvvisato con una matita. Il leggero strato di trucco che avevo applicato stamattina è svanito, svelando una pelle troppo chiara per dirsi apprezzabile, spruzzata da qualche lentiggine comparsa con il sole.
L'uomo sorride affabile. E il suo sguardo curioso un po' mi intimorisce.
«Ha esperienza nel campo della ristorazione?»
La domanda mi spiazza.
«Beh sì. Ma come le ho detto io...»
Non mi lascia il tempo di finire. Mi prende una mano e mi spinge a girare su me stessa, osservarmi da ogni angolazione.
«Oh, non sia timida, signorina. Con me non ce n'è bisogno», dice gentile, ma le sue parole non fanno altro che acuire il mio disagio.
Comincio a innervosirmi. Cosa vuole da me questo tipo?
Mi fermo e ritraggo la mano. «Vuole ascoltarmi, per favore? Le sto dicendo che non sono qui per un colloquio...», riprovo, non sembra ascoltarmi. Picchietta il mento con dito, pensieroso, e non la smette di fiddarmi. Sono in difficoltà, vorrei chiedergli dove si trova il signor Forbs per farmi dare le chiavi, ma poi rinuncio. Questo tipo non mi piace e non ho voglia di restare ancora qua. Sto per andarmene, quando il cigolio di una porta basculante in fondo alla sala attira la mia attenzione.
«Che sta succedendo, Kit?»
L'uomo che ha parlato si avvicina a passo svelto verso di noi. Il cappotto grigio e la sciarpa beige stemperano i suoi colori più scuri e mediterranei: capelli neri e pelle olivastra. L'aria distinta che emana camminando contrasta con un aspetto trascurato, la barba di qualche giorno e i capelli un po' troppo lunghi per i miei gusti.
«Non hai sentito che ti chiamavo?», insiste rivolto al collega, che però resta impassibile. Ha un tono arrogante che mi infastidisce.
«Certo che ti ho sentito. Ma, come vedi, stavo parlando con la signorina». La tranquillità con cui lo dice mi strappa un sorriso che cerco di nascondere con una mano.
«Lo trova divertente?», l'uomo si rivolge a me, come se non amasse essere contraddetto e mi guarda insistentemente. È chiaro che la mia presenza non gli affatto gradita.
Decido di non lasciarmi intimorire e sorreggo il suo sguardo.
«A dire la verità, sì», rispondo reprimendo la voglia di ridere un'altra volta.
«Lieto di averle rallegrato la giornata. Ora mi può dire chi è e che cosa fa qui? Siamo chiusi».
«Lei è Lora», interviene in modo garbato Kit. «Stavo per proporle di unirsi al nostro staff».
«Cosa?!», esclamiamo quasi all'unisono io e l'uomo dall'aspetto minaccioso, che prende da parte il collega.
«Sei impazzito?», gli chiede senza preoccuparsi di abbassare il tono della voce.
«Mi hai chiesto di cercare una ragazza spigliata e di bella presenza per svecchiare il nostro staff. Beh, sono entrate decine ragazze da quella porta stamattina e nessuna era come lei», conclude l'uomo con il papillon indicandomi con un ampio gesto della mano. Ora sì che mi sento in imbarazzo.
«Sentite, io non ho nessuna intenzione di lavorare qui. Sono solo venuta per le chiavi», intervengo.
«Quali chiavi?» E per la prima volta che la sua voce, profonda e tagliente, è più sorpresa che infastidita.
«Della casa di Brooklyn. Sono la nuova inquilina del signor Forbs», dico.
Lui mi guarda accigliato. Poi alza le braccia al cielo. «Perfetto!», impreca e si allontana.
«Ma che gli prende?», chiedo all'altro.
«Niente. È una lunga storia», si limita a commentare Kit.
Decido di non insistere.
«Allora il posto lo vuoi? Lo stipendio è di mille dollari al mese».
«Mille dollari?», esclamo.
«Non si tratta solo di servire dei piatti in tavola, ma di ammaliare i clienti con il tuo charme. Dovremo lavorare molto», dice lanciandomi un'altra occhiata meno lusinghiera.
Non sono sicura di sentirmela, ma non posso negare che l'offerta sia allentante. Prima che riesca a decidere, l'uomo ritorna con un mazzo di chiavi in mano. Me le porge.
«Ecco qua, è tutta tua, vedi di essere puntuale nei pagamenti e andremo d'accordo». Ne dubito, dico realizzando solo in questo momento di avere fronte proprio Gavin Forbs. E forse è proprio per questo che rivolta solo al suo amico dico: «Va bene. Accetto il lavoro».
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