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Stavano osservando il paesaggio troppo freddo e calmo che si vedeva attraverso la vetrata della sala comando...stare lì in piedi provocava solo tensione ed entrambi la avvertivano come una morsa stretta attorno alla gola.
Rey lasciò scivolare la presa della propria mano su quella di Ben, scatenando qualche istante di panico nell'ultimo, ma lui, seppur sapeva di poter restare in piedi, provò una strana sensazione di vuoto e sfiorò di nuovo le dita di lei, facendo, inavvertitamente, provare a Rey dei brividi. Non erano brividi di freddo, ma erano come una scossa, quella che ti colpisce ogni volta che il tuo cuore perde un battito, troppo ingenuo per rifiutare ogni gesto, per riuscire a resistere alle tentazioni. E il suo cuore era così in questo momento: troppo soggetto alla moltitudine di sensazioni che un lieve contatto era in grado scatenare in lei.

I passi stavano continuando, imperterriti, sul pavimento metallico. Quando questi si fermarono bastò un solo istante di silenzio che la corda che li teneva in costante tensione tirasse un po' di più. Restarono ancora due secondi indecisi se voltarsi o meno, perciò rimasero fermi girati l'uno verso l'altra mentre la figura faceva scorrere lo sguardo su di loro, soffermandosi qualche secondo sugli occhi di entrambi. Erano così diversi, pensò Luke.
Eppure adesso notava qualcosa, come se galleggiasse nell'aria, qualcosa di pesante, ma leggero, i respiri quasi assenti che esprimevano gli stessi pensieri.

Cambiare è semplice, fin troppo facile, troppo imprevedibile anche. Non è qualcosa che succede lentamente o rapidamente, è solo che quando cambi te ne accorgi sempre troppo tardi. Gli occhi di Rey erano quelli di qualcuno cambiato nel profondo, erano così pieni di cose da dire che a Luke parve ovvio che non volesse, non che non riuscisse, a parlare di ciò che le era successo.

Ben si lasciò sfuggire un respiro più pesante degli altri, come se la tensione fosse stata liberata tramite quella breve espulsione d'aria dai polmoni. Questo interruppe i pensieri di Luke, che, con sguardo calmo, posò gli occhi su di lui.

-Sei tornato.-
Due parole e una semplice affermazione, non c'era odio, non c'era astio nel suo tono di voce, ciò stupì Ben, che trasformò la propria espressione da tesa in seria, troppo seria. Rey odiava il modo in cui le sue sopracciglia si inarcavano, gli occhi guardavano senza emozione tutto e quelle maledette labbra si chiudevano in un espressione muta delle sensazioni che Ben cercava di sopprimere.
-Non sei cambiato, il silenzio ha sempre espresso tutto ciò che volevi dire.- disse Luke, facendo emergere una crepa da quella superficie di serietà dietro la quale si era nascosto Ben.

Il silenzio. Ha un significato così strano. Per molti equivale a tranquillità, alla calma, alla pace. È rilassante certe volte, quasi ti ci perdi in esso. Per Ben era stato così: ci si era perso, da troppo tempo ci stava vagando senza trovare un'uscita. Era tutto iniziato con il suo fare riservato, con quell'insopportabile sensazione di sbagliato che lo stava incatenando e che non aveva intenzione di lasciarlo andare.
Questo almeno finché non è arrivata Rey, lei aveva completamente sconvolto e messo sotto sopra il mondo muto in cui si era perso e in cui, forse, si era rifugiato.
La verità è che il silenzio non è muto, è pieno di quei sussurri che la mente ci costringe ad ascoltare, di quei pensieri che ci tormentano, che ci torturano, che ci annientano a causa della nostra debolezza. Sì, perché di fronte a noi stessi siamo deboli, noi siamo fragili di fronte alla nostra mente contorta che fa di tutto per farci impazzire con i suoi ragionamenti potenzialmente distruttivi.
Ben era fin troppo abituato al rinchiudersi al suo interno dal non riuscire a trovare un appiglio.

Poi dal nulla era caduto inesorabilmente a terra e si era sentito schiacciato da tutto, ogni cosa che aveva represso era venuta a galla e ne era stato sopraffatto. Era stata lei, lei e basta, una piccola debolezza.

Mentre si sentiva confuso e a disagio sotto lo sguardo di Luke sentiva di nuovo la porta che teneva rinchiuse le emozioni star per esplodere, non poteva permetterlo.
Era la rabbia, era l'odio che tornava a galla. Vederlo lì, di fronte a lui, come un'ombra del passato che ti viene a trovare con così poco preavviso.
È una nostra grave debolezza quella di temere ciò che è stato, ma esso spaventa, terrorizza sempre. Non c'è modo di reprimere le emozioni e spesso quelle troppo deboli vengono soppresse dalle altre più forti; spesso queste ultime sono sempre potenzialmente distruttive e al contempo essenzialmente ciò di cui sentiamo l'irrefrenabile bisogno per esistere, per vivere, per respirare, per essere.
È così ingiusto cercare di soffocare tutto, perché reprimere sé stessi? ...è un po' come morire dentro e alla fine ti ritrovi ad un bivio, la scelta sta a te: o lasci la presa e la porta si spalanca, o in qualche modo tutto quello che contiene ti ferisce, ti distrugge, graffia le pareti della cella in cui è rinchiuso e tu lo senti, senti il dolore che ti provoca.
È solo che c'è differenza tra chi sceglie una via o l'altra: una è senza uscita, l'altra sì, anche se in alcuni casi richiede fatica per riuscire a trovarla.

Ma perché lui lo trovava così difficile? Come poteva reprimere tutto quando questo lo aveva ormai consumato e aveva buttato giù la porta?
A differenza di Rey, così difficile da capire, ma così facile da leggere per lui, ma anche così fragile e forte, Ben era in quella situazione che sta tra una caduta e l'altra, quella che non ti permette di restare in equilibrio troppo a lungo senza un appiglio.
E lui si stava rifiutando di aggrapparsi a lei ancora e ancora, non voleva ferirla, ne era terrorizzato solo all'idea.
Ma perché non lo capiva?
A lei non importava tutte le volte che doveva sostenerlo, lei necessitava di lui come l'aria, un respiro dopo l'altro ne era sempre più dipendente e, per quanto Ben non volesse ammetterlo, notava il suo sguardo, il modo in cui lo osservava, in cui i suoi occhi cercavano di scavargli dentro e, per qualche strana ragione, ci riuscivano.

Rey fece un passo avanti, si voltò verso Ben, forse per incoraggiarlo a parlare, ma rimase immobile nell'osservare la sua espressione. Era come assistere ad un conflitto, sapeva benissimo tutto quello che gli stava passando per la testa, ma adesso che lo guardava si sentiva soffocata dal suo sguardo, era come se stesse urlando di essere aiutato e allo stesso tempo stesse cercando di chiudere ogni possibile accesso ai suoi pensieri.

Lo stivale si appoggiò lentamente sul suolo polveroso e ricoperto di un sottile strato grigio....sembrava cenere, lo era.
Dopo il primo passo il generale cercò di proibirsi di proseguire, ma inesorabilmente si ritrovò più distante di quel che voleva dalla nave. Il paesaggio era deserto e malinconico, non era rimasto nulla, solo i resti facevano da contorno al cielo annuvolato e agli alberi inceneriti.
Da quel che Leia rammentava, era stata solo una volta sulla base 2, ma, nonostante ciò, questa visione di distruzione la lasciò ammutolita. Era stato il Primo Ordine, lo sapeva, ma non poteva smettere di chiedersi come si potesse essere così...crudeli e privi di ogni buona caratteristica, era sempre stata troppo comprensiva prima, ma era diverso adesso, aveva visto e vissuto troppo per ignorare il messaggio che emanava quel pianeta: dolore.
Avvolta in un mantello di stoffa blu notte si incamminò verso il posto dove doveva sorgere l'edificio principale, ora era solo qualche detrito a terra, a malapena erano rimaste le fondamenta.
Chube la affiancò ed emise un leggero latrato, appena sussurrato, disse che non era prudente stare lì, erano un facile bersaglio in effetti, il Primo Ordine doveva essere ancora in qualche settore lì vicino.
-Hai ragione. Andiamo, dobbiamo fare rapporto.-
Il wookie si allontanò e scomparve nele paratie di ferro del vascello mentre Leia si dirigeva a passi, a tratti veloci e ad altri lenti, verso di esso.
A pochi metri però si fermò, si girò e diede un ultimo sguardo al cielo grigio, con la luce sfocata e stanca che raggiungeva come un velo soffocante il suolo. Fece un respiro profondo prima di salire la passerella, un ultimo, veloce, pensiero: non è finita, non ancora.

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