Divergenze, Lora (aggiornato)



Lora

«Entra, ti prendo un asciugamano», cerco di sembrare rassicurante, anche se sono agitatissima. Fa un passo avanti e senza che me ne renda conto la sua mano scivola dietro il mio collo, mentre con il braccio mi tira verso di sé.

È un bacio prepotente e fragoroso, quello fra noi, come la tempesta che sta imperversando alle nostre spalle. Disperato, come il desiderio che attimo dopo attimo sento crescere in me. Doloroso, quanto le lacrime che gli rigano il volto. Accarezzo la leggera peluria che gli ricopre le guance.

«Scusami», sussurra sulle mie labbra. Lascio che si riavvicini e mi baci di nuovo. Gli tolgo la giaccia e lo conduco verso il divano. Vorrei togliergli anche gli indumenti bagnati, ma a ogni bacio affamato mi rendo conto sempre più che non sta baciando me. Queste carezze non sono per me. Le sue lacrime non sono per me. Tuttavia gli prendo una coperta e gli permetto di stendersi sul mio divano. Vorrei chiedergli come si chiama lei, ma non ne ho il coraggio.

«Vivian», sussurra lui un attimo prima di addormentarsi.

Quando mi sveglio la mattina dopo, Gavin non c'è. Mi trascino in cucina per fare colazione, cercando di non fissare troppo i cuscini bordeaux sui quali lui ha dormito. Il ricordo dei suoi baci brucia ancora sulle mie labbra. Mi ha permesso di vedere una parte di sé che non credo mostri a chiunque, ed è che come se in cambio avesse svelato una parte di me. La mattina trascorre veloce tra mille dubbi e incertezze. Mi chiedo se quello che è successo cambierà qualcosa fra noi. Fino a ieri sera non mi ero resa conto dell'effetto che ha su di me. Ma ho capito anche che soffre per una donna di cui è ancora innamorato. E non credo che questo cambierà mai.

Quando entro nel ristorante, Gavin è già al lavoro, sta sistemando i tavoli.

«Ciao...» Non so cosa aggiungere. Forse dovrei chiedergli come ha dormito, anche se dalle sue occhiaie mi sembra evidente.

«Hai fatto a pugni con il cuscino? Hai un aspetto orribile», esordisce. Niente convenevoli, solo uno sguardo freddo e arrogante che mi farebbe venire voglia di prendere lui a pugni.

«Che strano, stavo per dirti la stessa cosa», ribatto passandogli davanti. Mi ferma con un braccio.

«Non mi piace quel tono, dovresti avere più rispetto per il tuo capo», dice nonostante sia stato lui a provocarmi. E nella sua voce c'è una sfumatura diversa che non riesco a decifrare.

Ci guardiamo in cagnesco per qualche secondo, sfidando l'altro ad arretrare. In quel momento Kit spinge la porta della cucina.

«Che succede ragazzi?», chiede perplesso.

Mi riscuoto. «Niente di che. Sembra che qualcuno non si sia guardato allo specchio stamattina».

Li oltrepasso e vado a cambiarmi. Sbatto la porta alle mie spalle, ma sento lo stesso il rumore di qualcosa che si frantuma a terra. Non credevo che quello che è successo ieri sera potesse innervosirlo a tal punto.

Passo il resto del pomeriggio a cercare di ignorare il suo sguardo torvo che segue ogni mio movimento. È più taciturno del solito, non mi ha ancora rimproverata. Evita il mio sguardo, perso nei suoi pensieri, e io mi sento in colpa come se lo avessi indotto a compiere un passo per cui non era pronto, anche se non è andata esattamente così.

Sono quasi tentata di far cadere un piatto apposta, quando lui dice: «Credo che tu sia pronta per affrontare il servizio di stasera».

Per poco il piatto non mi scivola davvero. «E Kit che ne pensa?»

«Gliene ho già parlato. È d'accordo con me».

«Ma le due settimane non sono ancora terminate...» E mentre lo dico realizzo che in questo modo lui non sarà più costretto a passare tutto il tempo con me e che quindi questa potrebbe essere solo una scusa per allontanarmi. Altrimenti perché affidarmi una tale responsabilità, se è chiaro non sono ancora pronta?

Si avvicina e mi posa le mani sulle spalle. Cerca il mio sguardo che fa di tutto per sfuggire al suo. «Stasera gestirai alcuni tavoli da sola, te la senti?»

Vorrei dirgli di no, ma c'è ancora una parte di me che desidera compiacerlo. Annuisco, poco convinta.

Lui rafforza la stretta. «Lora, io non ho più niente da insegnarti».

So che questo non è possibile, ma il significato di quelle parole riesce comunque a penetrare la mia corazza di dubbi e io ritrovo un po' della mia sicurezza. Prima però che io possa dire qualcosa, lui si volta, prende la giaccia e senza nemmeno un cenno di saluto si allontana. Sento la porta tintinnare e mi chiedo cosa sia successo in realtà, poi decido che non mi interessa.

Spingo la porta della cucina.

«Ehi, attenta!» Vedo qualcosa di bianco e scintillante piovermi addosso. Cado all'indietro seguita dalla pila di piatti che Samuel stava trasportando. Il rumore di cocci rotti fa eco al tonfo del mio fondoschiena sul pavimento e alla risata di Samuel. «Dai, questi li pago io», dice allungando un braccio e aiutandomi a rialzarmi. «Nervosa per stasera?»

«Solo un po'», minimizzo.

«Non ti preoccupare, andrà bene. Ti darò una mano io». La sua offerta mi sorprende e mi strappa un sorriso. Prende la scopa e mi aiuta a pulire. «Non abbiamo avuto molte occasioni di parlare, io e te», prosegue con un tono che mi fa insospettire. Ma non è il caso di fare la sostenuta.

«È vero, tu eri sempre in cucina e io...»

«Sempre con il capo», conclude lui scherzando.

Arrossisco.

«Tranquilla, non sei la prima a cui capita di prendersi una cotta per lui».

Il rossore sul mio viso aumenta e so che basta questo a confermare i suoi sospetti.

«Ma prima o poi capirai che con lui perdi solo il tuo tempo e che puoi avere di meglio». Dal tono in cui lo dice, però, non sono sicura che stia parlando di me. Seguo il suo sguardo con la coda dell'occhio. «Comunque ti do una dritta: fa' attenzione a Joslyn stasera, quando vuole sa essere una vera stronza. Qualcosa mi dice che farà di tutto per metterti in cattiva luce con Gavin».

«E perché dovrebbe?»

«Questo lo dovresti chiedere a lui».

*

La sera mi preparo con cura. La divisa nuova mi sta a pennello e per una volta la mia pelle, valorizzata dal trucco leggero, non ha il solito colorito smunto. Ma questo non mi rassicura affatto. Sono nervosa, le mani mi sudano e ciò aumenta le probabilità che faccia cadere qualcosa. Cerco di riportare alla mente gli insegnamenti di Gavin, ma vengono surclassati da tutt'altro genere di pensieri. Lego i capelli in una coda alta, faccio un bel respiro e mi stampo in faccia il mio miglior sorriso.

La sala è piena di uomini in giaccia e cravatta e donne in abito da sera che mi fanno sentire più che mai fuori posto, anche nelle mie vesti di cameriera. Mentre Joslyn si muove con sicurezza e grazia fra i tavoli, io devo calcolare ogni passo. Le luci dei lampadari sfavillano, le persone chiacchierano senza alzare troppo la voce, creando un brusio di sottofondo che man mano aumenterà con l'alzare dei bicchieri. Le pietanze si susseguono una dopo l'altra, annunciate dal tintinnio del campanello.

«Lora!», mi chiama Samuel appena sono di ritorno. «Tieni questi». Mi passa altri piatti. Il ritmo è frenetico, sono stanca, accaldata e sto andando nel panico.

Samual me lo legge negli occhi. «Fai un bel respiro. Pensa a una linea immaginaria che colleghi te al tavolo e seguila. Non farti distrarre da...»

«Lora? I clienti stanno aspettando!» La voce di Joslyn mi raggiunge acida e pungente alle spalle.

Oddio, che tavolo era?

«Il 4», mi sussurra Samuel mentre mi passa l'ultimo piatto.

«Grazie», mimo con le labbra, sollevata.

Dopo un inizio incerto, la serata comincia a migliorare. I tacchi non mi fanno più tanto male, la sala piena e chiassosa non mi fa più così paura. Il tempo trascorre veloce. Noto Gavin seduto al bar. Incrocia il mio sguardo, ma non accenna a salutarmi, intento a bere il suo drink. La sua presenza però mi dà forza. Grazie all'aiuto di Samuel riesco a terminare il servizio solo pochi minuti dopo Joslyn, ricevendo i complimenti dai clienti. La serata si conclude con un successo, ma io non sono soddisfatta. Lo vedo alzarsi e dirigersi un po' barcollante verso la porta.

Rabbrividisco all'aria fresca sera.

«Non hai niente da dirmi?»

Lentamente si gira. «Congratulazioni, il posto è tuo».

«Tutto qui?»

«Cos'altro vuoi che ti dica?» La sua voce è asciutta.

«Ad esempio come mai mi hai buttato in mare aperto sapendo che non ero pronta. Speravi che annegassi?»

Si gira e mi fronteggia. Sembra aver riacquistato lucidità. «Tu pensi davvero che ti avrei mandata di proposito al servizio sperando che fallissi?», sembra a realmente confuso. «Se è a causa del bacio che pensi questo, mi dispiace».

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