15. Il Consiglio di Guerra

IL VELENO DEL SERPENTE

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Il Consiglio di Guerra

Per il consiglio di guerra Aida aveva indossato un abito nero e sobrio che sperava l'avrebbe fatta sembrare più credibile: in fondo aveva solo ventun anni, quasi ventidue, e non sapeva quanto i vertici dell'esercito sarebbe stati disposti a prenderla sul serio. Avrebbe desiderato che a parlare fosse suo padre o Marisol, ma era stata lei a convocare il consiglio e quindi toccava a lei tenerne le redini – che l'idea fosse di Marisol poco importava, visto che non era nella posizione di organizzare e gestire questo genere di cose.

Si era legata i capelli in una stretta crocchia sulla nuca nella speranza di apparire più adulta ma ora, mentre si guardava allo specchio, si rese conto di assomigliare a sua madre. Girò di scatto alla testa, senza fiato. Non aveva il diritto si assomigliarle, non se lo meritava. Eppure più cresceva più ritrovava in se stessa i tratti di lei, come punte di diamante che sbucano dal fango, dettagli infinitamente preziosi eppure taglienti.

Mentre percorreva i corridoi fino alla Sala del Consiglio, scortata da due guardie, si ripeteva nella testa il discorso che aveva scritto, ma ogni parola le volò via dalla mente nel momento in cui si aprirono le porte e gli occhi di tutti i presenti si fissarono su di lei.

Le dita cominciarono a tremarle e Aida strinse forte i pugni. Per un istante immaginò di essere un'altra persona – una più coraggiosa – e si fece forza.

Gli uomini, in piedi intorno a un lungo tavolo di marmo, portarono le dita alle labbra e chinarono leggermente il capo. Aida si diresse a un capo del tavolo e incrociò lo sguardo di suo padre, al lato opposto, mentre Marisol stava alla sua destra. A un suo cenno, tutti si sedettero.

«Principessa» il Maggiore Ombrillado spezzò il silenzio «perché questo consiglio straordinario?»

Aida deglutì e si dipinse in viso un'espressione seria. «Innanzitutto voglio ringraziare tutti per essere venuti con così poco preavviso. So che si tratta di un periodo duro, lo è ormai da molti anni: la guerra con Kozan ci sta sfiancando, nonostante tutto il nostro impegno. Ed è proprio per questo che vi ho convocati. Maggiore, come sta andando?»

Ombrillado doveva essersi aspettato quella domanda, perché srotolò sul tavolo una mappa di Portonovo.

«Come sapete, la maggior parte dei soldati si trova al confine nord, il confine con Kozan» cominciò a spiegare, indicando con il dito la catena montuosa che separava i due Stati.

«Quanti soldati esattamente?»

La mano di Ombrillado si fermò, sospesa sopra la mappa. Esitò. «Tre quarti della Guardia Esterna.»

Aida lanciò uno sguardo fugace a Marisol. Avevano avuto ragione.

Il Principe si mosse, forse per prendere parola, ma alla fine decise di lasciare spazio alla figlia e non disse nulla.

«Non ci avevate mai detto che erano così tanti» accusò Aida.

«È stato necessario mandare delle squadre ausiliarie, i koziani stanno opponendo più resistenza di quanto ci aspettassimo.»

«Quindi, Maggiore, come sta andando realmente la guerra?»

Tutta la sala rimase sospesa in un silenzio pesante e Aida trattenne il respiro. Le sue dita ebbero un tremito.

«Se non fosse per l'Essenza, ci avrebbero già annientati.»

Un brivido attraversò la schiena di Aida e la ragazza guardò suo padre, che si raddrizzò sulla sedia e contrasse il volto un un'espressione indecifrabile. Rabbia? Sorpresa? Aida non lo sapeva. Sapeva solo che quello che stava provando lei in quel momento era paura.

«Com'è possibile?» chiese il Principe. «L'Essenza rende i nostri soldati molto più forti, veloci e resistenti di qualunque altro uomo. Cos'hanno di speciale le truppe koziane?»

«La tecnologia, Vostra Altezza.»

«Questo lo sapevamo già. Ricordo molto bene le loro macchine volanti e gli esplosivi di fuoco.»

«C'è di più. Nell'ultimo periodo hanno portato sul campo un nuovo tipo di armatura molto leggera ma al contempo inscalfibile.»

Il Generale Esterno, un uomo massiccio seduto accanto a Ombillado, estrasse da una scatola un frammento metallico e lo passò al Principe. «Non sappiamo di cosa sia fatta» disse. «È un materiale sconosciuto, una nuova lega.»

Il sovrano si rigirò l'oggetto tra le mani e lo osservò brillare alla luce pallida che penetrava dalle grandi finestre.

«Ma Kozan non ha uno sviluppo tecnologico così avanzato» obiettò Aida.

«Sospettiamo che riceva le armature dal Regno di Svetia» spiegò il Maggiore.

Ad Aida si mozzò il respiro nel petto.

«Ma non è possibile» esclamò il Principe, facendo cadere il frammento sul tavolo. «I koziani hanno bisogno dei nostri porti per commerciare via mare, le loro coste sono troppo scoscese per far attraccare le navi.»

«È per questo che non vi avevamo detto ancora niente, prima volevamo fare ulteriori indagini» disse il Maggiore.

«È parlando che si arriva a delle soluzioni, non tenendo le cose nascoste.» Il tono perentorio del Principe fece capire a tutti i presenti quali erano i suoi pensieri al riguardo.

«Una semplice armatura può fare così tanta differenza?» domandò Marisol.

«Sì, Principessa. Per quanto i nostri soldati possano essere forti, non riescono a penetrare le lastre di questo materiale sconosciuto. E sicuramente ricorderete che l'ultima volta, quando abbiamo perso l'arcipelago di Esparia, Svetia ci aveva sconfitto proprio grazie alla tecnologia.»

Aida strinse le labbra. Il Regno di Svetia era sempre stato il più grande nemico di Portonovo: i soldati del Principato erano i migliori di tutta Domhan Ekte, ma Svetia aveva il vantaggio di essere imprevedibile e le sue invenzioni la rendevano sempre un passo avanti a tutti gli altri. Era ovvio che il Maggiore avesse pensato subito che fosse implicato negli incredibili equipaggiamenti di Kozan, anche perché il commercio tra i due Stati era sempre stato molto florido.

Fino a quel momento Aida aveva creduto che, seppur con molte difficoltà, alla fine Portonovo avrebbe trionfato. Ma se davvero c'era di mezzo Svetia, la sconfitta non era più un'ipotesi così assurda.

«Come pensate di agire, Maggiore?» domandò.

«Innanzitutto è necessario studiare più a fondo il materiale delle armature e cercare di capire come poterlo rompere. I più fedeli fabbri di corte sono già al lavoro.»

«Questa strategia però richiederà tempo» incalzò Aida. «Nell'immediato invece cosa farete?»

«Servono più soldati da mandare al fronte.»

Aida pensò ad Eneas e alla sua giovinezza e sentì qualcosa ribollirle dentro. «Ma saranno solo carne da macello!» si lasciò sfuggire.

«Sono soldati» la contraddisse Ombrillado, il volto una maschera di pietra. «Ed è questo che i soldati fanno.»

Aida sentì una bolla crescerle in petto e ostruirle la gola. Non era giusto. La gente non doveva morire così. Cercò di immaginare quante altre vite fossero già andate sprecate in quella guerra e un esercito di volti bianchi senza lineamenti di schierò nella sua mente. Tutti la guardavano e la giudicavano. In fondo, ogni merito di Portonovo era da attribuirsi ai suoi regnanti; lo stesso doveva valere per le colpe.

«Non abbiamo altri soldati» obiettò il Principe. «Dov'è il restante quarto della Guardia Esterna?»

Intervenne il Generale: «Pattuglia il resto del Paese. Alcuni koziani sono riusciti a penetrare nel Principato. Sono pochi e disorganizzati, dobbiamo trovarli prima che diventino un problema.»

«Tra poco ci sarà la prova finale per le reclute dell'ultimo anno» si intromise il Maggiore. «Poi potremo mandare anche loro al confine nord.»

«Perché sprecare così tutte quelle vite? Se tutti i nostri soldati muoiono al fronte, cosa ne sarà di noi?» disse Aida. Le uscì di bocca prima che potesse impedirlo. Gli occhi di Ombrillado le si puntarono addosso ed erano così duri e calcolatori che la fecero sentire in difetto, sbagliata.

«Se non li mandiamo al fronte, Principessa, i koziani vinceranno e a quel punto di noi non resterà niente.»

Lo sapeva, certo che Aida lo sapeva. Eppure il pensiero che a mandarli a morire sarebbe stata lei la faceva sentire come se avesse tra le mani un'arma a polvere carica e la stesse puntando su tutti quei giovani soldati. Avrebbe sacrificato la loro vita per salvare la sua. Davanti agli occhi le balenò il volto di sua madre e Aida sentì mancarle l'aria.

La vista le si offuscò e si aggrappò ai braccioli della sedia. Il respiro era corto e le pareva di avere il torace stretto tra due grandi pietre. Non adesso, pensò, non è il momento.

Le sue mani si erano già prese una vita, cosa le avrebbe fermate da prenderne altre dieci, cento, mille? Centinaia di Eneas sarebbero stati recisi prima ancora di sbocciare.

Deglutì, ma aveva la bocca arida e in gola non le scese niente. Doveva riprendersi, lei era Aida, l'erede al trono, e non poteva mostrarsi debole. Immaginò di essere sua madre: cos'avrebbe fatto lei in una situazione del genere? Aida non lo sapeva e mai lo avrebbe saputo.

Sentì qualcuna chiamarla al di là delle nebbie che le riempivano la vista. «Aida?»

Alzò il capo, mentre una nuvola di puntini neri e luccicanti le danzavano davanti agli occhi. «Sì, padre?»

«Va tutto bene?»

«Sì» disse, per aggiungere poi «certamente».

«Quando sarà la prova finale, quest'anno?» domandò Marisol. Aida si girò verso la sorella e scorse il rosso dei suoi capelli attraverso la nube di puntini luminosi e vi si aggrappò come se fosse un faro nel mezzo della tempesta. Marisol lo sapeva già, quando sarebbe stata la prova, se aveva fatto quella domanda era solo per spostare l'attenzione su di sé.

«Tre giorni dopo la Festa della Dinastia.»

«È stata anticipata rispetto agli altri anni.»

«Sì, Principessa, ci serve avere nuovi soldati il prima possibile.»

Il silenzio calò nella sala, mentre la vista di Aida si snebbiava e lei riusciva finalmente a distinguere i volti. Gli occhi di suo padre, dall'altro lato del tavolo, erano fissi su di lei e non li distolse nemmeno quando si accorse che anche lei lo stava guardando.

«Principe, avete qualcosa da aggiungere?» chiese Ombrillado, obbligando Alvaro a girarsi verso di lui.

«Solo una cosa, Maggiore. Qualcuno sta aiutando Kozen, forse Svetia o forse no, ma voglio che scopriate chi e dove avviene l'incontro. Sono centinaia di armature, non possono passare i confini inosservate.»

«Certo, Principe, lo stiamo già facendo.»

«Quello che state facendo non basta. Voglio delle risposte in fretta, prima che l'esercito di Kozan diventi invincibile. Se riuscissimo a intercettare lo scambio potremo mandarlo a monte e prendere noi le armature.»

Il volto di Ombrillado si contrasse in un'espressione ancora più rigida, ma annuì.

«Ottimo. Il consiglio è sciolto, la prossima seduta è programmata per il giorno seguente alla Prova Finale.»

Dopo il saluto cerimoniale, tutti si alzarono e si avviarono verso la porta, mormorando commenti su ciò che era stato detto. Aida si alzò lentamente e rimase un attimo in piedi sul posto; aveva paura di sentirsi di nuovo male, ma la vista rimase limpida. Fece per andarsene a sua volta, ma suo padre, che aveva aggirato il tavolo, le mise una mano sulla spalla, bloccandola.

«Aspetta, Aida.»

Marisol, che era già alla porta, si fermò e si voltò a guardarli.

Non te ne andare, pensò Aida e Marisol restò.

Il padre fece pressione sulla spalla della ragazza e lei fu costretta a sedersi di nuovo. Alvaro prese un'altra sedia e la spostò vicino alla figlia, in modo da vederla bene in faccia.

Aida vinse contro l'impulso di girare il volto dall'altra parte. Non sopportava quando qualcuno la guardava con una tale intensità, ma era brava a forzarsi a fare anche le cose che non le piacevano.

«Cos'è successo prima?»

Lei esitò. Gli occhi del padre, un tempo verde brillante e ora resi più opachi dall'età, la scrutavano come se potessero trovare nei pori della sua pelle le ragioni del suo malessere. Una ruga di preoccupazione si era aggiunta alle altre che gli segnavano sempre il viso.

«Niente» rispose infine, mentre sentiva la presenza di Marisol fermarsi alle sue spalle.

«È stato un altro attacco di panico?»

Aida strinse fra i denti il labbro inferiore. Poi annuì una volta sola.

«Ma è passato subito. Davvero, padre, non è niente, non devi preoccuparti.»

Alvaro sospirò. Cercò una mano della figlia con le proprie e la strinse forte.

«Comunque hai fatto bene a convocare il consiglio. Ombrillado non dovrebbe tenerci nascoste delle cose così importanti.»

È stata un'idea di Marisol, pensò Aida, ma non lo disse ad alta voce. In fondo i sospetti sul Maggiore erano di entrambe e alla fine si erano rivelati corretti; la differenza era che la sorella aveva molto più coraggio di lei.

«Padre» intervenne Marisol. «Mi stavo chiedendo una cosa: se Ombrillado ha mentito su questo, come fai a sapere che non mente anche su altro?»

«Non lo so.» Alvaro rivolse la sua attenzione all'altra figlia, senza però lasciare la mano di Aida. «Ma ho fiducia in lui.»

«Ma ti ha mentito!»

«Vero, ma c'è una cosa che devi tenere ben presente nella vita, Marisol. Tutti sbagliamo. Vuoi condannare chiunque commetta un errore? Ti ritroveresti sola. Ombrillado ha lavorato per me per più di trent'anni e voglio che continui a farlo.»

Marisol socchiuse le labbra per ribattere qualcosa, ma le richiuse in silenzio.

«Dimmi quello che pensi» la esortò il padre.

La ragazza scosse il capo. «Non lo so, è che questo mi è sembrato un errore grave.»

«Ti sei sentita tradita, lo capisco. Anch'io. Ma se vuoi che gli altri abbiano fiducia in te come principessa devi darne anche tu alle persone che credi se la meritino.»

Con la mano stretta in quelle calde del padre, Aida lo ascoltava e lo guardava con amore e ammirazione. Tutto quello che desiderava da bambina era diventare come lui, da grande, e ora che grande lo era davvero si sentiva solo una pallida ombra di quello che avrebbe potuto essere. Aveva l'impressione che, quando infine la corona fosse stata posta sul suo capo, avrebbe portato il Principato alla distruzione. La sua unica consolazione era che suo padre non sarebbe stato lì a vederlo.

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