1. Addio alla Palude Sud

IL VELENO DEL SERPENTE

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Addio alla Palude Sud

Eneas stava seduto sul bordo del canale di scolo che lì, davanti a casa sua, era talmente largo da rendere impossibile passare da una sponda all'altra. In passato, qualcuno aveva tentato di costruire un argine di pietra per tenere le acque putride lontane dalle porte di ingresso, ma era trascorso così tanto tempo che ormai metà delle pietre era andata perduta e l'altra metà era talmente coperta di fango che era solo la consistenza a distinguerle dal fango vero e proprio. Ma a Eneas poco importava: se tutto fosse andato come doveva, lui quel giorno sarebbe partito per non tornare mai più. Raccolse un sasso e lo tirò verso uno di quei ratti grandi come nutrie che sguazzavano nel canale. L'animale squittì di sorpresa e dolore e ringhiò mostrando i suoi grandi denti appuntiti. Eneas scoprì i denti e ringhiò a sua volta.

«Prima o poi si arrabbiano e vengono a mangiarti» lo sgridò Raquel.

Eneas sobbalzò e si voltò di scattò verso la sorella, in piedi dietro di lui. «Merda, Raq! Smettila di comparirmi così alle spalle.»

La ragazza rise, una risata stridula che mise in mostra i suoi denti storti, ma poi la sua faccia si fece seria di colpo. «Non preoccuparti, questa era l'ultima volta.» Lo fissò per un istante, poi girò lo sguardo verso il canale.

Eneas invece lo mantenne sul volto di Raquel. Sentì la necessità di dirle qualcosa di consolante, ma lui e sua sorella non si erano mai scambiati gesti d'affetto, solo calci, pugni e dispetti, conditi con parole pungenti. E poi c'era poco che potesse dire, lei aveva ragione, quella era davvero l'ultima volta. Prese un sasso e lo scagliò con violenza verso un altro ratto, mancando il bersaglio.

«Comunque, il fatto che te ne vai non ti autorizza a stare qui a non far niente» disse Raquel, ritornando al suo solito tono brusco.

Eneas fece una smorfia. «Che rompipalle che sei!»

«Vai a dirlo alla mamma.» Raquel incrociò le braccia al petto, guardandolo dall'alto in basso.

Eneas sbuffò. «Cosa vuole?»

«Abbiamo quasi finito la legna, devi andare a prenderne altra.»

«Stai scherzando? Devo andare ora fino alla Foresta Morta? Ma non potevi andarci tu?»

Raquel scosse il capo. «Io devo portare i panni puliti alla signora Sambrìa. E poi lo sai che quando vai tu te la fanno pagare meno.»

Eneas sbuffò. Lo sapeva, certo che lo sapeva, ma la Foresta Morta era dall'altra parte della città e lui non aveva voglia di fare tutta quella strada per recuperare pesanti fasci di legna che lui, in fin dei conti, non avrebbe utilizzato.

«Allora, ti muovi?»

Il ragazzino fulminò Raquel con lo sguardo, ma si alzò dall'argine e cercò di pulire il fango secco dal retro dei pantaloni.

«Alla buon'ora!» esclamò la sorella. «Entro a prendere i panni e andiamo, facciamo un pezzo insieme.»

Raquel si pulì le mani sul grembiule sporco e rientrò di corsa in casa cercando di evitare le pozze di fango, anche se le sue scarpe erano già sudice. Ritornò poco dopo con un cesto ricoperto da un lenzuolo talmente pulito da risultare abbagliante sotto la luce di Brann, insolitamente brillante nel cielo di quella tarda mattina. Senza dire una parola si avviò ed Eneas le si mise a fianco. Si allontanarono dal canale di scolo, infilandosi in un vicoletto tra due case, in direzione nord.

Il ragazzo procedeva con le mani in tasca, prendendo a calci tutti i sassi che incontrava sul suo cammino, finché un oggetto ricoperto di fango e dall'aspetto tondeggiante si rivelò troppo molle per essere una pietra.

«Merda!»

Raquel rise brevemente. «In senso letterale.»

«Merda! Che schifo.» Eneas cercò di pulire la punta della scarpa scuotendo il piede nell'aria. «Non vedo l'ora di andarmene da questo posto merdoso.»

Raquel indurì i tratti del viso. «Vuoi piantarla di dire che te ne vai?»

«Guarda che prima sei stata tu a dirlo.» Il ragazzo cercò di guardarla in viso, ma lei girò la faccia dall'altra parte. «Che c'è, Raq? Piangi? Sei triste per la mia partenza?» Eneas mascherò la preoccupazione con un tono di scherno.

Lei scosse violentemente la testa. «Non dire scemenze. Senza di te ci sarà più cibo per noi.» Ma non si girò ed Eneas rimase a guardare i suoi lunghi capelli neri sulla schiena ossuta. Se tutto andava come doveva, quella era l'ultima volta che posava lo sguardo su quelle spalle aguzze e sulle braccia secche di sua sorella. Sentì la pressione delle lacrime che cercavano di violare i limiti dei suoi occhi, ma le ricacciò indietro con forza, come quando si obbligava a mandare giù in un boccone lo stufato di legumi di sua madre.

Camminarono in silenzio per i viottoli fangosi della Palude Sud. Alcuni dei ponti sui canali più piccoli erano crollati durante l'ultima alluvione e nessuno li aveva più ricostruiti, così i ragazzini furono costretti a guardarli, immergendo i piedi nelle acque scure e viscose. A ogni nuova svolta, venivano investiti da un'onda di luce o di buio, a seconda che la via fosse orientata o meno in direzione di Brann. Alle strade avvolte nell'oscurità Eneas era abituato: di solito le giornate a Portonovo erano uggiose e fosche, soprattutto in autunno. Era strano che il cielo fosse così limpido e azzurro. In un certo senso, rendeva più facile a Eneas la partenza perché tutta quella luce metteva ancora più in evidenza lo squallore della Palude, che invece si confondeva nel grigio delle giornate nuvolose.

Di solito a Eneas piaceva passeggiare al fianco della sorella tra gli schiamazzi della gente, ognuno perso nei propri pensieri, ma quel giorno il silenzio era pesante e denso di cose non dette. Al ragazzo sembrava uno spreco usare così i loro ultimi momenti insieme, voleva che quegli attimi fossero pregni di significato, qualcosa che Raquel avrebbe ricordato per tutta la vita. E invece non gli veniva in mente niente da dirle.

Le si avvicinò e le diede una spintarella con la spalla, facendola sbandare.

«Che fai? Vuoi farmi cadere i panni puliti?» lo sgridò lei, stringendo più saldamente la cesta.

Eneas sbuffò e diede un calcio a un sasso. Lo seguì con lo sguardo, finché un fagotto grigio e sporco fermò la sua corsa. Dal mucchio di cenci si levò un lamento e una faccia piena di rughe si voltò verso di loro, bestemmiando.

«Divino Principe bastardo!» urlò, ma prima che potesse aggiungere altro Eneas afferrò Raquel per un braccio e cominciò a correre, tirandosela dietro.

«Scappa!»

La sorella lo insultò, ma poi cominciò a correre alle sue spalle, finché le urla del vecchio vagabondo si persero nei rumori della vita della Palude Sud e i ragazzi ritennero sicuro fermarsi. Eneas lasciò andare il polso della sorella e, dopo un paio di respiri profondi, scoppiò a ridere. Raquel fece finta di essere arrabbiata, ma la faccia le si contrasse in smorfie e alla fine fu costretta a scoppiare a ridere a sua volta.

«Sei uno stupido» gli disse, piegata sul cesto dei panni puliti con le lacrime agli occhi.

Eneas si appoggiò al muro, una mano a tenersi la pancia che gli faceva male per il troppo ridere e l'altra sul petto, cercando di prendere fiato. Le corse sfrenate per i vicoli come se correre fosse l'unica cosa importante in tutto l'universo, ecco un'altra cosa che gli sarebbe mancata.

Quando si fu ripresa, Raquel assunse in volto l'espressione da sorella maggiore che poteva permettersi soltanto con lui.

«Non fare il bambino» gli disse. «Muoviamoci, che è già tardi.»

Eneas alzò gli occhi al cielo: non sopportava quando Raquel lo trattava così. In fondo era più grande di lui solo di un anno e qualche mese e, a guardarli uno accanto all'altro, non si notava neppure. I due ragazzini si erano sempre assomigliati molto, sin da piccoli, entrambi scuri e magri come due ragni, tanto che la gente aveva preso l'abitudine di chiamarli "i gemelli Lodo", anche se gemelli non erano.

«Che palle!» sbuffò e riprese il cammino, ma fece appena in tempo a compiere pochi passi che dal fondo del vicolo si avvicinò un uomo barcollante, secco come un ramo sotto gli abiti bucati e ballonzolanti. La puzza di sudore e alcool si sentiva fin da parecchie braccia di distanza. Eneas arricciò il naso.

All'inizio l'uomo non si accorse di loro, poi sollevò lo sguardo e i suoi occhi baluginarono, brillanti sul suo volto incrostato di sporcizia. Un sorriso affilato come una lama e storto gli deformò i lineamenti. Biascicò qualcosa che Eneas inizialmente non capì, poi man mano che si avvicinava le parole divennero più chiare.

«Vieni qui, bella puttanella» mormorò.

Eneas si voltò verso Raquel, che era rimasta qualche passo indietro. Gli occhi neri della ragazza si strinsero a due fessure e saettarono subito dall'uomo al volto del fratello. Non appena lo raggiunse, Eneas la prese per un braccio e la fece mettere alla sua sinistra, stretta tra sé e il muro di una casa.

Lo sguardo dell'uomo, seppur confuso e vacillante, seguì gli spostamenti della ragazza.

«Vieni qui. Sei così bella» continuava a biascicare, mentre armeggiava con i pantaloni.

Eneas mise una mano in tasca e la strinse intorno al manico del piccolo coltello con la lama scheggiata che portava sempre con sé. Se solo quell'uomo avesse osato avvicinarsi a sua sorella, lo avrebbe sfregiato a vita. Se l'avesse toccata, lo avrebbe ucciso.

Sentiva Raquel fremere al suo fianco e, anche senza guardarla, sapeva che era in ugual modo per la paura e la rabbia.

Ormai l'uomo li aveva quasi raggiunti, senza mai smettere di guardarli.

«Vieni qui» mormorò.

«Lasciaci stare» gli intimò Eneas cercando di fare la voce roca per mascherare la sua reale età, nonostante la corporatura esile.

L'uomo si fermò davanti a lui e, dopo un attimo di esitazione, gli sputò in faccia.

«Pezzo di merda!» urlò Eneas, pulendosi con la manica.

L'uomo ne approfittò e barcollò verso Raquel, che si mise in posizione di difesa, ma Eneas fu più rapido e, estratto il coltello, con un movimento ad arco lo fece scorrere sul suo volto. Non sapeva bene che parte avesse colpito, ma l'uomo lanciò un urlo stridulo e si portò entrambe le mani alla faccia. Tra le dite colava il sangue.

Senza bisogno di dirsi nulla, i ragazzi lo superarono di corsa, mentre lui bestemmiava alle loro spalle. Nessuno accorse a vedere cosa stava accadendo.

«La prossima volta tu tieni i panni e io il coltello» disse Raquel quando si furono allontanati abbastanza. Tra le braccia stringeva ancora il bucato pulito, lasciarlo era fuori discussione, anche in una situazione di pericolo: lavare quei vestiti le era costato fatica e avevano bisogno dei soldi della signora Sambrìa. E poi quell'uomo era molto ubriaco, si reggeva a stento in piedi, sapevano che sarebbe stato abbastanza semplice metterlo fuori gioco.

Eneas si fermò alle parole della sorella, che fece ancora qualche passo e poi si fermò per voltarsi a guardarlo con aria interrogativa.

«Raq» disse Eneas, guardandola dritta negli occhi «non ci sarà una prossima volta.»

Raquel non disse niente e contrasse le labbra. La luce violenta di Brann riempiva il suo volto di ombre aguzze.

Eneas pulì sul pantalone il coltello che ancora stringeva in mano e raggiunse la sorella. Glielo porse.

«Tienilo tu, ti servirà.»

All'inizio Raquel rimase immobile, con i lineamenti spigolosi resi ancora più brutti dalla tensione. Poi sistemò la cesta su un fianco in modo da liberare una mano e afferrò il coltello.

«Sì, mi servirà.» E lo infilò nella tasca del grembiule.

Non disse grazie ed Eneas non disse prego. Non ce n'era bisogno.

Il ragazzo accompagnò Raquel fino alla porta della signora Sambrìa, nel quartiere dell'Officina, poi continuò da solo. C'erano due modi per arrivare al quartiere della Foresta Morta, dove vivevano e lavoravano gli artigiani del legno e della pietra. Una delle opzioni era attraversare lo Scrigno, ma vi vivevano i ricchi mercanti e nessuno della Palude Sud lo attraversava se non vi era costretto. In alternativa si poteva passare dal quartiere del Porto, dove era più facile passare inosservati. Eneas imboccò a testa bassa quest'ultima via.

Anche se avesse camminato a occhi chiusi, avrebbe saputo riconoscere i quartieri semplicemente dall'odore: le Paludi, sia quella Sud che quella Nord – anche se vi era andato raramente – sapevano di urina e spazzatura, di fanghiglia umida, un odore denso e viscoso che si appiccicava alle pareti della bocca, scendeva a fatica in gola per poi incollarsi pesante ai polmoni. Il Porto invece sapeva di mare, pesce e catrame. In realtà anche la Palude affacciava sul mare, ma lì i rami del fiume su cui sorgeva la città erano così piccoli e numerosi che era difficile giungere fino al mare senza sprofondare nella melma. Al Porto invece gli argini erano precisi e dicevano chiaramente "di qua le persone, di là l'acqua".

Queste divisioni nette avevano sempre affascinato Eneas. Era abituato ai colori sbavati del suo quartiere, che sembrava dipinto da un pittore distratto che aveva fatto cadere l'acqua sulla tela prima che i colori fossero asciutti e questi si erano mischiati tutti insieme, fino a risultare in un indistinto grigio-marrone. Le case erano grige, così come grige erano le strade tranne dove erano sporcate dal marrone del fango e marroni i canali da cui il fango veniva. Solo il cielo talvolta era azzurro, nei pochi giorni di bel tempo.

Nel Porto invece c'era spazio per una tavolozza più ampia. La pietra grigia delle strade arrivava fino all'argine e poi oltre il blu del mare, così intenso e profondo da fare paura. Anche i rami del fiume lì erano più ampi e di un colore cupo.

A Eneas il mare piaceva, ma non osava mai avvicinarsi: gli dava l'impressione di essere sul bordo di un precipizio in cui aveva paura di cadere. Quindi, ogni volta che attraversava il Porto si fermava a guardarlo, ma da lontano, sempre a un paio di braccia di distanza. Faceva spaziare lo sguardo fin dove riusciva a spingersi, finché all'orizzonte il mare finiva, così lontano, così infinito, e un brivido attraversava il corpo di Eneas. Si chiedeva cosa ci fosse oltre il mare, se ci fosse davvero qualcosa o se invece dietro l'orizzonte vivessero solo i mostri di cui parlavano le leggende.

Non poteva fermarsi troppo a guardare, perché c'era sempre qualcuno che andava di fretta e gli intimava malamente di spostarsi, ché era in mezzo al passaggio. Bisognava spostare casse e merci, caricarle e scaricarle dalle grandi navi mercantili che andavano e venivano come popolazioni nomadi. Dal mercato del pesce giungevano le urla dei venditori: "Pesce fresco! Il migliore di tutta Portonovo!", in parte sovrastate da quelle degli scaricatori e dal rumore delle ruote dei carri sulle pietre sconnesse delle strade.

Grida e rumori di vita, grida e rumori di chi va avanti, non di chi sta affondando nel fango tra urla di rabbia e disperazione.

Eneas attraversò gli alti ponti di legno che permettevano alle navi di passare al di sotto e risalire i rami del fiume, e si lasciò alle spalle il Porto per entrare finalmente nella Foresta Morta. Il sole era già alto nel cielo che si stava annuvolando, probabilmente più tardi avrebbe piovuto, ed Eneas si rese conto di essere in ritardo per il pranzo. Corse fino alla bottega del signor Juan e bussò con decisione alla porta sul retro. All'uomo non piaceva che i ragazzi delle Paludi usassero l'ingresso principale.

Gli aprì uno dei garzoni e lo squadrò da capo a piedi. Eneas ebbe l'impulso di incassare le spalle e farsi piccolo, di sparire insieme ai vestiti grigi e informi, ma alzò la testa e fissò l'altro negli occhi, in un gesto di sfida.

«Cosa vuoi?» domandò infastidito il garzone.

«Mi serve della legna.»

«La puoi pagare?»

«Certo.»

«Fammi vedere.»

Eneas infilò una mano in tasca e ne estrasse una manciata di monete. Il garzone le osservò e, dopo averle contate, scomparve all'interno della bottega, chiudendosi la porta alle spalle e lasciando dietro di sé un intenso profumo di cera per mobili. Eneas rimase sull'uscio, ad aspettare. Poco dopo il garzone tornò con una fascina di ramoscelli secchi. Eneas allungò una mano per prenderli ma il garzone non li lasciò andare.

«Prima i soldi.»

Eneas sbuffò e gli mise le monete nella mano tesa. Solo a quel punto poté prendere la fascina di legna e andarsene. Il garzone aveva già chiuso la porta senza salutare.

Eneas odiava fare questo servizio. Gli sembrava di essere uno straccione che chiedeva l'elemosina, anche se pagava sempre. Se solo la Palude Sud fosse stata vicino ai boschi, la legna sarebbe andato a raccoglierla lui piuttosto che sottomettersi a quella umiliazione, ma alle estremità della città le zone paludose si estendevano per spazi sconfinati e le foreste erano troppo lontane da raggiungere. Si sarebbe trattato di una spedizione di più giorni, e si sarebbe potuta fare se avresse comportato il raccoglimento di grandi quantità di legna, sufficiente per molto tempo. Per trasportarla però sarebbe servito un carro e la famiglia Lodo non l'aveva e non poteva permettersi di affittarlo. L'unica soluzione era quindi acquistare gli scarti dagli artigiani del legno, pagandoli pochi spiccioli (anche se di sicuro più di quanto valevano realmente).

Con la sua fascina stretta in braccio, Eneas riattraversò la città a passo svelto. Quando rientrò in casa, i suoi fratelli erano già seduti a tavola con le scodelle piene davanti al loro. Cercò Raquel e si rilassò quando vide che era tornata a casa sana e salva.

«Finalmente! Ci hai messo una vita, stavamo per cominciare senza di te» lo rimproverò sua madre. «Metti via la legna e siediti.»

Eneas poggiò la fascina su una mensola in alto, in modo che, anche se il canale davanti a casa fosse esondato, l'acqua non avrebbe inzuppato la legna. Poi si accomodò tra Raquel e Tobias. Sua madre mise anche davanti a lui una scodella di zuppa – acqua con qualche verdura galleggiante – e si sedette a sua volta.

«Quante corone te l'ha fatta pagare, la legna?»

«Sei e mezzo.»

«L'ultima volta che sono andato io era sei» intervenne Tobias, risucchiando rumorosamente la zuppa dal cucchiaio.

«Tu lo avevi minacciato» intervenne Rodrigo.

«E allora? Se me l'ha data a sei vuol dire che era il prezzo giusto. Eneas è stato fregato.»

«Vacci tu allora la prossima volta» borbottò Eneas.

«Ah, di certo non ci vai tu» disse Tobias.

Raquel poggiò con violenza il cucchiaio metallico nella ciotola, facendo schizzare la zuppa sul tavolo. Tutti sobbalzarono e si voltarono a guardarla.

«Divino Principe bastardo!» esclamò Rodrigo e, mentre sua madre gli ingiungeva di non bestemmiare, aggiunse: «Che fai, Raq?»

Ma lei tenne lo sguardo basso e non rispose nulla. Un ciuffo di capelli le piovve davanti al viso, nascondendo la sua espressione.

Tutti rimasero in silenzio per qualche istante. Eneas li guardava di sottecchi. Voleva dire qualcosa per spezzare l'atmosfera tesa, carica come nuvole che portano pioggia, ma non era mai stato bravo con le parole. Tacque, girando il cucchiaio nella zuppa.

«Dai, Raq» disse infine Ines. «Quando Vito e Ruben sono andati a vivere per conto loro non hai fatto tutte queste scene.» La ragazza cercava di essere convincente, ma un leggero tremore nella voce impedì a Eneas di guardarla in volto.

«Lasciatemi stare» mormorò aspra Raquel, senza sollevare lo sguardo. «E comunque non è la stessa cosa: Ruben e Vito sono ancora nella Palude, Eneas se ne va lontano... e non tornerà più.»

«Spero davvero che non torni più. Per lui» intervenne la madre e tutti e cinque i figli si voltarono a guardarla. Quando parlava lei, tutti le prestavano attenzione, non farlo era impensabile. «Devi essere felice, Raquel. Dovete esserlo tutti. Eneas ha l'onore di entrare nell'esercito, è un'opportunità che a noi non viene concessa spesso.»

Era vero, di solito agli abitanti delle Paludi non era permesso di entrare a far parte del corpo militare che avrebbe protetto il sovrano e tutto il Principato. Nessuno lo diceva apertamente, ma non si fidavano di coloro che stavano sull'ultimo gradino della scala sociale. Tuttavia, l'anno precedente molti soldati erano morti a causa di uno scontro con un regno vicino e c'era la necessità di riempire nuovamente le fila; per questo, in via del tutto eccezionale, le nuove reclute potevano provenire da tutti i quartieri della città.

Quando si era sparsa la notizia, le Paludi avevano festeggiato e ogni famiglia che aveva un figlio di età compresa tra i dieci e i quattordici anni era andata a iscriverlo alle liste di reclutamento. Entrare nell'esercito significava aumentare il proprio prestigio sociale in modo vertiginoso e inoltre i ragazzi potevano usufruire di pasti caldi ogni giorno, senza dover più pesare sulle spalle dei propri parenti. In casa Lodo purtroppo solo Eneas aveva il sesso e l'età giusta.

«Tanto lo sappiamo che Raquel è solo invidiosa perché lei è una femmina e non la vogliono» la schernì Tobias.

«Merda di torba, e a te non ti vogliono perché sei vecchio.»

«Se sento volare altri insulti vi ritiro il pranzo» li mise a tacere la madre. Raquel e Tobias si zittirono, ma continuarono a lanciarsi occhiate minacciose.

Finito il pasto, Eneas fece il giro della casa per controllare di non aver dimenticato niente. Si fermò sull'uscio della camera che condivideva con i fratelli e fece scorrere lo sguardo sui due letti – uno per i maschi e uno per le femmine – e sulla vecchia cassettiera storta che era l'orgoglio di sua madre, grande e capiente come non se ne vedevano spesso nella Palude. Quella mattina aveva svuotato il suo cassetto e aveva messo i suoi due stracci in una sacca. Oltre ai vestiti, non aveva molto altro da portare via, e anche quelli non li lasciava ai suoi fratelli solo perché a Tobias e Rodrigo non entravano più. Sarebbe anche potuto partire senza niente, tanto poi a palazzo gli avrebbero dato ogni cosa e sarebbe stata mille volte migliore di quelle che possedeva. L'unica cosa che avrebbe voluto portare con sé era il suo coltello, a partire senza si sentiva nudo, ma l'aveva dato a Raquel e non glielo avrebbe mai chiesto indietro.

«Cosa fai?» La voce di Ines alle sue spalle lo fece sobbalzare.

«Niente.»

Ines ridacchiò. «Quando dormirai in un letto gigante con le coperte di seta pensa a noi.» I sottili occhi blu della ragazza lo guardavano malinconici, come se lui fosse già un ricordo.

«Quando avrai delle coperte di seta mandacene una!» gridò Tobias dall'altra stanza. Lui e Rodrigo erano già sulla soglia di casa, pronti a tornare a lavorare, a cercare la torba nel fango finché fosse stato così buio da non distinguere più niente. Non sempre tornavano a casa per pranzo, ma quel giorno avevano fatto in modo di esserci tutti.

«Muoviti, Eneas, se ti sbrighi facciamo un pezzo di strada insieme.»

Eneas annuì. «Bene, allora vado» disse a nessuno in particolare.

«Allora vai» ripeté Ines.

Eneas raggiunse i due fratelli. Guardò le tre donne rimaste in casa, poi abbassò lo sguardo e diede un calcio a un sasso inesistente.

«Quindi ciao.»

La madre gli si avvicinò e gli diede un rapido abbraccio nervoso con le sue braccia ossute, tutte tendini e nervi. Eneas si accorse in quel momento di quanto fosse diventata magra.

«Comportati bene e non azzardarti a tornare.»

Eneas annuì, poi si voltò verso Ines e Raquel, ma quest'ultima gli riservò un solo sguardo arrabbiato e poi fuggì in camera, chiudendosi la porta alle spalle. Ines invece gli sorrise.

Poi Tobias lo tirò per la manica. «Andiamo, ché sennò facciamo tardi.»

Eneas guardò un'ultima volta la casa, poi seguì i fratelli per le strade della Palude. Tobias e Rodrigo parlarono tutto il tempo come se fosse un giorno qualunque e non si stessero per dire addio. Quando venne il momento di separarsi, i tre si fermarono in mezzo a un bivio.

«Stammi bene» gli disse Rodrigo, mettendogli una mano sulla spalla. «E non fare merdate.»

«Non fate merdate nemmeno voi.»

«Io non posso promettere niente» rispose Tobias, con un sorriso sardonico in volto.

«Se la prossima volta che ci vediamo sei morto, ti uccido» lo minacciò Eneas.

«Se se ne va pure lui finalmente avrò un letto tutto per me» esclamò Rodrigo.

«Che merda di torba che sei!» Tobias gli diede una spallata. Poi si rivolse a Eneas: «Beh, allora ci si vede.»

«Ci si vede» rispose il ragazzo e poi guardò i fratelli sparire in un vicolo. Quando di loro non rimasero che le orme nel fango, diede le spalle alla strada che aveva appena percorso e si incamminò verso il palazzo.



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