Lora (aggiornato)
Lora
"Ti aspetto in dispensa". Quattro semplici parole scritte con calligrafia affrettata che hanno il potere di gettarmi nel panico. Che cosa vorrà? Stanotte credevo di aver intaccato la sua corazza ma, quando mi sono svegliata da sola nel letto, mi sono resa conto che le sue barriere sono troppo numerose e alte per essere scavalcate, mentre le mie al confronto sono così deboli. Nonostante questo, spingo la porta della cucina ed entro nella penombra della dispensa.
Lui è lì, con le braccia incrociate al petto fra le cassette di piselli e quelle di fagioli freschi. Non alza lo sguardo, perciò ne approfitto per dire quello che ho sulla punta della lingua. «Mi dispiace per Vivian, Kit mi ha raccontato quello che è successo. Posso immaginare quello che provi».
I suoi occhi si fissano nei miei, imperscrutabili.
Mi siedo accanto a lui. «Avevo cinque anni quando mio padre è morto, era un marines».
Scorgo un lampo di stupore misto a pietà nei suoi occhi. Mortificazione per il suo comportamento, sollievo per aver trovato qualcuno che possa almeno in parte comprendere il suo dolore. Anche se so che questo non cambierà in alcun modo quello che prova per Vivian.
«Lei era... tutta la mia luce. La parte migliore di me. Da quando se n'è andata, ho l'impressione non mi sia rimasto nulla di buono».
«Credimi, non è così. Le persone care non ci abbandonano mai del tutto. Continuano a vivere in ogni nostro pensiero, in ogni nostro gesto o preghiera. Siamo la loro eredità».
A queste parole Gavin sussulta. «Sono un idiota», sussurra fra sé.
«Oh, sì, lo sei», dico per alleggerire la situazione. «È normale credere di poter affrontare il dolore allontanando gli altri, però il dolore nasce dentro di noi, non lo possiamo sconfiggere così».
«E allora cosa devo fare?» E dal tono della sua voce intuisco che questa domanda lo assilla da molto tempo.
«Concederti la possibilità di essere felice».
Mi guarda stupito, le labbra carnose e invitanti a pochi centimetri dalle mie, e nell'espressione qualcosa di strano che mi mette a disagio. Sento la porta della cucina cigolare. Dovrei andare, Kit mi starà cercando. Mi alzo e faccio per uscire, ma la sua mano si posa sulla maniglia.
«Aspetta».
La luce che filtra sul pavimento porta con sé i rumori concitati della sala. È vicinissimo, lo spazio fra noi è scarso, non mi ero accorta di quanta poca aria ci fosse qua dentro. Trattengo il respiro quando sento le sue labbra solleticarmi l'orecchio.
«Ti voglio, Lora. Resta con me, finito il turno», dice in un sussurro caldo ed eccitato che mi fa rabbrividire.
Chiudo gli occhi, cercando di controllare i fremiti che sento crescere dalle profondità più intime del mio corpo. È una pazzia. I rumori provenienti dalla cucina aumentano. Presto qualcuno potrebbe entrare e scoprirci.
Abbasso la maniglia e appena fuori mi ritrovo davanti Kit. «Eccoti, sei qui! Vieni i clienti sono già arrivati», dice prendendomi per le spalle e spingendomi verso la sala. Lancio un'ultima occhiata alla porta chiusa della dispensa dietro la quale ho lasciato Gavin, mi allontano sperando di aver fatto la scelta giusta.
Il pranzo fila liscio, anche se mi sembra di sentire il suo sguardo seguirmi a ogni passo. Quando anche l'ultimo cliente lascia il locale, aiuto Joslyn a pulire. I tavoli sono sparecchiati e preparati per la sera, il pavimento viene lavato, tutto è rimesso in ordine. Samuel spegne i fornelli in cucina. Kit abbassa le tende e spegne le luci. Rimane solo quella naturale che entra dal lucernario del soffitto, a illuminare la sala. Mi attardo a prendere le ultime cose.
«Ci pensi tu a chiudere?», chiede Kit a Gavin.
«Certo».
Le chiavi tintinnano passando da una mano all'altra. «Sei sicuro di quello che fai?», gli chiede all'improvviso l'amico.
«Sicurissimo», risponde lui con un tono strano.
«Va bene, se lo dici tu». Esce e si chiude la porta alle spalle. Sento lo scatto della serratura e capisco di essere in trappola.
Faccio un respiro profondo e avanzo. È inutile nascondere la mia agitazione, noto il guizzo di malizia che gli attraversa gli occhi mentre si passa le chiavi da una mano all'altra. Poi le posa sul tavolo di fronte a sé e si allontana in modo che siano a metà strada fra me e lui.
«Sei libera di andartene, se vuoi», dice in tono calmo. «Ma vorrei che non lo facessi».
Faccio un passo avanti, non sapendo ancora che direzione prendere. Lui resta fermo, in attesa che compia la mia scelta. Ancora una volta sembra aver cambiato volto. Il dolore e il turbamento che ho visto nei suoi occhi qualche ora prima hanno lasciato il posto alla solita arrogante sicurezza, ma c'è qualcosa di diverso nella sua espressione.
Non so però se mi posso fidare.
Faccio un altro passo avanti. Lui non accenna a muoversi, né ad allungarsi per afferrare le chiavi che sono sempre più vicine man mano che avanzo verso il tavolo. Le prendo, il metallo freddo brucia sulla mia pelle, e mi dirigo verso l'uscita, sicura di me. Un passo e sono alla porta, sto per aprirla, ma all'ultimo secondo mi volto.
Lo osservo, impassibile e bellissimo, gli occhi azzurri che mi scrutano penetranti, le labbra carnose e invitanti che si tendono in un accenno di sorriso, come se sapessero già quale sarà la mia scelta... e io sono consapevole che se adesso esco alla luce del sole non avrò un'altra possibilità. Faccio un respiro profondo, torno sui miei passi, lo raggiungo e poso le chiavi sul tavolo di fronte a lui.
Mi sorride, sollevato e compiaciuto allo stesso tempo. Si sposta di fronte a me e mi sussurra: «Ottima scelta», chinandosi a baciarmi il collo.
Mi spinge contro il tavolo e sento la leggera pressione dei suoi denti appena sopra la clavicola, nello stesso punto in cui l'ho morso io ieri sera.
Continua a baciarmi scendendo sempre più in basso, affonda nella scollatura della maglia per scoprire i capezzoli inturgiditi. Mi tiro indietro allungandomi sul tavolo mentre lui mi sfila i jeans, che cadono a terra seguiti a breve distanza dal resto dei nostri vestiti.
Si scosta un attimo per infilare il profilattico, poi mi tira a sé aprendomi le gambe, si allunga e mi bacia soffocando ogni mio gemito, mentre con spinte leggere entra dentro di me.
Stringo più forte le gambe intorno ai suoi fianchi quando lo sento penetrare in profondità, aprendo un solco profondo verso il mio cuore a ogni calda ondata di piacere. Graffio il suo corpo teso nello sforzo di amarmi con maggior passione, con più vigore, ritirandosi a un passo dall'estasi per poi affondare di nuovo, fin quasi a farmi perdere la ragione in un'esplosione di piacere che sembra non finire mai.
Solo a quel punto mi abbandono fra le sue braccia, lasciando che mi proteggano dal freddo che sento sopraggiungere insieme alle lacrime. Mi avvolge le spalle con la sua camicia, mi prende in braccio e mi porta nel suo ufficio. Mi fa stendere sul divanetto e mi culla finché i brividi si placano e la sensazione di essere stata perforata fin nell'anima lascia il posto a un innaturale torpore.
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