19. Quattro

IL VELENO DEL SERPENTE

. 19 .

Quattro

Io sono Eneas Lodo.

Eneas aprì gli occhi di scatto e si trovò davanti un alto soffitto di marmo bianco. Rimase immobile, le braccia lungo i fianchi e le gambe distese. Mosse leggermente le dita e un indolenzimento diffuso gli si irradiò dalle mani al resto del corpo.

La sua coscienza ci mise un po' a riemergere dal profondo limbo in cui era finita. La Prova gli sembrava accaduta secoli prima, in un sogno, e più si sforzava di ricordare cosa fosse successo meno ci riusciva. Tutto era confuso nella sua testa e sopra ogni cosa si stagliava l'immagine di De Soledad che gli diceva che aveva superato la Prova. Solo che Eneas non aveva la più pallida idea di cosa avesse fatto per riuscirci.

Girò lentamente la testa, guardandosi intorno. Era in una stanzetta lunga e stretta, con lo spazio appena sufficiente per il letto su cui era sdraiato, e priva di finestre.

«Ti sei svegliato» disse una voce maschile da un angolo della stanza. Eneas girò velocemente lo sguardo in quella direzione e gli occhi gli pulsarono per il fastidio. Li richiuse subito e li riaprì lentamente per guardare l'uomo vestito di bianco che si avvicinava al letto.

«Cosa...» provò a dire Eneas, ma la sua voce era roca e le parole uscirono a fatica. Si schiarì la gola. «Cosa è successo?»

«Sei stato male durante la Prova...» cominciò a spiegare l'uomo, ma Eneas subito lo interruppe.

«Ma mi hanno detto che l'ho superata!» Doveva essere così per forza.

«Sì, ma il tuo corpo ha subito un trauma e avevi bisogno di riprenderti. Però stai tranquillo, a parte una fiacchezza complessiva e possibili dolori muscolari non dovresti avere nessun problema. Riesci a sederti?»

Eneas puntellò i gomiti sul letto e provò a tirarsi su. Ebbe un giramento di testa, ma svanì quasi subito e alla fine, con l'aiuto dell'uomo – che doveva con tutta evidenza essere un dottore – riuscì anche a mettersi in piedi. Azzardò un passo.

«Ottimo, ti sei ripreso perfettamente» disse il medico.

«Quanto tempo sono stato svenuto?»

«Qualche ora.»

Ormai tutti dovevano aver finito la Prova, realizzò Eneas, e fu assalito dall'impellente bisogno di vedere i suoi amici per assicurarsi che stessero bene.

«Posso andare?»

Il dottore annuì. «Il Comandante Cortéz mi ha chiesto di portarti subito da lui, una volta che ti fossi ripreso. Vieni.»

Eneas lo seguì lungo un corridoio fino a una porta sulla destra. Il medico lo fece entrare, scambiò due parole con un militare e se ne andò senza salutare. A Eneas non importava. La stanza era molto grande e vi erano radunate le reclute del suo anno. Fece vagare lo sguardo sui tutti quei volti, finché non scorse la figura allampanata di Horacio e i capelli ricci di Rico. Fece per raggiungerli, ma qualcuno lo fermò afferrandolo per un braccio.

Il ragazzo si voltò di scatto, con una velocità tale che per un istante temette di cadere. Fu sorpreso di trovarsi davanti De Soledad.

«Eneas, come ti senti?» Il Capitano lo stava squadrando con così tanta attenzione che Eneas avrebbe voluto sottrarsi alla sua presa e nascondersi tra la folla. Era evidente che l'altro stava cercando in lui qualcosa, ma il ragazzo non avrebbe saputo dire cosa.

«Bene, credo» rispose infine.

De Soledad era sul punto di dire qualcosa, ma il Capitano Flores stava richiamando l'attenzione della sala e quindi De Soledad liberò il braccio di Eneas e si mise al fianco degli altri militari graduati, a un'estremità della stanza. Eneas si affrettò a raggiungere i suoi amici.

«Eneas!» esclamò Rico non appena fu al suo fianco e lo strinse in un goffo abbraccio con le sue grosse braccia. Eneas si ritrovò con la faccia schiacciata sulla spalla dell'amico e il suo naso fu assalito da un pungente odore di sudore, ma non fece in tempo a lamentarsi che Rico lo lasciò andare.

«Dov'eri finito?» gli domandò.

«Pensavamo che ti fosse successo qualcosa di brutto» intervenne Horacio, passandosi una mano tra i capelli che gli ricadevano sulla fronte e anche Eugenio annuì.

Eneas aggrottò la fronte e fece un giro su se stesso. «Jorge dov'è?»

«Non lo so» rispose subito Rico. «Dopo la Prova sia tu che lui siete spariti e nessuno voleva dirci che fine avevate fatto. Non era con te?»

Eneas scosse il capo.

«Ma ora che tu sei tornato sicuramente arriva anche lui» continuò Rico, annuendo.

La voce possente del Capitano Flores li interruppe. «Soldati, se siete qui è perché avete superato la Prova e sono orgoglioso di accogliervi nell'esercito di Portonovo. Per i discorsi retorici ci sarà tempo, ora voglio concentrarmi su alcuni aspetti pratici. Come sapete, adesso sarete divisi tra gli Eserciti Interno ed Esterno. I vostri insegnanti mi hanno segnalato le attitudini di ogni squadra e in base a quelle adesso vi smisterò nelle vostre destinazioni finali. Faranno eccezione le squadre incomplete, che entreranno tutte nell'Esercito Interno.»

«In che senso incomplete?» mormorò Horacio.

Poi Flores cominciò a chiamare per nome i componenti delle varie squadre e a mandarli a destra o a sinistra. Alla fine rimasero solo la squadra di Eneas e un'altra ventina di ragazzi. Flores rimase in silenzio.

Per tutta la durata della procedura di smistamento Eneas aveva sentito i suoi nervi tendersi sempre più a ogni squadra chiamata che non era la sua e ora che erano rimasti tra gli ultimi si sentiva così teso che avrebbero potuto usare il suo corpo per scoccare una freccia.

Le squadre incomplete...

Dove merda di torba era finito Jorge?

Eneas inghiottì il panico.

Il Capitano Flores si avvicinò al gruppo dei ragazzi rimasti, le braccia dietro la schiena e un'espressione imperscrutabile sul viso.

«Camilo Sol, Xavier Pardo, Jorge Remos, Guido Altamura, Pablo Santos e Vicente Urai non hanno superato la Prova» sentenziò e per un attimo la mente di Eneas si fece bianca. Quello che aveva sentito poteva essere interpretato in un unico modo, solo che semplicemente non aveva alcun senso.

«Pertanto le vostre squadre risultano incomplete ed entrerete tutti nell'Esercito Interno.»

«Dov'è Camilo?» urlò un ragazzo alle spalle di Eneas.

«Cosa succede a chi non supera la Prova?» gli diede manforte Rico.

Il Capitano Flores non rispose ed Eneas riuscì a vedere distintamente la maschera priva di emozioni che era il suo viso infrangersi per lasciare posto alla pietà. E in quel momento capì, prima ancora che Flores potesse dire qualunque cosa.

«Sono morti?» chiese e la voce gli si ruppe sull'ultima parola.

Nella stanza calò un silenzio assoluto.

«Mi spiace» disse infine il Capitano.

«Non dite merdate!» esclamò Rico. «Non sono morti.»

Ma Eneas non stava più ascoltando. Riusciva solo a pensare al volto di Jorge quella mattina, quando preparavano la valigia uno accanto all'altro. Il ricordo del sorriso che aveva fatto l'amico alla sua battuta sugli scarafaggi gli ruppe qualcosa nel petto ed Eneas strinse forte i pugni, mentre i singhiozzi premevano per uscire dalla sua gola.

Il brillante e intelligente Jorge non poteva aver davvero fallito la Prova. Proprio lui tra tutti.

Ma più se lo ripeteva più Eneas si rendeva conto che quelle qualità, durante la Prova, non contavano niente. Ripensò alla propria ed ebbe la certezza che anche lui sarebbe morto se non fosse stato per De Soledad.

Il brillante e intelligente Jorge era morto.

Il suo amico Jorge era morto.

Il pensiero che non esistesse più in nessun luogo era troppo devastante per poter essere afferrato nella sua terribile interezza.

Accanto a lui, Rico stava ancora parlando con Flores, ma Eneas non aveva idea di quello che stavano dicendo. Vedeva le loro labbra muoversi, ma alle sue orecchie arrivavano solo suoni confusi privi di significato. Eneas incontrò lo sguardo di Eugenio e poi quello di Horacio, sconvolti e immobili quanto lui. Avrebbe forse voluto ricevere da loro un qualche conforto, ma erano tutti rotti nello stesso identico modo.

«Adesso basta» disse Flores. Non alzò la voce, ma il suo tono bastò a mettere a tacere Rico e chi, come lui, si stava ancora lamentando.

«Da oggi siete soldati a tutti gli effetti e non è così che dei soldati affrontano le perdite. Questa è la prima, la più dura, ma ce ne saranno ancora tante altre e dovete imparare ad accettarle. Ora seguite il Capitano De Soledad, che vi guiderà ai vostri nuovi alloggi.»

Eneas seguì passivamente gli altri ragazzi verso il gruppo destinato all'Esercito Interno. Oltre alle squadre incomplete, ve ne erano solo altre cinque: la maggior parte dei nuovi soldati era stata assegnata al contingente Esterno. Non che a Eneas importasse più di tanto di finire in un gruppo piuttosto che nell'altro. Nell'immaginario collettivo, quando si pensava al soldato per antonomasia quella che veniva in mente era la divisa verde dell'Esercito Esterno, ma tante volte Horacio aveva sottolineato come fosse meglio rimanere nel castello a proteggere i Divini Sovrani piuttosto che andare a farsi ammazzare. Almeno di questo il ragazzo avrebbe dovuto essere contento.

Eneas si domandò dove li avrebbero mandati, se Jorge avesse superato la prova. Un magone liquido gli ostruì la gola: avrebbe accettato qualunque sorte, se questo avesse significato poter avere ancora l'amico al suo fianco.

«Seguitemi» disse il Capitano De Soledad, lasciando la stanza.

La Prova Finale si svolgeva in un edificio poco distante dal castello e quindi il tragitto fu molto breve. Passarono dalla sala dove quella mattina avevano lasciato i loro bagagli ed Eneas si chiese cosa ne avrebbero fatto di quello di Jorge.

Una volta che ognuno ebbe recuperato la propria valigia, De Soledad li guidò costeggiando le mura del cortile del palazzo e poi li fece entrare da un portone secondario. A differenza delle altre volte in cui Eneas ci era stato, il cortile ora era vuoto e gli parve enorme e desolato come un cimitero.

«Vi sono state assegnate delle camere nell'ala del castello dedicata all'esercito. Una stanza per ogni squadra. Da domani vi verranno assegnati i vostri nuovi compiti, in base alle necessità. Se ne occuperà un capitano dell'Esercito Interno, io vi accompagnerò solo ai vostri alloggi» spiegò loro De Soledad mentre attraversavano il cortile ed entravano nel palazzo. Eneas fu sollevato nel notare che la zona dedicata all'esercito era molto più sobria rispetto alle sale di rappresentanza: tutto quello sfarzo gli sarebbe sembrato solo una presa in giro, come una donna vestita a festa durante un funerale.

Il Capitano li portò fino a un corridoio al piano terra.

«Oltre quelle porte ci sono l'armeria e le scuderie. Le cucine e la sala mensa invece sono di là. Per oggi non dovete fare niente. Prendete possesso della camera e riposatevi. Tra un'ora sarà pronta la cena. Domande?»

Nessuno rispose. La tristezza delle squadre incomplete aveva contagiato anche quelle che non lo erano e ora tutti guardavano il Capitano con espressione seria e tesa.

«Bene, allora è tutto. Riposo, soldati» disse e li lasciò nel corridoio, davanti alle porte chiuse delle camere. Dopo qualche istante di silenzio, i ragazzi cominciarono a parlottare tra loro sottovoce, come se temessero di disturbare qualcuno.

«Dobbiamo scegliere una camera» disse Eugenio. Il suo tono era piatto e asettico, ed Eneas ebbe l'impressione che l'unico motivo per cui aveva posto la domanda era che qualcuno lo doveva pur fare.

«Una vale l'altra, non ha nessuna importanza. Tanto saranno tutte uguali» gli rispose.

Eugenio afferrò la maniglia più vicina e la girò. Dall'altra parte li aspetta una stanza spoglia, con le pareti bianche e il pavimento di pietra scura. Erano presenti cinque letti: quattro a castello e uno singolo sotto alla finestra. Per il resto, vi erano solo un grande armadio, una cassettiera e un tavolo con cinque sedie. Una porta socchiusa sulla parete di sinistra lasciava intravedere un bagno.

Per otto anni Eneas aveva dormito nel letto sopra a Jorge e il pensiero di svegliarsi la mattina e trovare qualcun altro sotto di lui gli fece così male che si avviò dritto verso uno dei letti di sotto. Stabilirono poi che Rico era troppo pesante per dormire di sopra e così lui prese l'altro letto di sotto, mentre Eugenio e Horacio si arrampicarono sulle scalette, il primo sopra Eneas e il secondo sopra Rico. Nessuno fece commenti sul quinto letto.

Rimasero sdraiati in silenzio per un po', poi Rico sbottò: «Avrebbero dovuto avvisarci!»

«Di cosa?» gli chiese Eneas, voltandosi a guardarlo.

«Che la Prova Finale era così pericolosa che avrebbe potuto ucciderci.»

«E se anche ce lo avessero detto cosa sarebbe cambiato?» esplose Eugenio. La rabbia nella sua voce contrastava nettamente con il tono apatico che aveva usato fino a quel momento. «Avresti rinunciato? Avresti abbandonato l'accademia per tornare a casa dalla mamma?»

Eneas sapeva che non ce l'aveva davvero con Rico, ma per Eugenio era sempre stato facile prendersela con lui e ora l'amico doveva subire anche il rancore che in realtà era diretto verso qualcun altro.

Rico balzò a sedere. «Certo che no! Ma avrei potuto fare qualcosa di diverso.»

«Cosa? Dimmi come ti saresti preparato se ti avessero detto tutta la verità sulla prova: allora, reclute» continuò Eugenio, scimmiottando il modo di parlare di Cortéz. «In pratica, vi verrà dato un bicchiere pieno di un liquido sconosciuto, voi dovete berlo e poi stare fermi, mentre la commissione vi guarda contorcervi per i conseguenti dolori di stomaco. Ah, sì, qualcuno di voi potrebbe morire. Dimmi come ti saresti preparato a questo!»

Eneas non riusciva a vedere il volto di Eugenio, nel letto sopra di lui, e non sapeva come immaginarselo: raramente il ragazzo aveva perso a tal punto il controllo di sé.

Rico si zittì, sorpreso a sua volta da tale manifestazione di rabbia.

«Non lo so» mormorò poi. «Ma magari se ce lo avessero detto ora Jorge sarebbe con noi.»

Calò di nuovo il silenzio.

«Ma voi avete avuto solo mal di stomaco?» domandò Eneas.

«Io sì» rispose Eugenio. «Il peggiore della mia vita.»

«Io ho vomitato» ammise Horacio. «E sono quasi svenuto. Pensavo di stare impazzendo, ma poi De Soledad si è messo a parlarmi e mi sono sentito meglio.»

«A me sembrava di andare a fuoco, come se mi stessero bruciando le viscere» disse Rico.

Enas assorbì le loro risposte senza ribattere nulla. Quella di Horacio era l'esperienza che assomigliava di più alla sua, ma comunque le separava un abisso.

«Tu?» gli chiese Rico.

Eneas esitò. «Io... non lo so, in realtà. È stato terribile, era come se avessi perduto me stesso e fossi diventato qualcos'altro.»

«In che senso qualcos'altro?» Rico si sporse verso di lui oltre lo spazio che divideva i letti.

Quello che gli era successo era così assurdo che Eneas non sapeva se condividere la sua esperienza, ma poi pensò che loro erano i suoi migliori amici, gli unici che gli rimanevano: se non lo raccontava a loro, a chi mai avrebbe potuto dirlo?

«Non lo so spiegare. Mi sembrava di essere diventato enorme e più forte di quanto sia mai stato. Ma non riuscivo a ragionare, ero troppo pieno di rabbia. Se De Soledad non mi avesse fermato, avrei distrutto tutto.»

«De Soledad? E come ti ha fermato?»

«Mi ha parlato. Mi ripeteva cose tipo "Tu sei Eneas Lodo, ricordati chi sei" e poi tutto è finito. È sono svenuto.» Eneas fece una pausa. «Io credo che sia così che Jorge è morto: ha perso se stesso e non si è più ritrovato.» Dire ad alta voce quelle parole fu come passarsi della carta vetrata in gola.

«Cosa c'era in quel bicchiere?» domandò Eugenio.

«Lo hanno ammazzato!» esclamò invece Rico.

Cosa c'era in quel bicchiere? Improvvisamente per Eneas saperlo divenne molto importante. Era qualcosa che lo aveva intaccato così nel profondo che al solo ripensarci si sentiva immobilizzare dalla paura. Doveva scoprirlo, a tutti i costi.

Strinse forte i pugni. Rico aveva ragione: avevano ammazzato Jorge. Avevano tentato di ammazzare ognuno di loro ed Eneas non poteva accettarlo passivamente. Non poteva semplicemente dire "va bene, uno dei miei migliori amici è morto, ora posso andare avanti con la mia vita". No, uno dei suoi migliori amici era morto e lui avrebbe capito come era stato ucciso.

E poi?

Eneas non sapeva cosa avrebbe fatto poi. Quello che gli serviva ora era un obiettivo, qualcosa che gli impedisse di continuare a pensare che non avrebbe visto Jorge mai più e che lo spronasse ad alzarsi dal letto la mattina seguente e quella dopo ancora.

Fino a quel momento lo scopo della sua vita era stato prepararsi per essere un bravo soldato e superare la Prova Finale. Ora ci era riuscito, ma la sensazione di perdita che sentiva era così intensa che il pensiero di avercela fatta non gli arrecava nessun piacere. Sentiva solo un grande senso di vuoto.

Per cui ecco quello che avrebbe fatto: avrebbe reso giustizia a Jorge.

Se fosse stato un idealista come Rico avrebbe potuto dire di volerlo fare anche per tutte le reclute future, affinché non dovessero mai subire quello che avevano subito loro, ma lui non era un idealista e non gli importava. Non voleva ingannare se stesso.

Non gli interessava essere l'eroe di nessuno.

L'unica cosa che davvero voleva in quel momento era che Jorge fosse sdraiato sul quinto letto, a guardarli discutere con in viso il suo sorriso gentile. E semplicemente non poteva accettare che non fosse così.

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