16. Giorno di festa
IL VELENO DEL SERPENTE
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Giorno di festa
«Buon compleanno, Eneas!» gli gridò Rico nell'orecchio, facendolo balzare a sedere di scatto sul letto prima ancora che l'intendente venisse a svegliarli.
«Merda di torba! Ma sei impazzito?» rispose, guardandolo con un truce sguardo assonnato.
«Oggi è la tua festa.»
Eneas si passò una mano sul volto e si tirò indietro il ciuffo, che gli ricadde subito davanti all'occhio destro. Oggi compiva vent'anni, ma a parte i suoi amici non se ne sarebbe ricordato nessuno perché, come sempre, coincideva con la Festa della Dinastia e Portonovo aveva cose più importanti da celebrare. Non che lì in accademia di solito facessero qualcosa di speciale per i compleanni, ma almeno per un giorno il festeggiato era al centro dell'attenzione. Lui non aveva mai avuto questo privilegio.
Il ragazzo buttò le gambe giù dal letto, rischiando di tirare un calcio in faccia a Rico.
«Ehi, fai attenzione!»
Eneas ignorò le sue lamentele. «Già che mi hai svegliato, andrò in bagno ora che non c'è ancora nessuno.»
Secondo Rico invece Eneas era fortunato a essere nato proprio in quel giorno: tutto il Principato era in festa e avrebbe potuto fingere che fosse per lui. Il problema era che Eneas sapeva che non era vero.
Quando era piccolo in realtà adorava il suo compleanno: nel giorno della Festa della Dinastia nessuno lavorava e sia suo padre sia i suoi fratelli più grandi erano a casa. Per l'occasione la madre cucinava sempre il pezzo di carne più buona che riusciva a trovare a buon mercato e passavano la giornata tutti insieme a mangiare e a giocare. All'epoca illudersi che tutto quello fosse solo per lui era più facile. Poi suo padre era morto e la magia era finita.
Jorge entrò in bagno poco dopo di lui, mentre si stava lavando la faccia. Eneas lo guardò dallo specchio con aria interrogativa.
«Rico ha svegliato mezzo dormitorio» spiegò Jorge, facendo spallucce. «Quando parla urla.» Poi gli si avvicinò e gli mise una mano sulla spalla, allungandosi per colmare la differenza di altezza. «Buon compleanno, compagno.»
Eneas sorrise al loro riflesso.
Quando tornò nel dormitorio, molti dei ragazzi si erano già svegliati e mormoravano tra loro, scherzando e dandosi colpetti giocosi sulle spalle. L'aria era vibrante di eccitazione.
Di solito, durante la Festa della Dinastia, sulla Gemma era tradizione che le reclute dell'ultimo anno attraversassero in parata l'isolotto, dal porto fino al cortile del castello. Lì erano attesi dai Divini Sovrani, che li benedicevano e poi li invitavano a partecipare a un banchetto in loro onore, con musica e danze. Era l'ultimo evento prima della prova finale, che si sarebbe svolta di lì a tre giorni, ed era un modo per celebrare il loro ingresso ufficiale nell'esercito.
Nel frattempo anche nel resto della città – o meglio, nei quartieri più benestanti – si sarebbe festeggiata la dinastia regnante con cortei e banchetti che sarebbero durati fino a notte fonda.
Questo prima della guerra.
Negli ultimi anni i festeggiamenti erano stati via via ridimensionati, limitando sempre più le risorse usate in modo da convogliarle in spese militari. Quest'anno alle reclute non era stata nemmeno fornita la divisa da cerimonia e avrebbero sfilato con la loro solita uniforme grigia e invece che un banchetto sarebbe stato loro offerto un buffet.
Meglio di niente, andava in giro a dire Rico da quando lo avevano scoperto. Il che era vero, ma comunque Eneas non lo trovava giusto. Sì, c'era una guerra in corso, ma perché doveva accadere proprio adesso? Dopo tutta la fatica fatta durante gli otto lunghi anni di addestramento sentiva di meritare qualcosa di più. Non era giusto che fosse toccato proprio a loro.
Il ragazzo scosse la testa, mentre indossava la sua solita uniforme appena lavata. Si domandava se almeno ci sarebbero stati i sovrani. Non, non era vero: quello che si domandava era se ci sarebbe stata la Principessa Aida. Rivederla da così vicino dopo tutti quegli anni gli aveva fatto uno strano effetto, come se all'improvviso si fosse trovato a guardarla attraverso un tunnel molto lungo che distorceva le immagini. Era uguale, eppure in lei c'era qualcosa che era cambiato, anche se non avrebbe saputo dire cosa. Si era fatta più magra, forse anche troppo, sottile e allungata come i giunchi che contornavano i canali ai confini della città. Quando tirava vento forte, molti si spezzavano e poi rimanevano lì, piegati fino a marcire e decomporsi; altri invece si flettevano, ondeggiando da un lato e poi dall'altro, ma finita la tempesta rialzavano la testa sopra la devastazione rimasta. Eneas si era chiesto di quale dei due gruppi la Principessa facesse parte.
Per tutto il tempo che ci mise a vestirsi, Eneas continuò a pensare agli occhi acuti della ragazza, che per tutto il tempo erano rimasti fissi su di lui invece che sui prodotti che le stava mostrando. Eneas era certo che l'aveva riconosciuto e quella consapevolezza lo aveva fatto sentire inspiegabilmente bene.
Il Comandante Cortèz li radunò tutti nell'aula delle lezioni e li fece sedere. Li guardò uno a uno e sul suo volto c'era una strana emozione che Eneas non seppe definire, sembrava quasi dolcezza mista a orgoglio, ed era così strana sul suo viso di solito rigido e serio che Eneas per un attimo si sentì spaesato. E fu in quel momento che realizzò davvero che tutto stava finendo.
Guardò l'aula intorno a sé, con le sue pareti bianche e i banchi di legno, e cercò di imprimersi nella testa ogni più piccolo particolare. Aveva passato in quell'edificio quasi metà della sua vita e ora stava per dirgli addio. Pochi giorni e l'avrebbe lasciato per sempre. Un'acuta sensazione di perdita gli trafisse il petto e si sentì come se stesse lasciandosi alle spalle casa sua per sempre, un'altra volta.
«Reclute.» Il Comandante richiamò la loro attenzione. «Questa sarà la vostra parata. Avete assistito per anni a questa cerimonia e ora, finalmente, è il vostro turno. Vi ho insegnato tutto quello che ho potuto e, se siete qui ora, a un passo dalla Prova Finale, vuol dire che ho fatto un buon lavoro. Ma soprattutto, vuol dire che voi avete fatto un buon lavoro.» Cortèz deglutì, prima di continuare il discorso. «I prossimi giorni li dedicherete esclusivamente alla preparazione della prova, ma oggi potete festeggiare. Divertitevi, perché ve lo meritate.» Fece una pausa e li guardò di nuovo in volto, con occhi acuti, e a Eneas parve che stesse cercando di prendere dentro di sé qualcosa di ognuno di loro, per trattenerlo per sempre.
«Dovete essere orgogliosi di voi. Io lo sono.»
Per un istante ci fu solo silenzio, un silenzio carico come l'aria prima di un temporale, poi scoppiò un applauso e i ragazzi cominciarono a urlare, nascondendo la commozione dietro a versi di gioia.
Tutti i gruppi dell'ultimo anno vennero riuniti nello piazzo davanti al portone che dava accesso alla Gemma, all'interno delle mura. Si disposero ordinatamente in file da cinque, ognuno vicino ai propri compagni di squadra, e poi la parata partì, guidata dal Capitano Flores. Eneas ripensò a quando l'uomo li aveva accolti in quello stesso punto, otto anni prima, e si domandò come avesse fatto il tempo a correre così veloce senza che lui se ne accorgesse.
Lungo le strade, le reclute degli anni successivi li guardarono passare con occhi colmi di ammirazione e invidia, così come avevano fatto loro per i precedenti sette anni, e a Eneas fece così strano essere dall'altra parte che per un attimo ebbe un capogiro. Si appoggiò a Eugenio, alla sua destra.
«Che fai?» gli domandò il ragazzo. «Sei inciampato? Se cadi ora farai una pessima figura.»
Eneas gli diede un pugno sulla spalla. «Se cado ti trascino con me» rispose, lieto che Eugenio l'avesse messa sul ridere.
«Provaci e sarà l'ultima cosa che farai.»
Eneas rise, poi prese un respiro profondo e camminò fino al cortile del castello a testa alta. Aveva deciso che voleva godersi il momento: come aveva detto Cortèz, se lo era meritato.
Si disposero nel vasto spiazzo rivolti verso il balcone, come tante volte avevano fatto, ma ora quelli in prima fila erano loro.
«Rico» lo chiamò Eneas.
«Sì?»
«Visto? Questa volta, finalmente, tocca a te.»
«Era ora!» gli rispose, con gli occhi felici e il petto in fuori, fiero come Eneas non lo aveva mai visto.
Il brusio che li circondava scemò ed Eneas portò gli occhi sul balcone, al quale erano apparse due guardie.
«Sua Altezza Divina, la Principessa Aida Delmar.»
Eneas sentì qualcosa scaldargli il petto. Di solito era il Principe a tenere il discorso per la Festa della Dinastia, ma era da un po' di tempo che aveva cominciato a delegare qualche compito alla figlia. Eneas provò una strana bolla di piacere al pensiero che questo passaggio di testimone fosse coinciso proprio con il suo ultimo anno di addestramento.
Aida avanzò fino alla balaustra e si affacciò sul cortile sottostante.
Da dov'era, Eneas riusciva a vederla bene, con i capelli rossi legati stretti sulla testa e la pelle candida che contrastava con il blu intenso dell'abito. In quel momento sembrava così perfetta che Eneas non fece nessuna fatica a credere nella sua divinità.
Quel giorno Brann era nascosto dietro grandi nuvole scure, che minacciavano pioggia, e quindi Eneas riusciva a guardare in direzione del palazzo senza rimanere abbagliato né dal candore del marmo né dai decori dorati.
La Principessa rimase in silenzio finché tutti non ebbero fatto il saluto cerimoniale.
«Reclute» disse poi e la sua voce dal timbro basso riecheggiò tra le mura del cortile «questa è l'ultima volta che verrete chiamati così. Fra tre giorni affronterete l'ultima prova e poi il futuro aprirà davanti a voi i suoi cancelli. Alcuni di voi verranno scelti per restare qui a palazzo, nella Guardia Interna, ma altri, la maggior parte, lasceranno questa piccola isola che per otto anni è stata la vostra casa.»
Fece una piccola pausa. Eneas cercò di distinguere l'espressione del suo volto, ma appariva imperscrutabile.
«Molti di voi partiranno verso i confini del nostro principato, per far sì che tale resti: nostro. Il futuro dipende da voi, dal vostro coraggio e dalla vostra forza. Guardatevi intorno.» Eneas sentì che gli altri ragazzi cominciarono a far girare lo sguardo, ma lui mantenne gli occhi fissi su Aida. «Ogni cosa che vedete è così solo grazie al valore dell'esercito, al vostro valore. Tutto ciò sarebbe nulla, polvere, se non ci foste voi a difenderlo. Ogni vita di Portonovo è nelle vostre mani.»
La Principessa fece un'altra pausa, più lunga. Eneas strinse gli occhi, per guardarla meglio, e la vide contrarre le dita poggiate sul parapetto, come se cercasse un sostegno. Per un istante temette che stesse per cadere.
«La vostra vita...» riprese, ma la voce le si incrinò e si interruppe subito. I suoi occhi vagarono per un attimo sulla folla, poi li chiuse e fece un respiro profondo. «La vostra vita e la vita di Portonovo sono legate in modo indissolubile.»
Il cuore di Eneas prese a battergli più velocemente in petto. Cosa stava succedendo? La Principessa stava male? Perché nessuno faceva niente?
«Ognuna delle vostre vite è come un piccolo diamante, pronta a brillare con coraggio anche nell'oscurità. La fuori vi aspettano momenti difficili, una guerra in corso, e come in tutte le guerre alcune delle vostre vite verranno recise. Ma ognuna è, è stata e sarà importante per Portonovo.»
Eneas vide i muscoli delle sue esili braccia tendersi al punto che ebbe paura di vederle andare in pezzi. Gli sembrò che fosse diventata ancora più pallida. Aida fece un altro respiro profondo.
«Voi siete importanti. Tutto dipende da voi. Io credo in voi. Affido la mia vita alle vostre mani.»
Tutti rimasero immobili per un istante. Era stato un discorso strano, anche se in un primo momento Eneas non seppe dire perché. Poi la Principessa rilassò i muscoli delle braccia e lentamente riportò le mani sui fianchi, come se stesse verificando di riuscire a reggersi in piedi anche senza il sostegno del marmo. Quindi indietreggiò e scomparve oltre le porte del balcone.
«Dov'è andata?» mormorò Rico.
Eneas scosse la testa. «Non ne ho idea.»
Un uomo comparve sul balcone e mormorò qualcosa all'orecchio di una delle guardie, per poi tornare all'interno del palazzo.
La guardia si mise sull'attenti.
«Sua Altezza Divina, la Principessa Marisol Delmar.»
Eneas e Rico si guardarono e il ragazzo riconobbe sul viso dell'amico la stessa espressione confusa che doveva esserci sul proprio.
L'altra principessa fece il suo ingresso sul balcone, ma tutti erano così perplessi che ci misero un po' a ricordarsi di fare il saluto cerimoniale.
Marisol fece un sorriso, guardando la folla sotto di lei. «Reclute, o meglio, soldati, in conclusione della parata siamo lieti di invitarvi a partecipare a un momento di musica nel salone delle feste del palazzo, dove troverete anche un piccolo buffet ad aspettarvi. Non è molto, ma abbiamo fatto tutto il possibile per rendere memorabile questa giornata così importante della vostra vita. Vi prego di seguire i vostri comandanti.»
Poi scomparve all'interno dell'edificio e tutti i ragazzi cominciarono a guardarsi intorno in cerca dei propri superiori. Eneas si accodò ai suoi amici e si lasciò guidare.
«Non ti è sembrata strana, la Principessa?» chiese a Jorge. Non specificò quale delle due, non ce n'era bisogno.
Jorge annuì e poi scrollò le spalle. «Non so, forse è malata.»
«Ma allora perché lo hanno fatto fare a lei, il discorso?»
«Non ne ho idea.»
Eneas strinse le labbra, insoddisfatto dalla risposta. Ma d'altra parte, cosa si aspettava? Per quanto intelligente fosse, Jorge non ne sapeva più di lui.
Il Comandante Cortèz li guidò attraverso il portone spalancato e poi da lì subito a destra, nella prima stanza che si apriva sul vasto ingresso. Escludendo quando avevano scortato i mercanti con la merce di Sahamal, era la prima volta che entrava nel palazzo e non era mai stato nel salone delle feste. Appena mise piede oltre la soglia, sollevò lo sguardo, facendo scorrere gli occhi sulle altissime pareti bianche fino al soffitto decorato di finissimi arabeschi dorati, che da quella infinita distanza sembravano ricamati. Nonostante fosse giorno, la stanza era illuminata da una miriade di lampade a gas di torba, che con la loro luce ambrata facevano rilucere come stelle le decorazioni dorate.
«È bellissimo» mormorò Horacio.
Da qualche parte una piccola orchestra cominciò a suonare un brano vivace e Eneas e Horacio si guardarono.
«Ma secondo te dobbiamo ballare?» domandò Horacio, con un'espressione spaventata sul viso.
«Merda, spero di no.» Nessuno li aveva avvertiti di questa possibilità e in accademia l'unica danza che gli avevano insegnato era quel del sangue e della spada.
«Andiamo a cercare il buffet» propose Horacio e Eneas subito annuì, sollevato.
Mentre attraversava la sala, seguito da tutta la sua squadra, girava continuamente la testa da un lato all'altro, sperando di vedere una testa di capelli rossi elegantemente acconciati.
«Secondo voi ci sarà anche la Principessa?»
«Basta fare domande sulla Principessa!» sbottò Eugenio, poi sorrise malizioso. «Cos'è, te ne sei innamorato? Guarda che è troppo per te.»
Eneas si voltò di scatto per lanciargli uno sguardo truce. «Non dire merdate.» Poi ricominciò a guardarsi intorno, ma in modo più discreto e in silenzio. Piano piano la sala si stava popolando non solo delle uniformi grige delle reclute, ma anche dei vestiti brillanti e colorati di gente proveniente da dentro al palazzo, mischiati alle divise blu delle guardie interne. Eneas cercò di riconoscere qualcuno, ma tutti i volti gli erano nuovi. Fortunatamente nessuno si mise a ballare.
«Eccolo!» esclamò Rico, ed Eneas si girò di scatto, sperando di vedere Aida, ma l'amico stava indicando un lungo tavolo rivestito da una tovaglia bianca sul quale erano stati posati un considerevole numero di vassoi, molti dei quali contenevano pietanze così elaborate che Eneas non riuscì nemmeno a identificarle. Afferrò una coppetta con una strana sostanza rossa e cremosa e accettò un bicchiere di vino frizzante, poi si allontanò dal tavolo per non essere travolto dalla folla.
Si guardò intorno, cercando i suoi amici, ma nel trambusto del buffet li aveva persi di vista e non aveva intenzione di tornare nella mischia per cercarli, quindi si avvicinò a una poltroncina lungo il muro e si sedette. Riportò gli occhi all'alto soffitto dorato che faceva da cassa di risonanza per la musica e gli sembrò assurdo che quella festa sontuosa nel palazzo fosse anche in suo onore, come se il mondo avesse cominciato di colpo a girare nel senso sbagliato. Aggrottò le sopracciglia. Ma se davvero Ekte avesse cominciato a girare nell'altro verso, qualcuno se ne sarebbe accorto?
Poi una voce alla sua sinistra attirò la sua attenzione.
«Cosa è successo ad Aida, sul balcone?»
Eneas si girò di scatto. A poche braccia da lui si trovava un giovane con un'elegante giacca viola ricamata d'oro. Eneas lo squadrò da capo a piedi: aveva i capelli biondo cenere, lisci e tirati indietro con la brillantina, e un paio di baffi sottili sul volto pallido. Era magro e sicuramente più basso di lui, lo capiva anche da quella distanza. Non gli sembrava di averlo mai visto. Però doveva essere qualcuno di importante, perché gli si stava avvicinando la Principessa Marisol. Eneas sgranò gli occhi: non l'aveva vista entrare nel salone né aveva sentito l'annuncio, doveva essersi confuso tra i rumori della folla.
Eneas smise di mangiare e rimase a osservarli, tendendo le orecchie.
La Principessa si fermò a un passo dal giovane. La frangetta tagliata corta lasciava scoperto il viso dall'espressione visibilmente infastidita.
«Niente di importante» gli rispose, con un tono così basso che Eneas fece fatica a sentire.
Anche il giovane abbassò la voce. «Non dite sciocchezze, Marisol. Smettetela di mentirmi, voi e vostro padre. Aida non sta bene.» A Eneas non piacque la piega dura dei suoi occhi.
Marisol sbuffò.
«E non dite che la cosa non mi riguarda, perché sapete che non è vero. Aida diventerà mia moglie.»
«Questo non è stato ancora deciso» scattò Marisol.
Questa volta fu il turno del giovane di fare un'espressione infastidita, che camuffò con un sorriso.
«E quando pensate di decidere?»
«Anche questo non vi riguarda.»
«Direi di sì, visto che si parla del mio futuro. E comunque non c'è molto da pensare, al riguardo. La ricchezza dei Soldorado sta calando, mentre la mia famiglia incassa sempre più soldi e in questo momento i soldi vi servono più di un cognome nobile.»
Marisol gli si avvicinò e gli mormorò qualcosa all'orecchio, con un tono quasi impercettibile per Eneas, che era immobile con tutte le sue forze concentrate nell'udito, come se il suo corpo fosse un unico grande orecchio: «Forse se voi foste una persona più piacente sareste già stato scelto, allora».
Poi la Principessa ristabilì la distanza. «Come vi ho già detto, per me Aida non dovrebbe sposare né voi né Angelo.»
«Ma voi non avete nessuna voce in capitolo, Marisol, secondogenita del Principe.»
Eneas percepì distintamente la sottolineatura delle ultime parole, come se le avesse scritte davanti agli occhi.
Marisol strinse i denti così forte che si vide il guizzò dei muscoli della mandibola. Poi si voltò verso Eneas così di scatto da farlo sobbalzare. La ciotolina si infranse sul pavimento, espandendo crema rossa come se il ragazzo fosse stato colpito da un proiettile e stesse perdendo sangue.
«Stai origliando, recluta?» gli domandò, brusca.
Eneas scosse il capo tanto vigorosamente che il ciuffo gli frustò il viso.
Anche l'altro giovane si voltò a guardarlo.
«No, no, certamente no» si affrettò a dire.
«Cos'hai sentito?» chiese il giovane.
«Niente, davvero. Vi stavo solo guardando» ripeté Eneas, poi si rese conto di non aver fatto il saluto cerimoniale e si alzò di colpo, portandosi le dita alle labbra e chinando il capo. «Principessa» aggiunse.
Lei accennò un sorriso gentile e stanco.
«Riposo, soldato.» Anche il tono si addolcì ed Eneas trattenne a stento un sospiro di sollievo. Forse era riuscito a uscire indenne da quella situazione.
Il giovane invece continuò a osservarlo con espressione torva.
«Spero ti stia godendo la festa» disse Marisol.
«Sì, Vostra Altezza Divina. È tutto davvero splendido.»
«Mi spiace per la tua uniforme.»
Eneas abbassò lo sguardo e vide che i pantaloni si erano macchiati di rosso.
«Non fa niente, tanto fra pochi giorni non mi servirà più.»
«Buona fortuna per la prova finale.»
«Grazie, Principessa» rispose, accennando un sorriso. Poi aggiunse, senza sapere bene nemmeno lui perché: «Oggi è anche il mio compleanno.»
Marisol lo guardò in volto con maggiore interesse. «Davvero? Allora doppiamente auguri. Chi nasce in questo giorno è sicuramente baciato dalla fortuna.»
Non mi pare proprio, pensò Eneas, ma lo tenne per sé.
«Lo spero» disse invece.
Marisol fece quindi un cenno di saluto e si allontanò, seguita dall'altro giovane, forse per riprendere la loro discussione in un luogo più appartato. Eneas la guardò allontanarsi con passo sicuro di sé, fendendo la folla come la punta di una canoa separa le onde del fiume, e all'improvviso capì cosa lo aveva stranito del discorso di Aida. Al contrario della sorella, lì su quel balcone Aida aveva trasmesso un'idea di fragilità, con i gesti ma anche con le parole. Nel suo discorso aveva osannato la forza dell'esercito, ma lo aveva fatto ammettendo la propria debolezza. Da che Eneas poteva ricordare, mai nessuno della famiglia regnante aveva fatto una cosa simile: la dinastia divina era sempre stata la colonna portante di Portonovo e ciò era incontestabile.
Affido la mia vita alle vostre mani.
Sembrava quasi una richiesta di aiuto.
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