14. Essenza

IL VELENO DEL SERPENTE

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Essenza

Aida e Marisol erano in attesa nell'anticamera della sala del trono. Marisol era seduta su una sedia di velluto bianco, le mani tra le ginocchia e la gonna verde allargata sul pavimento. Ogni tanto si sistemava la frangetta, ma era l'unico segno che palesava la sua insofferenza. Aida invece era in piedi in centro alla stanza e guardava la sorella mentre Esteban le ripeteva per l'ennesima volta le stesse raccomandazioni.

«Aida, mi stai ascoltando?»

La ragazza si girò verso di lui. «Sì, zio.»

«È molto importante che, quando riceverai le mercanzie, non ti soffermi troppo sull'Essenza. Verifica velocemente che ci sia e poi concentrarti sul resto, sui vestiti, le stoffe, i cibi esotici, quello che vuoi. L'importante è che il mercante non capisca l'importanza dell'Essenza.»

«Sì, me lo avete già ripetuto decine di volte sia tu che mio padre. Ho capito.»

Esteban fece per aggiungere qualcosa, ma poi strinse le labbra e rimase in silenzio.

Era la prima volta che Aida riceveva le merci in arrivo dal Regno di Sahamal al posto di suo padre. Periodicamente, un gruppo scelto di mercanti veniva mandato nel regno vicino per commerciare i prodotti di Portonovo e riportare indietro tutti quegli oggetti che il Principato non riusciva a produrre. Al ritorno in patria, il più fidato tra tutti i mercanti aveva l'ordine di consegnare il carico direttamente al Principe. Quelli che trasportava erano prodotti preziosi, tessuti pregiati con fili d'oro, pietre per gioielli, spezie e cibi raffinati destinati solo a un palato regale... E poi l'Essenza, nascosta tra le altre cose, come se non avesse nessuna importanza.

Due colpi alla porta fecero girare tutti e tre verso la porta, che subito si socchiuse. Spuntò il volto di una guardia. «Il mercante è arrivato.»

«Bene, principesse, andiamo.»

Marisol si alzò con un salto dalla sedia e affiancò Aida, sfiorandole la mano. Lei non aveva nessun ruolo in questo evento, ma le sorelle avevano insistito entrambe affinché ci fosse anche lei e il Principe non aveva trovato nessuna ragione valida per impedirlo.

Aida fece un respiro profondo prima di lasciare l'anticamera e fare il suo ingresso nella sala del trono. Questo genere di situazioni la faceva sentire a disagio, odiava doversi mostrare in pubblico e svolgere ruoli di rappresentanza, ma non poteva evitarlo. Si sentiva tanto tesa da farle male i muscoli dello stomaco e solo la presenza di Marisol riusciva a calmarla un po'.

La sala del trono era immensa e illuminata da una forte luce bianca proveniente dalle finestre che correvano lungo le pareti, al confine con il soffitto, e che si riflettevano sulle lastre in argento che decoravano la stanza. Il trono, anch'esso in argento, catalizzava lo sguardò a un'estremità della stanza, ma Aida lo ignorò per dirigersi invece sul lato opposto, dove il mercante e la sua scorta la stavano aspettando, circondati a loro volta dalle guardie di palazzo. Aida strinse gli occhi, per guardarli con più attenzione: c'era qualcosa di strano nella scena, ma non riuscì subito a capire cosa. Poi, quando li ebbe quasi raggiunti, la sua mente si illuminò. Le uniformi della scorta erano grigie. Reclute. Non capitava mai che entrassero a palazzo. Se ora erano lì voleva dire che l'esercito era messo davvero male, più tardi avrebbe dovuto parlare con suo padre dell'andamento della guerra con Kozan.

Aida fece scorrere velocemente lo sguardo sulle reclute e stava per concentrarsi sul mercante quando un barlume di riconoscimento le attraversò la mente. Riportò gli occhi sui cinque ragazzi e li fermò su quello più a destra. Era cambiato durante tutti quegli anni ma Aida non dubitò nemmeno per un istante che fosse lui, il ragazzo con cui aveva condiviso quella notte d'orrore. Era diventato alto, l'ultima volta riusciva a guardarlo negli occhi senza dover sollevare la testa mentre ora la superava di almeno una spanna. L'addestramento militare gli aveva plasmato il fisico, rendendolo muscoloso ma asciutto e si era tagliato i capelli in modo da avere un ciuffo più lungo che gli cadeva davanti al viso, sul lato destro; tuttavia aveva nel volto qualcosa di immutato. Per un istante Aida incrociò gli occhi nerissimi di lui, ma poi il ragazzo abbassò lo sguardo, in segno di rispetto.

«Vostra Altezza Divina» la chiamò Esteban e con un impercettibile gesto della mano le indicò il mercante.

Aida si obbligò a concentrarsi su quell'uomo basso e secco, con la pelle cotta dal sole, che le stava davanti aspettando la sua attenzione.

Il mercante portò brevemente le dita alle labbra e chinò il capo. «Vostra Altezza Divina, ho portato da Sahamal tutto ciò che mi era stato richiesto. Volete vedere?» E le indicò le ceste poste tra lui e la sua scorta. Aida annuì e si avvicinò.

«Qui ci sono le stoffe di seta e oro con i ricami di Sakhrat» le disse, accarezzando la stoffa con la mano callosa. «Questa invece contiene i diamanti blu estratti dalle miniere profonde del Regno. In quella invece ci sono le spezie.»

«Le avete trovate tutte?» domandò Aida.

«Certamente.» Poi il mercante fece un gesto al ragazzo con i capelli neri, in piedi dietro alla cesta. «Eneas, tirale fuori.»

Eneas, ripeté Aida nella sua testa. Lo guardò chinarsi e tirare fuori uno dopo l'altro barattoli e vasetti che subito passava al mercante. Aida sapeva che avrebbe dovuto concentrarsi su quello che l'uomo le stava dicendo – quello era il momento cruciale di tutta la procedura, il vero motivo per cui lei si trovava lì, poiché l'Essenza era tra quelle spezie, mascherata – ma non riusciva a distogliere l'attenzione da quella recluta che aveva sfiorato la sua vita tanti anni prima e poi era scomparsa con il sorgere di Brann, effimera come un sogno.

Aida osservò le mani di Eneas passare al mercante una boccetta di vetro contenente un liquido giallastro. «E questa è l'essenza della Perla del Deserto.»

Eccola, pensò Aida. Sembrava così anonima tra le mani di quegli uomini, che la maneggiavano come se non fosse niente di importante. E in effetti per loro non era altro che una spezia fra tante. Se solo quella recluta avesse conosciuto il vero valore dell'Essenza e cosa questa significasse per lui l'avrebbe trattata in modo completamente diverso. Guardò quel barattolo di vetro nelle mani grandi ma sottili del ragazzo e si domandò quante tra le reclute si sarebbero arruolate comunque se avessero saputo cosa le aspettava il giorno della prova finale. Aida guardò Eneas in volto: lui sarebbe stato abbastanza forte da sopportarlo?

Il ragazzo fece saettare rapidamente lo sguardo su di lei, sentendosi osservato.

«Va tutto bene, Vostra Altezza Divina? C'è tutto quello che il Principe desiderava?»

Aida si riscosse alla voce del mercante e si girò di scatto verso di lui. «Sì, c'è tutto.» Poi aggiunse: «Esteban.»

«Ci penso io, Principessa» replicò lui e fece un gesto verso i servitori che erano rimasti in piedi qualche braccio dietro di loro, in attesa di un ordine, e che subito si precipitarono a prendere le mercanzie.

«Potete andare» disse poi, rivolto al mercante e alla sua scorta. I sei uomini portarono le dita alle labbra e si inchinarono in direzione di Aida e Marisol e poi vennero scortati fuori dalla stanza da due soldati della Guardia Interna.

Aida rimase a guardarli finché la porta non si fu richiusa alle loro spalle, poi si girò e senza dire niente a nessuno attraversò la sala a passo svelto e tornò in anticamera. Sentì i passi di Marisol ed Esteban che le correvano dietro, ma li ignorò e si lasciò sedere su una poltroncina imbottita.

Il cuore le batteva forte nelle tempie e chiuse gli occhi, prendendo profondi respiri. Si sentiva così tesa che temette di essere sul punto di spezzarsi. Non era pronta a rivedere quella recluta – Eneas. Ma soprattutto non era pronta ad affrontare il salto indietro nel tempo che questo incontro implicava. Aveva cercato con tutta se stessa di dimenticare quei mesi della sua vita per poter andare avanti e ora le erano ricaduti addosso senza preavviso. Cercò di confinare i ricordi in un angolo della sua mente, di schiacciarli al punto da non riuscire più a distinguere i dettagli e renderli inintelligibili e insignificanti.

Eneas la recluta. Il loro primo incontro rivisse nella sua mente in ogni particolare, quello che si erano detti e che avevano fatto. Vederlo così cresciuto le fece comprendere di colpo quanti anni erano effettivamente passati.

«Aida, tutto bene?» chiese Esteban, sedendosi accanto a lei.

Aida fece un respiro profondo e si morse il labbro inferiore prima di rispondere. «Sì, non preoccuparti.»

Esteban rimase un attimo in silenzio. Aida sapeva che non lo aveva affatto convinto. Poi disse: «Tra un'ora hai un incontro con tuo padre, ammesso che riesca a liberarsi dei rappresentati delle corporazione dei mercanti di pesce nei tempi previsti.»

«Sì, me lo ricordo.»

«Nell'attesa posso mandarti le sarte per sistemare gli ultimi dettagli dell'abito per la Festa della Dinastia.»

«Di loro di venire in camera mia.»

«E fai portare anche il mio vestito» aggiunse Marisol, che era rimasta in piedi accanto alla porta a fissare Aida con sguardo preoccupato.

Esteban annuì e le lasciò sole.

«Cos'è successo?» domandò Marisol non appena la porta si fu richiusa alle spalle dell'uomo.

La sorella non rispose.

«Aida.»

La ragazza sollevò il volto e fissò Marisol dritta negli occhi. Si obbligò a sostenere il suo sguardo, penetrante come se volesse sondarle l'anima. Di norma era una persona allegra, ma sapeva sempre quando non era il caso di scherzare e in quei momenti diventava così seria e perspicace da far pensare ad Aida che riuscisse davvero a leggerle dentro.

«È per via dell'Essenza?» insistette Marisol.

Il padre aveva spiegato loro cosa fosse l'Essenza al compimento della maggiore età, ma era la prima volta che la maneggiavano. Normalmente vi erano delle persone che avevano il preciso compito di conservarla e usarla nel modo appropriato, al Principe non era consentito per nessuna ragione aprire il barattolo in cui era conservata per via della sua alta velenosità intrinseca. Aida era sicura che, nonostante l'apparente innocenza della boccetta che aveva appena visto, il tappo fosse in realtà provvisto di una chiusura ermetica che solo le persone autorizzate sapevano come aprire. Nessuno doveva venirne in contatto per sbaglio.

«No, non c'entra» rispose Aida alla domanda della sorella.

«E allora cosa?»

Aida si alzò e uscì nel corridoio, diretta alle proprie stanze. Non aveva mai raccontato a Marisol della recluta che quella notte di tanti anni fa l'aveva salvata e ora rispondere a quella domanda richiedeva troppe spiegazioni.

Marisol le venne dietro. Aida sentiva i tacchetti delle sue scarpe risuonare nell'ampio corridoio. Nessuna delle due disse niente, ma Aida sapeva che la sorella le stava solo dando il tempo per rispondere.

Aida fece un rapido calcolo. Ormai erano passati quasi otto anni da quando aveva incontrato Eneas, quindi mancava poco alla sua prova finale: probabilmente l'Essenza che lui e i suoi compagni aveva appena portato da Sahamal sarebbe stata usata per loro.

«Non ti fa strano pensare che le reclute che abbiamo visto oggi potrebbero non superare la prova?»

«Perché?»

«Non so, oggi erano lì vivi e in salute davanti a noi e tra un mese qualcuno di loro potrebbe... beh, potrebbe non essere più.»

Marisol si prese un istante per riflettere. «Anche se dovessero sopravvivere alla prova poi andranno a combattere contro Kozan e il risultato sarebbe lo stesso. Ogni giorno muoiono decine di soldati e noi non ci pensiamo.»

«Sì, ma è diverso. L'Essenza rende la loro morte artificiale, in un certo senso.»

«Anche la guerra è artificiale.»

Aida sapeva che la sorella aveva ragione. In fondo non le era mai importato più di tanto dei soldati e nemmeno della prova, ma ora si rendeva conto che sia la guerra che la prova erano orribili e insensate, eppure necessarie. Se non fosse stato per l'Essenza l'esercito di Portonovo – così piccolo in confronto a quello degli altri Stati – non sarebbe mai riuscito a vincere nessuna battaglia e se non avesse vinto le battaglie non sarebbe riuscito nemmeno a rimanere indipendente così a lungo, viste le sue ridotte dimensioni. La forza di Portonovo stava nell'esercito e la forza dell'esercito stava nell'Essenza. Eppure ad Aida non piaceva pensare che quel ragazzo dovesse affrontare prima la prova e poi la guerra.

«Secondo te quanto durerà ancora la guerra contro Kozan?» chiese a Marisol.

«Come faccio a saperlo? Tutti continuano a dire che manca poco, che abbiamo quasi vinto, ma se adesso mandano le reclute per accompagnare i mercanti a Sahamal vuol dire che non va così bene come si vocifera.» Anche Marisol se n'era accorta.

«Nostro padre ne è consapevole?»

«Dovrebbe, ma se lo fosse ce lo avrebbe detto, quindi immagino che il Maggiore Ombrillado non gli stia dicendo tutta la verità.»

«Ma perché non farlo?»

«Non lo so.» Marisol rifletté un attimo. «Dovresti convocare un consiglio di guerra straordinario.»

Aida si bloccò di colpo e si giro verso la sorella. «Io?»

«Sì, tu. Vogliamo sapere le cose come stanno, no?»

«Certo.»

«E se nessuno ce le dice spontaneamente dobbiamo estorcere le informazioni in altro modo.»

Aida sentì le mani diventarle gelate come se non fosse piena estate, mentre il cuore le pulsava nelle tempie. Non voleva convocare un consiglio di guerra, non voleva trovarsi in mezzo a tutta quella gente che l'avrebbe guardata e si sarebbe aspettata da lei cose che non era affatto sicura di riuscire a dare. Non voleva. Ma doveva farlo. Respirò profondamente. Lei era l'erede, la sua vita era questo, questa tortura ripetuta infinite volte. E un giorno non ci sarebbe nemmeno più stato suo padre a farle da scudo.

«Va bene, convocherò il consiglio.»

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