14 - Scambi di coppia
S. aveva i gomiti e la schiena appoggiati sul coperchio di acciaio di una gabbia chiusa e vuota, in un angolo del dungeon, prese un sorso dal bicchiere di coca-cola. La sala si stava già riempiendo, non erano nemmeno le nove di sera. Odiava le serate degli scambisti, veniva un sacco di gente che non conosceva e che, soprattutto, non lo conoscevano. Allungavano le mani e quella sera non era aria.
Avrebbe dovuto farsi correggere quella stupida cola con il rum, forse da brillo la vita gli avrebbe sorriso.
Un uomo alto, con i capelli scuri lunghi fino alle spalle, si avvicinò, il viso era coperto da una maschera nera. Gli pareva di riconoscerlo. Aveva in mano un drink trasparente, lo sollevò verso di lui: «Dom S.»
La voce di Kay, profonda e avvolgente, era impossibile da dimenticare. S. girò la testa verso il bancone del bar, in direzione opposta a dove si trovava l'uomo. Prese una lunga boccata d'aria e la espirò dalla bocca, più simile a un ringhio che a un soffio. Ci mancava lui.
«Ti ringrazio per aver sollevato il ban», Kay si fermò accanto a lui, talmente vicino che il suo calore si mischiava con quello di S., emanato dai pantaloni di pelle che indossavano entrambi, «altrimenti l'ultima serata in città sarebbe stata piuttosto noiosa.»
S. fissava la bartender che shakerava un cocktail. «Non sono stato io, ringrazia la Domme Lù.» Perentorio, freddo come il tumbler pieno di ghiaccio che aveva in mano.
«L'ho già ringraziata», Kay si appoggiò con la schiena alla gabbia, «Ma pensavo che sarebbe stato il caso di farlo anche con te.» Bevve un sorso del drink. «E ti volevo chiedere scusa, non avevo capito che-»
«Lo avevi capito benissimo.» Tagliente. S. assottigliò le palpebre e sibilò: «Non prendermi per il culo, per favore.»
Kay piegò la testa di lato, era impossibile leggerne le espressioni, nascoste da quella stupida maschera. «Non lo sto facendo, ho creduto sinceramente,» calcò sulla parola, «che stessimo continuando la sessione. E che tu avessi deciso di prendere il suo posto.»
Certo, era ovvio, chi non lo avrebbe pensato, dopo che lui gli aveva detto di fermarsi. Serrò la mascella e riprese a fissare il bancone, le narici gli fremevano. «Lasciamo perdere.»
«Sei davvero incazzato per 'sta stronzata?»
«Non è serata.»
Master Kay ruotò i fianchi verso di lui e, se possibile, abbassò il tono della voce in un lugubre sussurro. «Quindi non accetti le mie scuse?»
La pancia di Kay gli toccava il gomito appoggiato alla gabbia, la tentazione di scostarsi gli faceva prudere la schiena. Fastidio.
«Già.»
«Se mi avvicinassi ancora, dove mi colpiresti, Duca?»
Il sussurro del master gli si insinuò nell'orecchio e lungo il collo, un'onda di fremiti gli partì dalla testa lungo tutto il fianco. Odiava essere così sensibile.
La voce di S. si spezzò. «Non voglio fare una scenata in pubblico.» Prese un lungo sospiro e lo trattenne per un paio di secondi. «Ma se mi tocchi, ti spacco le dita della mano.»
Non avrebbe convinto nemmeno un neonato con quella minaccia. Sembrava lo stereotipo kinky di chi diceva di no per farsi desiderare. E di solito lo era.
Kay tornò ad appoggiarsi con la schiena alla gabbia, la testa rivolta verso la sala, davanti a sé. «Ok.» Prese un altro sorso del drink e sospirò.
Perché non se ne andava?
S. si mordicchiò l'interno di una guancia. «Che palle le serate scambiste.»
Da sotto la maschera giunse la risatina sommessa di Kay. «Credo che tu sia l'unico in Italia, o forse nel mondo, ad avere meno presenze a queste serate che a quelle BDSM.»
S. fece ruotare il ghiaccio nel bicchiere. «Succede, quando si è bravi a gestire i social.»
«E non guasta che tu sia sempre mezzo nudo nelle foto e nei video» Kay finì il drink con un sorso.
Quella sera le voleva proprio prendere. S. allargò le narici e strizzò il tumbler nel pugno, sibilò: «Sono sempre vestito. Fammi vedere una foto in cui sono mezzo nudo, forza.»
«Ok», il master posò il bicchiere sulla gabbia e tirò fuori il cellulare. Fece scorrere delle immagini e poi gli mostrò lo schermo: c'era S. con indosso solo l'harness, supino, un lenzuolo di raso nero gli copriva - poco - l'inguine e una gamba. «Aspetta, aspetta», con il pollice, andò su un'altra immagine: S. in piedi, guinzaglio in mano, nudo, dalla pancia in giù era nascosto da Coso in ginocchio, in completo di latex rosso, e tutto suggeriva che gli stesse facendo un pompino. «Ce n'è ancora...»
«Dettagli» mugugnò S.
Kay continuò a scorrere le immagini. «Non che mi lamenti, eh. Sai quante ore ho passato a guardarle, se capisci quello che voglio dire.»
Il viso era coperto, ma S. poteva visualizzare nei dettagli il ghigno malizioso che gli ornava la faccia. Si passò una mano sui capelli, le unghie grattarono la testa.
«Ne hai mica di private, un po' più da adulti, che mi potresti inviare?» Kay si soffermò sull'ultimo video girato da Alex il giorno prima. «Tipo il resto di questo video, per esempio.»
«È tutto lì» S. fece roteare di nuovo il ghiaccio nel bicchiere, ne rimanevano solo dei pezzettini, il resto si era sciolto.
«Peccato.» Il master si infilò il cellulare in una tasca della giacca di pelle, ruotò i fianchi e si appoggiò con un gomito sulla gabbia. «Lù mi ha rubato Armida in questi tre giorni, lo sapevi? A proposito di scambio di coppie.»
Ma che aveva Kay da voler chiacchierare tutta la sera? Sarebbe stato scortese dirgli di andare a torturare qualcun altro?
S. sollevò una spalla. «Io e Lù non siamo una coppia, quindi c'è poco da scambiare.»
«Nemmeno io e Armida, se è per quello, non in senso stretto. Ma non hai mai approfittato...? Voglio dire, Lù è uno schianto.»
«No», S. prese un sorso di Coca-cola annacquata, «siamo solo colleghi di lavoro.»
Anzi, lei era una dipendente.
«E amici, immagino.»
«No», ripeté S., «solo colleghi.»
«Ah.» La perplessità di Kay era palpabile, pur celata dalla maschera.
S. non resistette oltre e sbottò. «Senti, ma perché indossi 'sta roba?»
Una risatina sommessa scosse le spalle di Kay. «Me lo ha chiesto Lù, sono in incognito, per non far sapere in giro che il ban è stato sollevato e salvarti la faccia.»
S. deglutì. Avrebbe dovuto sentirsi grato, era stato un gesto carino, da parte di entrambi. Allora perché si stava incazzando di nuovo?
«Un'altra presa per il culo, ottimo.» S. marciò in direzione del corridoio che conduceva nell'area riservata al personale. Non era serata!
***
S. fece scorrere i commenti a risposta dell'ennesima frase polemica su di lui e il ban di Kay nel canale BDSM privato su Discord, spaparanzato su un divanetto foderato di velluto porpora, nell'area VIP della sala principale della discoteca. Aveva una gamba piegata e l'anfibio sul cuscino, la musica che usciva dalle casse era attenuata rispetto al resto e aveva messo Dom P. di guardia davanti al cordoncino rosso che lo divideva dalla marmaglia.
Sollevò un sopracciglio quando Dom P. sganciò il cordoncino e fece passare Lù, che teneva per la mano Armida, in coda c'era Kay, senza maschera. WTF?
«Ehi, P., ma insomma!» S. sollevò un braccio per indicarli. «Ho detto di non far entrare nessuno!»
Il dom si strinse nelle spalle. «È la Monitor con due ospiti, non pensavo che...»
«Lascialo stare, musone», Lù gli picchiettò una mano sul ginocchio per farlo spostare, S. posò il piede a terra, «promettiamo di non mordere.»
Armida fece spuntare da sopra la sua spalla il bel viso contornato dal bob nero e blu. «Non molto, almeno.»
Master Kay le superò e si lasciò cadere accanto a lui sul divanetto. «Voglio stare in mezzo.» Posò un braccio sullo schienale dietro di lui e con l'altra mano lisciò il velluto della seduta, rivolto verso le due donne. «Chi vuole sedersi accanto a me?»
S. si scostò, addossandosi al bracciolo, era a fine corsa. Tornò a far scorrere i commenti sul canale, risucchiando verso l'interno della bocca le guance e ruotando la mandibola. Lù finì accanto a Kay e Armida in fondo.
«Non è vero, Domme, che il nostro S. sta troppo al cellulare?» Kay gli sfiorò la base del collo con la punta delle dita, erano morbide e fresche.
«Dice che lo deve fare per lavoro», sarcastica, Lù si sistemò meglio contro il fianco del master, aveva le gambe posate sul grembo di Armida, a sua volta con le ginocchia piegate sul divanetto e incuneata tra una spalla e il petto della Domme.
Che bel quadretto. I flash di una macchina fotografica lo abbagliarono. Alex!
«Siete perfetti: S. irritato, Kay ghignante, Lù e Armida accoccolate. Un'altra.» Altri flash li illuminarono.
Le dita di Kay si insinuarono nel colletto della maglia di S. Che stava facendo? Non davanti alla macchina fotografica! Seppure nascoste, qualcuno avrebbe potuto notarle... il basso ventre si contrasse in un guizzo di piacere. Merda. Che avesse capito la sua debolezza?
S. sollevò una mano davanti a sé, coprendosi parte della faccia. «Alex, basta, cazzo. Vai a rompere le palle a qualcun altro.»
Imperturbabile, la fotografa si abbassò e continuò a scattare. «Fantastico, non è adorabile quando fa il Dom?»
Gli altri tre ridacchiarono, la mano di Kay gli accarezzò il collo e fece pressione per farlo avvicinare verso di lui, S. appoggiò la spalla su parte del suo torace. Oh, no, mossa sbagliata!
«Bene, a posto così, vado a rompere le palle a qualcun altro.» Alex sparì in mezzo alla mischia ondeggiante a ritmo della musica di Tongue Tied.
Kay sollevò l'altro braccio verso Gianni, uno dei camerieri, per richiamare la sua attenzione. «Portaci una bottiglia di Dom, ragazzo.»
Lù sbuffò dal naso una risatina. «S. non beve sul lavoro, master.»
«Sciocchezze, due dita non fanno male a nessuno», e due dita si infilarono tra i capelli della nuca di S., le unghie gli grattarono la pelle, delicate, «non è vero, mio signore?»
Il Pomo d'Adamo gli si incastrò in gola, facendo passare a malapena l'aria necessaria per vivere, flussi di calore si riversavano dalla testa in giù nel petto, fino al ventre, fino fargli pulsare il membro. Tutta la sua attenzione era concentrata nel mantenere un'espressione neutrale e la voce ferma. «Giusto due dita, non di più. Già tre non ci entrano... voglio dire, dopo bevo troppo.»
Ehi, era riuscito a fare una battuta senza gemere e implorarlo di smettere, come uno stupido sub. Andava malissimo. Malissimo. Le unghie corte di Kay gli risalirono dalla nuca fino alla cima della testa, S. dovette chiudere gli occhi, sopraffatto dai brividi di piacere.
«Tre dita non ci entrano? Dovrai fare meglio di così», il sussurro di Kay nell'orecchio gli spezzò quel minimo di fiato che gli era rimasto in gola, «per prendermi tutto.»
Non poteva implorarlo, non poteva implorarlo, non poteva implorarlo!
S. si piantò i denti nel labbro inferiore, li avrebbero scoperti. E tutti avrebbero saputo che stava soccombendo. Accavallò le gambe e si posò le mani in grembo, il cellulare a copertura del rigonfiamento pulsante, fin troppo visibile nei pantaloni di pelle attillati. Dov'erano i jeans baggy quando servivano?
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