Incipit

"Shhh, non urlare," disse Anny al marito, seduta su una poltrona nella zona lettura del soggiorno. James, invece, stava in piedi accanto a lei. Nella penombra, sembravano due statue di pietra. Era tarda notte, e dai loro sguardi traspariva un misto di dubbio e preoccupazione.

Lui aveva un'aria provata, una maschera d'inquietudine: spettinato, con la barba incolta e la camicia sbottonata. I suoi occhi erano gonfi e stanchi. Il viso di Anny era pallido e segnato, i capelli arruffati, e gli occhi arrossati. Indossava una camicia lunga da notte che le sfiorava le caviglie.

Nella luce impietosa della lampada, James se ne stava con le spalle chine, travolto da un misto di rabbia e impotenza. Triangoli di luce acquosa, proiettati dalla finestra dai fari delle poche auto di passaggio, si disegnavano sul soffitto per poi ripiegarsi in fretta, come ventagli da signora, e ricadere sul pavimento.

Dentro quella luce provvisoria, con un esasperato sospiro, come un palloncino punto da uno spillo, James ruppe il silenzio: "Anny, cosa vorresti che faccia?"

Lei strinse le mani sulle ginocchia, il volto preoccupato.
"Penso che sia giusto, almeno, guadagnare del tempo," rispose con un filo di voce.

James annuì appena, il suo sguardo ancora incerto, mentre andava avanti e indietro per la stanza.
"Non possiamo farci niente. Le cose non stanno come pensavamo. Si sono inventati tutto. Quello che abbiamo scoperto è solo l'inizio," ribadì.

Anny lo fissò, il volto teso dall'apprensione.
"Pensi davvero che faccia tutto parte di un grande piano?"

"Certo," rispose James, fissando il vuoto come in cerca di risposte impossibili.

"E se stessimo facendo una cretinata?" chiese Anny, il timore evidente nei suoi occhi.

"Non lo so. Dubitare adesso sarebbe imperdonabile. Tornare indietro ci metterebbe in una posizione ancora più rischiosa. Questa è una scelta che dobbiamo fare solo noi."

Anny annuì lentamente.
"Se tocca a noi decidere, cosa possiamo fare davvero?"

"Come ti ho già detto, non possiamo tornare indietro. Non dopo quello che abbiamo fatto."

Lei esitò, poi chiese a bassa voce:
"Quanto in là ci siamo spinti? L'avranno scoperto?"

"Non lo so," rispose James, alzando le spalle. "Beh, comunque non sarà difficile scoprirlo. Sai... le telecamere di sicurezza." 

Abbassò lo sguardo per un istante, poi continuò:
"Ma, ad ogni modo, spegnere tutte quelle stupide macchine non passerà di certo inosservato a lungo. Dobbiamo solo andare avanti; non ci sono alternative."

"E cosa significa questo, esattamente?" insistette Anny, cercando risposte chiare.

"Che dobbiamo..." James si interruppe, fermato da lei, che sembrava non voler perdere altro tempo.

"Sperare? La speranza non è una tattica, James."

"Non intendevo quello. Intendevo fare del nostro meglio."

"Del nostro meglio? Tutto qui?"

James serrò le labbra, pensieroso. "Sì, tutto qui. Lo sai che sono più bravo a seguire i consigli che a darli."

"Dimmi qualcosa che non so."  Nel frattempo, cambiò la posizione delle gambe, facendo scricchiolare la poltrona.

"Ti prego, Anny, non costringermi a dire di più, perché potresti..."

"Arrabbiarmi ancora di più?" Lei alzò gli occhi al cielo, pronunciando il suo nome lentamente: "Ja-mes," un'abitudine che usava quando era davvero esasperata. "Te l'avevo detto che era pericoloso. Per noi, e per nostro figlio."

"Anny, basta. Non ricominciare, d'accordo?"

Lei lo fissò, cercando di decifrare i suoi pensieri. "Mi spieghi cosa sta succedendo esattamente? E quelle minacce? Voglio capire chi c'è dietro. E se dalle minacce passassero ai fatti?"

"Anny, ti prego, smettila di pensare sempre al peggio." La sua voce tremava leggermente, e un fremito accompagnava ogni frase, tradendo l'agitazione che cercava di mascherare. "Quelle minacce non ci riguardano... non ancora, almeno." Ma il suo tono, insicuro, non sembrava affatto convincente. 

"Mi credi una sciocca?" Lo guardò di traverso. "E quel taglio sul labbro?" Gli indicò lo sbrego di due o tre centimetri. "Capisci in che situazione ci siamo messi?" Il tono di lei era privo del suo solito ottimismo. "Sono sconvolta. Quelle minacce... Pensi che vengano da loro? E se sì, come hanno fatto ad arrivare a tanto?"

James, dopo aver osservato le mani tremanti di sua moglie, il suo volto si trasformò in una maschera di rughe e odio. Poi si passò una mano tra i capelli, cercando le parole giuste. "Non ne sono sicuro," rispose lentamente. "Ma era un rischio calcolato."

"Calcolato?" Lo guardò incredula. "Come puoi calcolare qualcosa quando è in gioco la nostra vita?"

"Nessuno può accusarci di nulla."

"E se ci avessero scoperto?" chiese lei, con un filo di voce tremante.

"Non significa che siamo nemici del Dominio," rispose James, con tono grave. "Non ancora."

"Cosa intendi con 'non ancora'?" Anny lo incalzò, senza lasciargli il tempo di rispondere.

"Forse potrebbe essere tutto diverso da come pensiamo. Forse qualcuno sa più di noi." James sospirò, prima di continuare. "Forse c'è ancora una via d'uscita, ma dobbiamo essere cauti. La prima cosa è non dire niente a nessuno. È l'unico modo per proteggerci."

"Questo lo so," ammise Anny, con un filo di voce. 

Lui chiuse gli occhi per un istante, come se cercasse le parole giuste. "Ho fatto quello che ho fatto perché non potevo restare a guardare," mormorò, con una nota di dolore. "Non dopo ciò che avevo scoperto. Dovevo fare qualcosa."

"Ma a che prezzo, James? Ci hai messi tutti in pericolo."

"Lo so," rispose lui, abbassando lo sguardo. "Pensavo fosse l'unico modo. Se andiamo fino in fondo, potremmo vedere il Dominio sotto una luce diversa. La nostra stessa esistenza cambierebbe."

"Già!" replicò lei, con incredulità e rassegnazione. "È incredibile cosa trovi quando sollevi una pietra e guardi nel buio."

James la interruppe: "Anny, l'idea non piace neanche a me, ma dobbiamo agire. Se trovassimo delle prove, i Comunitari dovrebbero sapere la verità. Dobbiamo sfruttare la nostra posizione."

"James, ti ricordo che in passato abbiamo già oltrepassato i limiti. Ma servirà davvero?"

"Sono stufo di questa ipocrisia. Questa è la verità."

"Anch'io voglio credere in qualcosa di vero. Ma... e se lasciassimo perdere? Se ce ne andassimo e basta?"

"No. Dobbiamo affrontare la situazione. Se non lo facciamo noi, chi lo farà?"

"Ma se ci sbagliassimo? Se fosse tutto un errore?"

"Allora ce ne assumeremo le conseguenze." 

Anny lo interruppe subito, con tono tagliente: "Allora, qual è l'alternativa? Vuoi davvero che ci infiltriamo per scoprire cosa nascondono quei sistemi di sicurezza avanzatissimi? E se lasciassimo tutto com'è?"

"Potrebbe essere un'opzione. Ma quel rischio dobbiamo correrlo solo quando non ci sarà più altra scelta."

Seguì un silenzio teso. Poi James, con tono deciso, disse: "Non possiamo fare altro che scoprire ciò che è stato nascosto alla Comunità. Non preoccuparti, ce la caveremo."

Ma lo sguardo che gli rivolse tradiva i suoi dubbi. Era a pezzi. James la tirò a sé e le baciò la fronte, come faceva sempre quando era triste o arrabbiata. Alla fine, Anny annuì, ma l'incertezza era evidente sul suo volto.

"James, come siamo arrivati a questo punto?"

"Secondo te?" replicò lui, con un filo di frustrazione.

"Mi chiedo solo cosa potrebbe accaderci se andassimo avanti. Pensa a Kevin. Tutto ciò che conta è che nostro figlio sia al sicuro."

"Certo che lo capisco," rispose, cercando di rassicurarla. "Capisco quanto sei preoccupata. Vuoi proteggerlo, e hai ragione. Ma è più forte di quanto pensi."

Le sfiorò il viso con delicatezza, spostandole un ricciolo. Anny lo fissava, in cerca di risposte.
"Se preferisci, possiamo dirgli tutto. Ma ti prometto che non permetterò mai a nessuno di fargli del male."

"No, James!" lo interruppe, alzando la voce. "Kevin non deve sapere. Non deve sapere niente, capisci? Sarebbe molto peggio se scoprisse tutto adesso." Si fermò, lasciando il pensiero sospeso.

"D'accordo," disse lui, abbassando lo sguardo. "È meglio che non sappia nulla, almeno per ora. Anche se... non sono del tutto d'accordo. È abbastanza grande per capire che..."

Quelle parole di suo marito sembrarono calmarla un po'. Alla fine accennò un sorriso, debole ma sincero.

"Forse un giorno," mormorò Anny, "ma non adesso. Dobbiamo fare qualcosa, giusto?"

"Sì," le rispose, con un sorriso che non riusciva a nascondere l'apprensione nei suoi occhi.

"È chiaro che ognuno è artefice del proprio destino, ma ti rendi conto che siamo su una barca che non possiamo più manovrare?" Scosse la testa, e la rabbia le brillava negli occhi.

James sembrava tormentato dall'impotenza, un peso evidente nel suo silenzio. Lei lo fissava intensamente, le mani tremanti, come se lottasse per non scoppiare. 

"Sapevo che non avevi ancora trovato la soluzione," mormorò, la voce carica di frustrazione.

"Anny, sai come la penso. Voglio andare fino in fondo. E dopo, faremo come vuoi tu. Te lo prometto."

Le prese la mano, come se fosse l'ultimo appiglio rimasto. Era tutto ciò che poteva offrirle. Ma il suo volto tormentato tradiva l'incertezza.

"James, perché vuoi farne la tua crociata personale?"

Lui esitò, poi rispose con una voce bassa e pesante. "Non voglio discutere. Ma ricorda chi eravamo e chi siamo diventati. Dove andremo a finire? L'unica cosa che desidero è che nostro figlio..." Si interruppe, come se quelle parole gli stessero strette, poi riprese con rassegnazione. "Le bugie continueranno finché non decideremo di agire. E quel potere... pensi che ne abbiano fatto buon uso?"

Prima che lei potesse rispondere, le sfiorò la spalla con un gesto dolce, quasi protettivo.
"Non possiamo desiderare altro per nostro figlio," disse, lasciando vagare lo sguardo sul tavolino, dove alcune foto di Kevin da bambino erano disposte con cura.

James prima sorrise debolmente, un gesto che sembrava più un riflesso automatico che un'espressione di gioia. Poi stirò la bocca ai lati, accompagnando il movimento con un sospiro, lasciando trasparire la sua frustrazione. "Voglio solo che sia felice. Ma a volte, per quanto si ami un figlio, non è abbastanza.

Anny lo guardò con il volto teso. "Possiamo solo sperare di non dover affrontare il peggio."

James rimase in silenzio, lo sguardo perso nei pensieri che sembravano tormentarlo.

"E ora che c'è?" chiese Anny, con una punta d'impazienza.

"Abbassa la voce. Ho sentito un rumore. Dobbiamo stare attenti a non svegliare Kevin." Fece un gesto con la mano e aggiunse, abbassando il tono: "Ssst!"

Lei si sistemò meglio sulla poltrona, avvicinandosi a mio padre di circa venti centimetri, per abbassare un po' il volume della voce, prima di dirgli: "Guardami, James. Ti prego, dimmi che c'è?"

Nel frattempo, il viso di Anny si tese come una corda, le mani strette in pugni, mentre attendeva una risposta.

"Niente... mi era sembrato..." Fece una pausa, fissando il vuoto. "No, non è nulla."

"Non sarà che lo abbiamo svegliato?" gli chiese con un sospiro, cercando di calmarsi.

Abbassando lo sguardo verso sua moglie, per rincuorarla, le disse: "No, non credo. Ma parliamone fuori in giardino."

"Sì, certo. È meglio." 

Appoggiò il palmo delle mani sui braccioli della poltrona e si alzò di scatto. James le prese la mano e la guidò verso l'uscita, alla luce della luna, dove gli alberi proiettavano strane ombre, simili a un pubblico silenzioso, pronto per il prosieguo della scena. 

Prima di varcare la porta, si voltò, lanciando uno sguardo verso la scala. Poi, la porta si chiuse dietro di loro, e la stanza sprofondò nel silenzio, mentre nella notte il mistero cresceva, come sospeso nell'attesa di essere svelato.

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