Capitolo 15 (aggiornato)
15
Gavin
10 anni prima
Sento il campanello suonare. Non ho voglia di alzarmi e aprire al ragazzo delle pizze. Non ho voglia di pagarlo, prendere il cartone ed entrare in casa; non ho voglia di sedermi e mangiare da solo la mia cena. Ma lo faccio lo stesso. Mi trascino fino alla porta e la apro. Davanti a me non c'è il ragazzo delle pizze.
«Pensavo che non aprissi», esordisce Sharon, spingendo in avanti la carrozzina ed entrando prima che io possa reagire.
Chiudo la porta alle sue spalle, inebetito. Mi passo una mano sulla faccia sfregando la barba ispida di giorni.
«Capita che debba mangiare», rispondo. Senza volere, butto un occhio alla carrozzina. Mio figlio dorme beato avvolto nella sua copertina azzurra, succhiandosi il pollice. Una fitta mi attraversa il petto obbligandomi a sedermi.
«Che ci fai qui, Sharon?», le chiedo, anche se conosco già la risposta.
«Non potevo andarmene senza risolvere alcune questioni», risponde in tono asciutto. Apre la borsetta ed estrae un foglio che posa sopra il cartone vuoto dell'ultima pizza.
«Non posso obbligarti a prenderti cura di lui, Gavin», esordisce. «Thomas è tuo figlio. Lo stesso bambino che Vivian amava e che tu hai giurato di proteggere», fa una pausa, aspettando che il coltello affondi nella piaga. «Ma se scegli di non far parte della sua vita, noi l'accetteremo. A patto che sia una decisione definitiva». Estrae una penna e la posa accanto al foglio.
Inspiro, come se fino a quel momento avessi trattenuto il respiro.
«Dio, Sharon...»
«Lascia dio fuori da questa faccenda!», mi rimbrotta lei.
Mi alzo, vado in cucina e prendo una bottiglia di scotch. La stappo e ne bevo un paio di sorsi. Mi accascio sul lavandino e cerco di riprendere fiato, fra le lacrime e i conati.
Mi sento malissimo. «Perché mi fai questo?», mormoro disperato.
«Ti sbagli, Gavin. Lo fai stai facendo tu a te stesso». Apro l'acqua e mi sciacquo la bocca. Mi riavvicino al divano e guardo Thomas che dorme. Cerco di immaginare la nostra vita insieme, la vita che avrei potuto avere con lui e Vivian. Rabbia e senso di colpa si mischiano nel mio petto, trasformando ciò che resta del mio cuore in un enorme buco nero. Osservo Sharon sistemargli meglio la copertina e in quel gesto, invece, scorgo l'amore che io non sarò mai capace di dargli.
E anche l'ultimo barlume in speranza si spegne.
Prendo la penna. La mano trema sul foglio tracciando una firma quasi illeggibile. La riconsegno a Sharon insieme al foglio che lei ripone con cura nella borsetta. Poi si alza, e senza dire una parola toglie il blocca-ruote alla carrozzina e la spinge.
«Posso salutarlo?», le chiedo un attimo prima che arrivi alla porta.
«Certo», si fa da parte e mi sembra di scorgere un velo di tenerezza nel suo sguardo. Scosto la coperta e per la prima volta prendo in braccio mio figlio. Lo avvicino e poso la sua testolina sul mio petto, all'altezza del cuore, che al quel contatto per un istante si apre per poi richiudersi subito.
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