Capitolo 10 (aggiornato)
10
Gavin
« cosa?», gli faccio eco incredulo.
«Cos'è, sei sordo?», mi chiede sprezzante l'uomo, come se avesse seri dubbi sulle mie facoltà mentali. Poi si rivolge a Lora, che sta tremando per lo shock e per il freddo alle mie spalle: «Vieni qua, sorellina».
Mi irrigidisco quando lei mi supera e gli corre incontro, abbandonandosi al suo abbraccio. Lui si sfila la giaccia e gliela posa sulle spalle, coprendola con cura.
«Mi sei mancata», le sussurra fra i capelli.
Mi sento a disagio, è chiaro che non si vedono da molto e che io sono di troppo. Faccio per entrare quando lo sento: «Credi che quel bellimbusto del tuo ragazzo mi offrirà il pranzo? Sto morendo di fame».
Mi giro. «Mi spiace la cucina è chiusa, torna più tardi».
«Gavin...», gli occhi di Lora si posano sui miei, dolci e supplichevoli, e questo mi induce a cambiare idea. Dannazione, non riesco a resistere a quello sguardo!
«Va bene», mi arrendo, senza però nascondere la mia irritazione.
Gli faccio strada nel locale. «Ti puoi sedere là», dico indicando un tavolo dalla parte opposta della sala. Poi prendo Lora per un braccio. La porta della cucina sbatte alle nostre spalle. «Perché diavolo non mi hai detto di avere un fratello?», non mi sforzo nemmeno di abbassare la voce.
«Non mi sembrava importante. Te l'avrei detto, comunque».
«Davvero? Prima o dopo che si presentasse alla mia porta?»
«Fa differenza? Non lo vedo da anni! Non sapevo fosse tornato!» Adesso è lei che sta urlando, lacrime copiose cominciano a rigarle le guance. L'avvicino e cerco di placare con le mie carezze i suoi singhiozzi.
«Ok, ok scusami...»
«Due anni fa si è arruolato nei Marines», comincia a spiegare lei, «voleva seguire le orme di nostro padre. Non lo sentivo da mesi...» Parla in fretta, sopraffatta dall'emozione. Prendo uno sgabello e la faccio sedere sulle mie ginocchia. La cullo accarezzandole la schiena e dimenticandomi di tutto il resto, finché dalla sala sento gridare: «Insomma quando si mangia?»
La spingo ad alzarsi, apro il frigo e comincio a tirare fuori le scatole con gli avanzi.
«I tuoi vestiti sono nel mio ufficio», dico preparando il primo piatto. Lei si passa una mano fra i capelli scompigliati, il viso ancora arrossato per l'agitazione. Va verso la porta.
«Grazie», dice un attimo prima di uscire.
Porto i piatti in tavola e mi siedo di fronte a Jeremy, che mi scruta con un'occhiata arcigna. Poi inizia mangiare senza fare troppi complimenti. Lo osservo divorare tutto ciò che gli ho portato come se non facesse un pasto decente da mesi, e questo placa un po' la mia irritazione.
«Lora mi ha detto che sei un marine», dico cercando di intavolare una conversazione. «Esatto, amico». Si batte con orgoglio una mano all'altezza del cuore, dove lo scintillio delle piastrine militari fa bella mostra di sé sopra la maglietta.
«Complimenti».
Beve un altro sorso di birra.
«Là è dura, sono stato congedato», abbassa lo sguardo, sembra in imbarazzo.
«Ti fa comunque onore».
«Grazie». Finisce di mangiare. Si dondola all'indietro sulla sedia e dal suo sguardo capisco che i convenevoli sono finiti.
«Tu e Lora sembrate intimi. State insieme?»
«Non proprio», rispondo.
«Te la scopi e basta?»
«Non proprio», e mi sfugge un mezzo sorriso nel ripensare a ciò che è accaduto solo poche ore prima.
«Capisco». Si alza spostando la sedia. «Beh, grazie per il pranzo, Gavin. Porta i miei complimenti allo chef, era tutto buonissimo». Si avvicina più del dovuto, lo sguardo minaccioso, battendomi una mano sulla spalla. «E, fammi un favore, d'ora in poi stai lontano da mia sorella».
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