Capitolo 3 - L'intoccabile Duca Algido
Buongiorno bellissime persone che leggete.
Avete visto che carino l'avatar nuovo? È ancora in fase di perfezionamento, ma a me piace già un sacco!
In questo capitolo avevamo inserito scene scene "forti" ma per mantenere la storia entro certi limiti (che non sono affatto per deboli di cuore) abbiamo tolto le parti peggiori. Non temete, la storia non risulta "monca" come capita spesso a narrazioni che subiscono la stessa sorte. So che S. Ci sta mettendo un po' a ingranare, tenete duro fra poco la storia entra nel vivo e ne vedrete delle belle. E se vi capita di aver voglia di commentare, noi non piangiamo di certo. Questa è una prima stesura, siamo aperte a ogni tipo di suggerimento e di critica, quindi sbizzarritevi pure! Ma adesso correte a leggere il nuovo capitolo.
Buona lettura.
Noy
S. estrasse il cellulare dalla tasca della giacca, era quasi mezzanotte e il locale era pieno. C'erano le persone che percorrevano l'ingresso, dopo aver pagato il biglietto, e sparivano in uno dei due accessi. E poi c'era la fila di coloro che premevano per entrare e che pareva non finire mai, al di là della vetrata. Si stringevano nei loro cappotti, li poteva immaginare mentre provavano a corrompere i buttafuori, allungavano mance.
L'esclusività della porta rossa, il suo potere attrattivo per tutto ciò che era vietato e pericoloso stuzzicava le fantasie delle persone, ma erano le tende blu l'unico passaggio che avrebbero osato attraversare. "Sono stato in un locale BDSM" avrebbero potuto dire agli amici, vantarsi della loro vita ai limiti della moralità, quando l'unico posto dov'erano stati non era altro che una discoteca con un maggior numero di persone vestite di pelle e una musica rock.
«Sei la perfetta rappresentazione del disprezzo. Guarda che ti vedono.» Lù ridacchiò.
«Oh», S. scosse appena la testa, «era così evidente?»
«Ti si addice, l'intoccabile Duca Algido, non ti chiamano così?»
«Intoccabile, poi» S. sbuffò dal naso.
«Ad ogni modo, principino, sarà meglio che ti fai andare bene qualcuno e vai di là a dare inizio alle danze.»
«Stasera non mi ispira nessuno.»
«Nemmeno Gabriele?»
La testa di S. scattò verso la donna. «Che c'entra ora lui?»
«La Sedia? Veramente?»
«Mi ha chiamato per nome!»
«Se fosse stato chiunque altro, lo avresti buttato fuori. Ammetti che ti piace, almeno con me.»
«N-» S. richiuse la bocca e allargò le narici. «Non posso dargli la soddisfazione.»
«Se te lo fossi scopato la prima volta, non ti troveresti in questa situazione. Ma no, devi sempre farti desiderare.»
«Che ti devo dire, sono esigente.» S. si alzò in piedi e infilò il cellulare in tasca. Avrebbe dovuto trovare qualcuno sul serio, però. Si incamminò verso la vetrata, molte persone erano troppo giovani e non sarebbero mai entrate. Altre erano troppo svestite e troppo bramose, già ubriache o fatte di qualche sostanza, nemmeno loro sarebbero mai entrate.
S. incrociò le braccia sul petto, un gruppetto di tre ragazzi sbucò dalla porta del guardaroba. Camicia e jeans, niente accessori kinky, niente di appariscente, parevano sobri e dell'età giusta.
Ok, forse era davvero troppo esigente.
Uno di loro si fermò e spalancò le palpebre. «Sei...»
Aveva un bel viso a punta, gli occhi scuri e un tatuaggio sul lato basso del collo, un serpente forse, che si infilava sotto al colletto. Sarebbe stato interessante vedere dove finiva.
«Sono?»
«Sei... sei lui, no?»
«Lui?»
Il ragazzo abbassò la testa, era arrossito? Adorabile.
S. allungò un braccio nella sua direzione. «Vieni qui, piccolo.»
Il ragazzo si avvicinò e si fermò davanti a lui, S. gli sfiorò il mento con l'indice e lo invitò ad alzare la testa. «Prima volta?»
Il ragazzo mosse il capo e lo sollevò a malapena, gli occhi bassi. La boccuccia era socchiusa, pareva un coniglietto tremante davanti ai fari di un'auto in avvicinamento. Che tragedia sarebbe stata travolgerlo. S. gli prese il mento tra l'indice e il pollice e premette verso l'alto, la pelle era liscia, senza un filo di barba. «Quanti anni hai?»
«Venticinque.»
«Venticinque, Dom.»
La voce del ragazzo uscì tremolante. «Venticinque, Dom.»
«Bravo, piccolo», S. gli lasciò andare il mento, timore e reverenza si alternavano sul viso e negli occhi del ragazzo. «Dimmi, vorresti entrare nella porta rossa e scoprire quali segreti nasconde?»
Il ragazzo annuì con troppa foga e troppo velocemente, era un fascio di nervi. «Sì, sì, Dom. Ti prego» miagolò, chissà se aveva previsto, quando si era organizzato con gli amici di venire al Confessionale, che si sarebbe ritrovato a implorare qualcuno e a scodinzolare, come un cagnolino davanti al padrone con le crocchette.
S. si rivolse ai due compagni, rapiti dalla scena e con la stessa espressione reverenziale del ragazzo. «E voi? Volete seguirci o preferite rimanere tra i comuni mortali?»
Quanto era melodrammatico con i newbie.
I due ragazzi si scambiarono un'occhiata e annuirono, all'unisono. S. sollevò un braccio e lo mosse in direzione della porta rossa.
«Prego, allora. Troverete Nami che vi spiegherà tutto. Se accetterete le condizioni, sarete accompagnati nel dungeon», si rivolse al coniglietto, «e tu sarai abbigliato come si conviene a chi vuole giocare con un Dom.»
I tre spalancarono gli occhi e rimasero immobili, troppo terrorizzati anche per respirare? Forse aveva calcato in maniera eccessiva sulla drammaticità del momento. S. sollevò un angolo della bocca, forse non aveva calcato abbastanza. Abbassò la voce e vi impresse autorità e sicurezza. «Andate e non fatemelo ripetere.»
I ragazzi scapparono nemmeno fossero inseguiti da un licantropo affamato, la porta rossa si aprì da sola ed emisero gridolini di trepidazione. Dovette dargliene atto, lo staff si stava comportando in maniera impeccabile, quel venerdì sera.
Lù fece dondolare lo stivale accavallato, sul viso aveva un sorrisetto malizioso. «Chiudiamo le porte?»
«Direi di sì, a meno che tu non voglia restare.»
«Non ci penso neanche, Domina Armida mi sta aspettando.» Lù si sollevò dalla poltroncina con un movimento sinuoso, si aggiustò il corsetto sul fianco e si avviò verso il corridoio privato dello staff. «Ha detto che mi mostra la sua collezione di corde» con una risatina, svoltò l'angolo.
S. mosse la testa verso Michi, il quale si affrettò nella sua direzione. «Fate entrare solo membri già iscritti e conosciuti.»
«Sì, Dom. E...» Michi esitò.
«Dimmi.»
«Sta arrivando il proprietario.»
«Ok, grazie.»
S. si incamminò verso la porta rossa, stava arrivando Edoardo? Di venerdì sera? Doveva essergli arrivato il conto. Trattenne un ghigno e oltrepassò l'uscio, inghiottito dal buio.
***
Il Coniglietto lo aspettava a quattro zampe in mezzo alla stanza dalle pareti di vetro, illuminato da un faro. Gli avevano messo una mascherina di pelle a coprire la parte superiore del viso e un paio di orecchie da coniglio, era scalzo, ma ancora con i vestiti con cui era entrato. S., nel buio di fianco alla porta aperta, si sfilò la giacca e la cravatta e le consegnò a Michi. Oltre il vetro di una delle pareti laterali, nella semioscurità del dungeon, c'era la Sedia a cui era stato assegnato Gabriele.
A gambe larghe, posate sui reggi-cosce e strette in cavigliere, unico capo di abbigliamento un body a retina aperto sull'inguine, aveva petto e polsi legati da cinghie, un bavaglio di stoffa gli impediva di urlare ......................................................................
Pareva perso in un mondo meraviglioso.
S. strinse la mascella e il pugno, avrebbe dovuto concentrarsi sul Coniglietto, non certo sulle cosce di Gabriele che tremavano o sul petto che si contraeva a ogni ondata di piacere.
«Samuel. Samuel!»
S. sbatté le palpebre e si voltò verso la voce, Edoardo gli afferrò un braccio e lo spinse contro la parete. Il colpo gli mozzò il respiro in gola. La fragranza del profumo che l'uomo aveva addosso lo avvolse, legno di sandalo su note cedrate. Chanel?
Edoardo gli posò le mani ai lati della testa, sulla parete, e avvicinò il volto fino a sfiorargli il naso. «Trentamila cazzo di euro, Samu? Trentamila! Porcoddio!»
«Non urlare, Edo» mormorò S. e gli posò le mani sul petto, gli accarezzò la camicia rosa di cotone, inamidata.
Edoardo abbassò la testa e fece scivolare le mani lungo la parete, spinse il petto contro quello di S. e gli affondò il viso nel collo. «Come li giustifichi trentamila euro di attrezzatura fonica?»
Le mani di S. scesero dal petto di Edoardo ai fianchi e sulla schiena, si insinuarono sotto la cintura, nei pantaloni neri del completo di D&G, e spinsero sulle natiche, verso di sé. Scostò il bacino dal muro e lo strusciò contro quello di Edoardo. «Da quando devo giustificare quello che spendo?»
Un ansito sfuggì dalle labbra dell'uomo, spinse il basso ventre contro S. e lo appiccicò al muro, incuneò un ginocchio tra le sue gambe. «Da quando spendi trentamila euro di botto senza nemmeno avvertirmi.»
S. si sfregò sulla gamba di Edoardo e gli prese il lobo dell'orecchio tra i denti, le mani gli strinsero le chiappe. «Una volta ne ho spesi novantaduemila e non hai battuto ciglio.»
L'uomo picchiò un pugno contro il muro e allontanò il viso dall'incavo del collo di S., aveva lo sguardo velato. «Al tempo, mi consideravi.»
Era tutto lì? Una scenata come i bambini che sono ignorati dai genitori. S. sfilò le mani dai pantaloni e gliele posò di nuovo su petto. «Dimmi cosa vuoi, di cosa hai bisogno.»
«Voglio te, Samu. Non-»
S. gli strinse le palle, Edoardo si piegò su sé stesso e gemette. La voce di S. sferzò l'aria, seppure non fosse altro che un sussurro: «Come mi devi chiamare?»
L'uomo piagnucolò: «Dom. Dom S.»
S. diede un'altra stretta e gli lasciò le palle. «Ora guardami e dimmi cosa vuoi da me.»
Edoardo sollevò il capo e accennò un sorrisetto. «Quello.»
«Con il takedown?»
L'uomo annuì. «Ma sono io ad assalire te.»
S. sollevò un sopracciglio. «Spiegati.»
Edoardo appoggiò di nuovo le mani ai due lati della testa di S. e allargò il sorriso. «Vediamo chi perde, lotta vera e propria. Chi soccombe, subisce la violenza.»
Diceva sul serio? Edoardo era più grosso di lui, ma non praticava sport da combattimento o arti marziali, al suo contrario. Pensava davvero che sarebbero bastati un po' di muscoli in più per sopraffarlo?
Sarebbe stato divertente.
«Va bene. Domani sono-»
«No, stasera, ora.»
S. aggrottò le sopracciglia. «Ora sono impegnato, Edo.»
«Se non vuoi che blocchi il bonifico, sarà meglio che ti liberi dai tuoi impegni e ti vai a cambiare.»
«Ti rendi conto di come mi stai parlando, stasera?»
«Trentamila euro, Dom», Edoardo si scostò da lui e arretrò di un passo. «Scena: tu sei alla scrivania, felpa e pantaloni della tuta, scalzo, stai leggendo qualcosa. E senza quel trucco del cazzo sulla faccia.»
«Prima che io accetti, chiedimi scusa per il tono con cui ti sei rivolto a me. Oppure quel patetico tentativo di ricatto sarà l'ultima cosa che mi hai detto, perché non mi vedrai mai più.»
«Lasci il locale?»
«No, pet. Non lascio il locale. Ma tu», S. gli premette l'indice sullo sterno, «non mi vedrai più.»
Edoardo distolse lo sguardo e sospirò. Si inginocchiò davanti a lui e tenne il capo basso. «Perdonami, non volevo dirti quelle cose.»
La voce di S. uscì tetra. «Hai mai avuto intenzione di bloccare il bonifico?»
«No, signore. Non avrei mai osato.»
S. gli afferrò una ciocca di capelli e lo obbligò ad alzare la testa. «E allora perché lo hai detto?» sibilò.
«Perché volevo... volevo umiliarti, Dom.»
«Conosci la tua punizione», S. strinse la ciocca nel pugno, ancora un po' e gli avrebbe strappato i capelli.
«Sì, sì, ma ti prego, non... ti prego, non farlo.»
S. gli lasciò andare i capelli e l'uomo cadde a terra, all'indietro. «Sei stato tu a farlo a te stesso, pet. Da domani, per una settimana.» S. si voltò e fece un cenno della testa verso Michi. «Chiedi per favore a Dom R. se vuole prendere il mio posto con il Coniglietto, ok?» Si mordicchiò le labbra, Gabriele era ancora sulla sedia. «E terminate il milking di Gabriele. Ma non lo liberate, a meno che un Dom non lo reclami per sé.»
S. superò Edoardo, ancora in ginocchio, e si avviò nel corridoio. «Sarò nella stanza gialla tra venti minuti. Non voglio essere interrotto.»
Terzo cambio d'abito della serata, chi cazzo era, Rihanna al Met Gala?
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