11. Il soldato e la principessa

IL VELENO DEL SERPENTE

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Il soldato e la principessa

Eneas scivolò giù dall'alto del suo letto a castello senza fare il minimo rumore. Infilò le scarpe e mise la giacca della divisa sopra al pigiama, poi estrasse dal cassetto la piccola lampada a gas che si era procurato un paio di settimane prima e lasciò la stanza.

Nonostante i suoi buoni propositi, era riuscito a resistere solo tre giorni prima di tornare alla botola misteriosa, senonché quella volta aveva trovato la porta chiusa. E così anche le notti successive. Aveva però scoperto che ne esistevano altre: dopo una settimana ne aveva trovata una nello sgabuzzino che si apriva sull'aula dove faceva lezione. Con un brivido di eccitazione ci si era infilato e, dopo aver vagato per un tempo indefinito in un corridoio scavato nella pietra, si era ritrovato nella cucina di un altro edificio che non conosceva.

Quella mattina, mentre faceva colazione, aveva scorto un'altra botola in mensa, in un angolo. Si era guardato intorno circospetto, per vedere se qualcun altro se n'era accorto, ma tutti erano troppo impegnati a mangiare. Come sempre e come aveva fatto anche Eneas fino a quel momento. Ora però che l'aveva scoperta non riusciva a non vederla. Si era imposto di non guardarla, di ignorare il richiamo e di aspettare la notte per esplorarla.

Uscì in cortile e camminò rasente i muri fino alla mensa. Il cielo era stranamente libero, con solo qualche straccetto di nuvola che sporadicamente passava davanti alle falci di luna che quella notte erano molto più luminose di quanto Eneas ricordasse, con la luce bianca di Flott-Lys che sovrastava quella giallina di Lite-Lys. Non serviva nemmeno la lampada, lì fuori.

La porta della mensa si aprì con un cigolio ed Eneas trattenne il fiato, aspettandosi di essere aggredito e riportato immediatamente in camera. Invece non accadde nulla, come sempre. Inizialmente Eneas si aspettava che gli edifici fossero sorvegliati notte e giorno, invece col calar di Brann tutti andavano a dormire. Forse non si aspettavano che le reclute potessero andarsene in giro di notte, anche se a Eneas sembrava assurdo.

Con un sorriso sul volto, sgusciò nella stanza e si fermò un attimo per abituare gli occhi alla diversa luminosità. L'intensità della luce emessa dalla lampada era bassa, ma il ragazzo sapeva dove doveva andare.

Con il cuore che gli palpitava nel petto, si accucciò e aprì la botola. Anche questo era strano: tutte le botole che aveva trovato fino a quel momento erano aperte. A cosa potessero servire, Eneas non riusciva a spiegarselo. Forse erano delle vie segrete che collegavano tra loro tutti gli edifici della Gemma, ma a quale scopo?

Eneas si affacciò. Una scala di metallo era appoggiata alle pareti strette e scendeva più in profondità rispetto alle altre. Da qualche parte dentro di sé sapeva che era una pessima idea e che la curiosità lo avrebbe ucciso – nella sua mente, quelle parole avevano la voce di sua mamma – ma cominciò comunque la discesa e chiuse la botola sopra la sua testa.

Scese la scala fino in fondo e si guardò intorno. Come l'altra volta, si trovava in un corridoio scavato rozzamente nella nuda pietra, ma il grado di umidità ora era molto maggiore. Eneas passò una mano su una parete e la trovò bagnata.

Avanzò nello stretto e tortuoso corridoio e pensò che probabilmente Raquel sarebbe morta di claustrofobia se si fosse ritrovata in un posto così angusto. Per un istante la nostalgia strizzò il cuore di Eneas fino a spillarne sangue. Forse la prossima volta avrebbe potuto chiedere a Rico se voleva accompagnarlo.

A un certo punto, Eneas si bloccò: davanti a lui il corridoio si biforcava in due. Il ragazzo aveva previsto che sarebbe potuto succedere e si era messo in tasca un carbone in modo da segnare la parete del tunnel da cui era venuto in modo da poter poi tornare indietro. Fece una X e imboccò il corridoio di sinistra, in salita.

Più avanzava, più incontrava biforcazioni. Probabilmente la fitta rete di gallerie che traforavano l'isola era più vasta di quanto avesse pensato. Dopo aver vagato a lungo, si trovò davanti a una scala di pietra. La parte centrale dei gradini era concava, consumata dalle miriadi di passi che l'avevano calpestata nel corso degli anni. Eneas salì la scala mentre il cuore cominciava a battergli più forte finché picchiò la testa contro qualcosa di duro.

«Merda» mormorò tra i denti, massaggiandosi il capo. Sollevò il braccio che reggeva la lampada e illuminò una lastra di pietra. Aggrottò le sopracciglia: il corridoio finiva così, nel nulla? Provò a spingere la lastra e questa, dopo una leggera resistenza, si aprì. Un fascio di luce bianca e soffusa gli colpì il volto. Guardò in alto e, incorniciata, vide Flott-Lys. Si issò fuori, ma prima che potesse guardarsi intorno una voce di ragazza lo fece trasalire.

«E tu chi sei?»

Eneas fece un giro su se stesso e cercò inutilmente il coltellino che aveva regalato a Raquel. Rimpianse di non aver portato con se nemmeno un'arma. Poi, quando vide chi aveva parlato, si immobilizzò. Squadrò la ragazza che aveva davanti, dall'alto in basso e poi al contrario, dal vestito color vinaccia fino ai capelli rossi.

Eneas aprì la bocca e poi la richiuse. Cosa doveva fare? Ah, sì, il saluto divino. Ma si faceva con la destra o con la sinistra?

«Ti ho chiesto chi sei» ripeté la ragazza, il viso irrigidito in un'espressione dura. «Una recluta?»

Eneas abbassò lo sguardo sulla giacca dell'uniforme e pregò che lei non avesse notato i pantaloni del pigiama.

«Divina Principessa» disse poi, portando alla bocca le dita della mano destra – sì, quella giusta era la destra – e abbassando il capo. Dopodiché ammutolì di nuovo.

«Alza la testa» gli ordinò lei e lui subito si raddrizzò, come un giocattolo a molla.

La principessa gli puntò gli occhi dritti in viso, senza remore né imbarazzo. Eneas arricciò le dita dei piedi nelle scarpe, a disagio. Non riuscì a reggere lo sguardo acuto della ragazza per più di qualche istante, poi fu costretto ad abbassarlo. La pelle pallida, le labbra piene e i capelli di granato la facevano apparire come una creatura non umana. E in effetti non lo era. Eneas non aveva mai pensato che un giorno si sarebbe trovato così vicino a una divinità e non aveva la più pallida idea di come comportarsi.

«Come sei arrivato qui?»

Subito Eneas indicò la botola.

«Quello lo vedo. Ma da dove arrivi? E come sapevi di quel passaggio?»

Eneas la guardò nuovamente di sfuggita, prima di distogliere lo sguardo. Non riusciva a capire se lei sapesse dei corridoi sotterranei oppure no.

«Se ti faccio una domanda dovresti rispondere, recluta. Se poi lo sei davvero.»

«Sì» articolò Eneas.

«Sì cosa?»

«Sono una recluta.» Forse avrebbe fatto meglio a mentire, pensò Eneas, ma come poteva farlo sotto quegli occhi pungenti? E poi non si poteva mentire a un dio, ne era sicuro.

«Bene, e quindi cosa ci fai qui?»

«Qui dove?»

Per un istante la principessa rimase in silenzio. Come si chiamava la più grande? Aida o Marisol?

Anche senza guardarla, Eneas poteva percepire la sua espressione perplessa.

«In che senso?»

«Divina Principessa, dove siamo?»

La ragazza non lo disse, ma Eneas sentì chiaramente i pensieri di lei formulare ma sei stupido o cosa?

Eneas sollevò il capo e si guardò intorno. Si trovavano su un'ampia terrazza. Alla sua destra si ergeva altissimo il castello, mentre a sinistra si apriva un paesaggio sconfinato fatto di boschi e campi e, oltre a tutto, aguzze montagne. Le lune ammantavano ogni cosa d'argento e la loro luce riluceva sul marmo bianco della terrazza, facendo spiccare le loro figure scure come scarafaggi nella farina. Eneas non aveva capito dove fosse finito, ma una cosa gli era molto chiara: non avrebbe mai dovuto trovarsi lì.

Osò fare un passo verso il parapetto, poi, quando vide che la principessa non lo aveva fermato, avanzò fino al bordo della terrazza. Sarebbe stato un panorama stupendo, se solo fosse stato nelle condizioni di goderselo.

«Molto bello» mormorò tra sé e sé.

La ragazza, che lo aveva seguito, lo rimproverò. «Stai cambiando argomento?»

Eneas fu attraversato da un brivido. L'aveva contrariata? Avrebbe chiamato le guardie per farlo arrestare? Un pensiero gli attraversò fulmineo il cervello. Dov'erano le guardie?

«Ma siete qui fuori da sola?» domandò, preoccupato.

Lei contrasse le labbra e non rispose.

Probabilmente non dovrebbe essere qui nemmeno lei, pensò Eneas e si sentì meglio.

«Non ho cattive intenzioni» trovò finalmente il coraggio di dire. «Sono capitato qui per sbaglio, me ne vado subito, non capiterà più.»

Fece per tornare alla botola, ma lei esclamò: «Fermo, non ti ho detto che potevi andartene.»

Eneas si immobilizzò e strinse i pugni. Principessa o no, non sopportava chi si rivolgeva a lui con quel tono. «Va bene, Vostra Altezza Divina» disse, inghiottendo l'orgoglio, e si voltò di nuovo verso di lei.

Rimasero immobili a guardarsi, in silenzio, ed Eneas non riusciva a capire perché non lo lasciasse andare.

«Mi dispiace per vostra madre» disse lui infine, quando il silenzio si era fatto insopportabile.

La principessa inspirò rumorosamente e il suo viso si contrasse in una smorfia di dolore – o forse rabbia – che per un istante la rese brutta.

«Stai zitto. Tu non sai niente. Non osare nominarla mai più» gli disse con voce rotta e gli voltò le spalle, fissando lo sguardo sul paesaggio.

Eneas ipotizzò che non volesse farsi vedere mentre piangeva, ma quando le si avvicinò il viso di lei era asciutto, duro e freddo come il marmo.

All'improvviso Eneas sentì un principio di rabbia scaldargli il petto. La principessa pensava forse di essere l'unica a soffrire? La morte di una sovrana pesava forse più di quella di un estrattore di torba, nel cuore dei figli? E pensare che lui aveva persino provato pietà per lei! Si sentì uno sciocco.

«Pensate di essere l'unica?» mormorò a denti stretti e se ne pentì immediatamente.

«Come, scusa?» La ragazza si voltò di scatto verso di lui.

«Capisco come vi sentite» disse, cercando di mitigare il tono brusco che aveva appena usato. «Anche mio padre è morto.»

«L'hai ucciso tu?»

«Cosa? Perché dovrei averlo ucciso io? Come vi è venuto in mente? E questa l'idea che avete delle reclute?»

«Era solo una curiosità.» Le mani della ragazza, abbandonate lungo i fianchi, presero a tremare. «E allora com'è morto?»

«Mentre lavorava delle pietre gli sono cadute addosso ed è affogato nella torba. Io avevo otto anni.»

«Vieni dalle Paludi?» Gli occhi della Principessa guizzarono su di lui, spaventati. Ogni singolo muscolo del suo corpo si contrasse ed Eneas non si sarebbe sorpreso se si fosse allontanata di un passo.

«Sì.»

Lei rimase un attimo zitta, come se stesse decidendo quale domanda fargli tra le mille che aveva in testa. ma prima che potesse esternarne anche solo una, un boato li fece sobbalzare. Eneas fece un rapido giro su stesso, cercando la fonte del rumore, e assunse la posizione di difesa che aveva imparato durante l'addestramento. Sembrava vicino, ma per quanto strizzasse gli occhi non riusciva a capire da dove provenisse.

«Cos'è stato?» chiese la principessa. «Sembrava un'esplosione...»

Eneas si voltò a guardarla, immaginando di trovarla paralizzata dalla paura; invece lei era all'erta e diffidente come i cani randagi che si aggirano per i vicoli della Palude.

Altre due esplosioni ravvicinate li fecero girare verso il castello.

«Dobbiamo nasconderci, qualunque cosa sta succedendo qui siamo troppo in vista» mormorò Eneas con un tono deciso che si guadagnò uno sguardo infastidito da parte della principessa.

Un fischio attraversò l'aria accanto a loro. Eneas vide qualcosa cadere con la coda dell'occhio e nella frazione di un istante, prima ancora di rendersi conto di quello che stava accadendo, afferrò la ragazza per il polso e corse con tutta la forza delle sue gambe verso la botola. La principessa incespicò, ma riuscì a non cadere, ed Eneas la spinse sulle scale di pietra che sparivano nel sottosuolo, gettandosi dietro di lei nel momento in cui un'altra esplosione squarciò la notte. La forza d'urto lo fece sbattere contro la parete del tunnel. Agli occhi di Eneas tutto divenne nero e nella sua testa si perse la cognizione di sopra e sotto nel momento in cui cominciò a rotolare giù per i gradini. Si fermò solo quando andò a sbattere contro qualcosa di soffice.

«Merda, merda, merda...» sussurrò a denti stretti. Sentiva dolore in così tanti posti da non riuscire nemmeno a identificarli.

«Alzati» gli ordinò la principessa e solo in quel momento lui si rese conto di esserle caduto addosso e che quella stoffa morbida e profumata era il suo vestito, anche se la fragranza dolce si sentiva appena nell'aria satura di puzza di bruciato.

Subito Eneas scattò seduto, cercando di allontanarsi da lei il più velocemente possibile.

«Scusatemi, non volevo, scusatemi» disse velocemente, anche se in fin dei conti le aveva appena salvato la vita e quindi era lei a doverlo ringraziare.

Eneas intravedeva appena i contorni della principessa. Una spessa nube di fumo aveva oscurato l'apertura in cima alla rampa di scale e la luce della lune filtrava a malapena. Cercò la lampada, ma si ricordò di averla poggiata per terra accanto alla botola e ora era sicuramente andata distrutta.

«Kozan ci sta attaccando» disse la principessa, una volta che si fu rimessa in piedi.

«Come fate a esserne sicura?»

«Chi altro dovrebbe essere?» Eneas la intravide scuotere il capo. «La vera domanda è: come sono arrivati fino a qui senza che nessuno se ne accorgesse? E che strana arma a polvere è quella che stanno usando? È troppo potente.»

Eneas non conosceva la risposta e nemmeno era in grado di ipotizzarne una, quindi stette zitto. Fuori, altre esplosioni riempirono il silenzio.

«Dove porta questo corridoio?» domandò la principessa.

«Sicuro alla mensa del mio centro di addestramento, ma ci sono altre uscite che non conosco.»

«Andiamo.»

Eneas vide la sua figura incamminarsi zoppicante verso le profondità della terra e si affrettò a seguirla, nonostante le fitte lancinanti che gli mordevano la caviglia. Fu buio pesto in pochi istanti – il tempo che Eneas ci mise a classificarla come una pessima idea – ma non si sognava nemmeno di contraddire la principessa.

«Fate andare avanti me, che conosco la strada meglio di voi.»

«Va bene» rispose ed Eneas le andò a sbattere contro.

«Scusate, non avevo visto che vi eravate fermata.»

La superò e cominciò ad avanzare cautamente facendo scorrere una mano sulla parete. Sapeva che a breve avrebbero incontrato un bivio e, quando lo raggiunsero, Eneas imboccò l'altra strada, quella che all'andata aveva scartato. Iniziarono a scendere.

«Credete che questi corridoi sbuchino all'interno del castello?» le chiese.

«Lo spero.»

Eneas ora stava avanzando con le braccia aperte, tese ai lati, facendole scorrere su entrambe le pareti in cerca di eventuali biforcazioni e si rese conto che più scendevano più il corridoio si allargava, tanto che a un certo punto non gli fu più possibile toccare entrambi lati contemporaneamente.

Poi, d'un tratto, si fermò e strinse gli occhi. Fino a quel momento la vista gli era stata del tutto inutile, ma ora gli pareva di scorgere un punto luminoso in lontananza.

«C'è qualcosa» mormorò e non sapeva se andargli incontro o scappare, ma poiché non avevano nessun luogo in cui nascondersi rimasero immobili ad aspettare.

La luce si fece via via più grande. Qualunque cosa fosse si stava avvicinando. Passo dopo passo, dall'ombra emerse la figura di un uomo alto e dal fisico asciutto con in mano una lampada a gas. Il forte gioco di luci e ombre gli deformava il viso affilato in una maschera grottesca, ma Eneas aveva l'impressione di averlo già visto da qualche parte.

«Principessa Aida» disse lo sconosciuto, quando furono a un paio di braccia l'uno dall'altro. «Cosa ci fate qui sotto, in compagnia di una recluta?»

«E voi, Capitano De Soledad?»

L'eroe di Rico, ecco chi era.

«Venite, vi riaccompagno in superficie» disse lui, senza rispondere alla domanda. Dal guizzo degli occhi della principessa, Eneas intuì che ne era rimasta molto contrariata.

Rafael De Soledad li superò e si mise in testa al gruppo, facendo percorrere loro a ritroso parte del corridoio fino a raggiungere una biforcazione sulla destra che a Eneas era sfuggita quando aveva dovuto rinunciare a tastare una delle pareti.

Quel corridoio laterale era abbastanza ampio e risaliva in fretta. A Eneas pulsava la testa e non riusciva a capire se fosse sveglio o se non si trattasse piuttosto di un sogno: davvero stava vagando nelle viscere della Gemma con la principessa ereditaria e un eroe di guerra? Assurdo. Se lo avesse raccontato, non ci avrebbe creduto nessuno.

Sbucarono infine in uno stanzino spoglio con le pareti di marmo. Sui muri, erano ammucchiate una moltitudine di armi.

«Siamo in una della guardiole che si affacciano sul cortile del castello» spiegò il Capitano. Aveva una voce vellutata che poco si addiceva ai suoi lineamenti affilati. Tutto in lui era stretto e sottile: le sopracciglia, gli occhi, le labbra, perfino il naso, ma niente contribuiva a farlo sembrare fragile.

Ora che erano usciti dal sottosuolo, riuscivano di nuovo a sentire le esplosioni e ad esse si erano aggiunte urla e altri suoni che, seppur non li avesse mai sentiti, Eneas identificò subito come i rumori di una battaglia. Provò il desiderio di scappare a nascondersi, ma non si mosse.

«Cosa sta succedendo?» domandò il Capitano. Doveva essere stato parecchio tempo sottoterra. Ma prima che qualcuno potesse rispondergli, la porta di legno della guardiola venne spalancata. Eneas urlò.

Incorniciata da una nube di fumo, una figura nera si stagliò contro la luce soffusa delle lune. In mano aveva una spada.

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