Serpente corallo
Autore: M4rtyPerl4
Pacchetto: Morte - Scherzetto! La ragazza parla usando termini arcaici
Una ragazza, nuova in città, si ritrova a camminare in un cimitero tutte le sere per tornare a casa. Non succede mai nulla, ma quella sera un fuoco fatuo le si rivela...
C'era un'ombra nel buio, più nera del nero, e scivolava silenziosa nel labirinto di nomi che rifulgevano sotto la luna piena, mescendo la propria voce al fruscio delle frasche.
«Cinque Timmy, tre Marilou, otto Smith...»
Sospese nell'aria gelida di ottobre, piccole nuvole bianche le mordevano il naso, ogni qual volta un nome lasciava le sue labbra, come se il solo pronunciarlo potesse rievocare lo spirito di chi l'aveva portato. Soltanto un'ora era trascorsa da quando aveva smesso di piovere, e la notte era talmente umida che non l'avrebbe sorpresa scoprire di essere capitata dentro a un acquario, né volgere lo sguardo al proprio fianco per scorgere un banco di pesci nuotare nell'aria. Le galosce, che chissà quanti anni prima dovevano essere state di un abbagliante giallo limone, sprofondavano soddisfatte nel tenero ciarpame composto di fango e foglie morte. Squittivano, di quando in quando, ma solo se sfregavano l'una contro l'altra, gomma contro gomma.
«Dodici John, quattro Hannah, sette Philip...»
Si ricordò appena in tempo di quel ramo di tiglio che sporgeva più magro e più scuro degli altri, come una vecchia mano maledicente, e chinò il capo, affondando il volto nel collo dell'impermeabile. Quando vi passò sotto, sentì grosse e tonde gocce d'acqua tamburellarle sul cappuccio. Dubitava si trattasse di una benedizione.
Poco più in là rispetto a dove ora si trovava, quel che ancora era visibile del sentiero declinava dolcemente in direzione dell'ingresso principale. Da quell'altezza, seppur esigua, l'alta cancellata di ferro battuto era molto meno raccapricciante di quanto le apparisse al calar del sole, quando le toccava risalire la collina per varcarne la soglia. Allora, liquefatte dalle luci di Ocean Street, le sbarre sembravano aprirsi lentamente di fronte a lei in un ghigno immondo e famelico, come pronte per inghiottirla. Adesso, dall'altra parte del cancello, dove il chiarore dei lampioni non arrivava, non si distinguevano neppure. C'erano solo le guglie, smussate e tozze, come le zampette di un insetto.
«Sei Abigail, dieci George, una sola Madeleine...»
Si fermò, gli orli del pastrano che si riassestavano e tornavano immobili contro i suoi fianchi, pesanti come se si fosse riempita le tasche di sassi. Non udiva più niente al di fuori del suo cuore, che scalpitava e si gettava sulle sue costole come per uscirne. Fu talmente colpita dalla chiarezza di quel suono, che abbassò gli occhi per controllare che non le avesse già squarciato il petto. Solo allora si accorse della nebbia; le si era avvolta stretta stretta attorno ai piedi, e ora non li vedeva quasi più. Ebbe come l'impressione che tutto il tempo del mondo fosse stato improvvisamente lavato via, non tanto dissimile da un graffito battuto dalla pioggia. Anche il vento era cessato, caduto, un uccello con le ali spezzate.
Ma allora, come le tende di un sipario, la nebbia si disperse piano alla sua destra, serpeggiando via con noncuranza, rivelando qualcosa che le sembrò semplicemente offrirlesi dinanzi agli occhi, come apparsa dal nulla, o rimasta volontariamente nell'ombra, fino al momento opportuno.
Agli angoli, la targa era ormai stata divorata completamente dalla ruggine, che al pari d'un morbo avrebbe seguitato a espandersi, con la stessa ineluttabilità delle stagioni. Tuttavia, l'iscrizione era ancora leggibile, immune persino alla morsa dell'edera e, anzi, sembrava essere incisa, adesso, più profondamente di quanto doveva esserlo stata nel secondo dei due giorni su di essa riportati.
Madeleine Thompson
16 Dicembre 1815 - 29 Maggio 1831
Non tutti i boccioli si schiudono a primavera, non tutti i fiori appassiscono d'inverno.
Con amore, mamma e papà.
Nell'atto di voltarsi, una ciocca di capelli le era sfuggita dal cappuccio, ricadendole sul viso. Gli occhi incatenati a quelle parole di ruggine e d'argento, quasi ipnotizzata sollevò una mano per scostarla. Ma sotto le sue dita trovò, fredde e lisce come docili vermicelli di vetro, quelle di qualcun altro. Allora, ai margini del suo campo visivo, scorse uno scintillio accendersi nelle tenebre, una minuscola fiamma di colore bluastro, che guizzò rapida come una candela sferzata dal vento. Tornò a voltarsi e lì, davanti ai suoi occhi, anche lei immersa nella nebbia fino alle ginocchia -pelle diafana e pupille di nera ossidiana- una ragazza stava ritta in mezzo al sentiero, cinta da un lungo cappotto anch'esso trasparente, il nudo collo celato da innumerevoli giri di sciarpa. Aveva un braccio disteso a mezz'aria, e con quella stessa mano le stava rimettendo a posto i capelli, incastonandoli con cura dietro all'orecchio sinistro. Dopo, invece di ritrarla, le passò sulla guancia il palmo aperto, gelido come devono esserlo le acque in cui il diavolo fu condannato a spendere l'eternità, e le parlò, sorridendo, con una voce che era al contempo il primo e l'ultimo respiro di tutte le cose:
«Lo... glio... i... etro»
E parlando le si accostava, lenta e solenne, avanzando nella nebbia come fosse fatta di catrame, senza mai staccare la mano dalla gota dell'altra, il braccio che le si fletteva di più a ogni passo. Quando furono abbastanza vicine da riuscire a specchiarsi l'una nello sguardo dell'altra, lacrime adamantine rigarono copiose il volto della ragazza fantasma. Riluceva, come fosse fatta di ghiaccio, sotto i flebili raggi della luna che filtrava fra gli alberi spogli. L'altra fece appena in tempo a provare pietà, che quella di dissolse in un sospiro, scacciata da quel luogo di quiete sempiterna dal vigore effimero del fuoco. Abbagliata dalla luce improvvisa, tutto ciò che le riuscì di distinguere sul momento furono piccole braci galleggianti nell'oscurità. Quando poi cominciarono a planare su di lei alla velocità di artigli rapaci, la voce le sfuggì dal rifugio dei denti e, schermatosi il volto con le braccia, esclamò, preparandosi al peggio:
«Abbia pietà di me, signore, che sia lei spettro od omo in carne e ossa!»
E tuttavia il peggio non giunse mai.
Una mano invisibile abbassò quel sole che chissà chi aveva inaspettatamente acceso nella notte, ri-ducendolo a un bulbo di energia pulsante, rinchiuso fra barriere di vetro. Una volta che i suoi occhi si furono riabituati, la ragazza capì che quella mano non era affatto invisibile e che quei due tizzoni ardenti altro non erano che occhi, ed entrambi appartenevano a un uomo, e l'uomo teneva in mano una lanterna.
«Ragazzina, hai forse ingoiato una copia dei racconti di Canterbury?»
Le si era avvicinato, parlando, cosicché la fiamma aveva potuto rivelare il quadro di un vecchio gobbo e incartapecorito, dalla pelle del colore del caffè tostato, con guance cadenti e scavate, che sembravano essere state modellate col fango. Indossava una salopette in denim larga e sgualcita, su una maglietta a maniche lunghe di un verde malaticcio.
«Non so tu, ma a me questo non sembra proprio il posto più adatto a fare le prove per la recita scolastica»
Pronunciava ogni frase come se prima l'avesse a lungo rimasticata tra i denti e sulla lingua, e non muoveva le labbra più dello stretto necessario.
«Io, invero, stavo recandomi alla mia dimora, signore», replicò la ragazza a testa bassa.
«Passando per il camposanto?», grugnì il vecchio, arcuando entrambe le sopracciglia. Nel farlo, la fronte gli si era stropicciata a tal punto, che la ragazza pensò sarebbe rimasta in quello stato per sempre, come un foglio di carta pieghettato.
«Ahimè, non mi è noto altro cammino», confermò, annuendo gravemente, «E la mia disgraziata nonna vive giusto al di là delle mura di fondo, quelle nelle quali è l'accesso secondario a questo luogo» L'altro le lanciò un'occhiata bieca, dopodiché si voltò e si avviò lungo il sentiero, sul quale la nebbia aleggiava ancora, ma più sottile e meno viva.
«In questo caso,» mugugnò, come se il solo articolare quelle parole aggiungesse altra fatica alla sua schiena ricurva, «lascia che ti accompagni al cancello»
«Le rendo grazie, signore»
«Sì... sì... » , borbottò, sventolando in aria la mano libera.
La ragazza si affrettò a seguirlo, mentre quello marciava di buona lena alla luce della lanterna. Andava ben più spedito di quanto si potesse evincere dal suo solo aspetto.
«Se non la tedia che io le domandi», esordì a un tratto la ragazza, «posso chiederle quale cagione lo spinge a fruire d'un arnese così, come dire, antidiluviano?»
«La mia risposta è che portare qui una torcia equivarrebbe a utilizzare un cellulare in chiesa, non so se mi spiego», ribatté il vecchio senza esitare, «Ammesso che io abbia capito cosa intendevi dire»
Tacettero per alcuni istanti, il tempo necessario ad aggirare l'antico mausoleo abbarbicato a metà del pendio. Fu l'uomo a rompere il silenzio:
«Come hai detto di chiamarti?», chiese, volgendo appena lo sguardo alle sue spalle.
«A voler profferire il vero, mi duole ammettere di non averglielo presentemente detto», si scusò la ragazza, portandosi una mano al seno. Dopo una breve pausa, strinse le labbra come accingendosi a riprendere la parola. Tuttavia, qualunque cosa stesse per dire fu stroncata -così parve- bruscamente sul nascere
«Il mio nome è Hattie Woodstock», riprese infine, come se niente fosse, «E lei è... ?»
«Il guardiano di questo cimitero», l'anticipò il vecchio, oltrepassando agilmente un groviglio di rovi.
«Tu non sei di queste parti, vero, ragazzina?»
L'altra, ancora una volta, si mostrò titubante.
«È nel giusto», cedette dopo alcuni istanti, «Provengo da molto lontano, e un mese soltanto è trascorso da che sono giunta in questa contrada»
«Mh-mh», mormorò il vecchio, «E dimmi... non hai domande su ciò che hai visto questa notte?»
L'aria, da umida che era, si fece improvvisamente di pietra, tanto che, se qualcuno avesse provato a sferzarla con una lama, ne sarebbe scaturito uno stridio come di unghie sull'ardesia.
«Io credo, signore», replicò sommessamente la ragazza, la voce scura e lo sguardo dritto, «Anzi, non penso di peccare di presunzione quando asserisco che, con ogni probabilità, quanto io ho veduto pocanzi è stato solo frutto della mia mente traviata dalla fatic-»
«Baggianate!», ringhiò il vecchio, facendola trasalire.
Erano ormai giunti al cancello principale, ed entrambi, sia il vecchio sia la ragazza, si squadravano davanti alle sbarre di ferro come due animali in gabbia, incattiviti dalla prigionia.
«Sai cos'è che brucia, qui dentro?», sussurrò l'uomo, accostandole la lanterna al volto.
«Io non... »
«Felce», scandì il vecchio, «Tiene lontani gli spiriti. Questo posto ne è impestato, sai? Ogni luna piena del mese, qualcuno di loro balza fuori dal proprio letto per prendersi la vita di un altro, vita e corpo. Solitamente si tratta di persone deboli, che possono essere manipolate facilmente, e sulle quali nessuno si interrogherebbe notando un comportamento... ambiguo, ecco. In cambio, comunque, il povero malcapitato non ottiene nulla più del sonno eterno, che è però un sonno tormentato, roso dal rimpianto per le cose che ha perduto. Il peggio è che spesso neppure i loro cari se ne rendono conto, ma non c'è da meravigliarsi: da questa parte del mondo i morti non vengono ascoltati tanto quanto i vivi, e viceversa. Solo quando cominciano a udire i primi passi della morte dietro la porta, allora i vivi aprono gli occhi»
Aveva pronunciato le ultime parole con un forte accento straniero, che ricordava il picchiettare della pioggia su un sentiero ghiaioso.
Lentamente avviluppò una sbarra nelle dita magre, per poi tirarla verso di sé. L'anta del cancello si animò, col verso di un pulcino strozzato, e andò a dividere, come la porta di una cella, il guardiano dalla ragazza.
«Terribile, vero?», domandò in un bisbiglio, mentre questa oltrepassava la soglia del cimitero. Nell'oscurità lacerata dai lampioni di Ocean Street, gli occhi del guardiano erano tornati a divampare a mo' di stelle, mentre la pelle pareva squagliarglisi lungo le guance come melma.
«Terribile» confermò la ragazza, con un filo di voce.
Continuò a camminare, senza voltarsi, per tutto il tratto di strada che proseguiva in discesa. Solo quando ebbe raggiunto i piedi dell'altura osò sollevare lo sguardo: un flebile luccichio, più piccolo di una lucciola, si stava allontanando dal cancello, addentrandosi nel cimitero. Fagocitato dalla nebbia.
Il sole morente irrompeva sovrano dalla finestra aperta, disegnando sul pavimento un ampio ventaglio di luce dorata. Sul lato opposto della stanza, là dove i raggi giungevano solo di sghimbescio, su una zattera di cuscini e candide vele, una donna andava placidamente al largo della vita. Avvolta dalle onde di quelle lenzuola che erano fin troppo grandi per una persona soltanto, sopportava stoicamente la brezza ottobrina, forse con la convinzione che questa potesse indirizzare la sua prua su altra rotta. Saggiava l'aria della sera, in cui i suoi innumerevoli libri rilasciavano effluvi d'albero e d'inchiostro, con la schiena fragile poggiata alla testiera e le palpebre mollemente calate sugli occhi plumbei.
«Sono certa che questo rutilante tramonto sarà prodromo di bel tempo. Non lo credi anche tu, nonna?»
Sua nipote si era da poco trasferita dall'altra parte del quartiere, assieme ai suoi genitori. Era sempre stata un tipo schivo, solitario. L'anziana donna ricordava perfettamente i pomeriggi d'estate in cui,
quand'era ancora una tenera bambina, le chiedeva di andare in biblioteca piuttosto che al parco, e cambiare città non sembrava aver contribuito a renderla più aperta.
Tutte le sere da che avevano traslocato, sua nipote andava a trovarla -per prepararle un tè e leggerle qualcosa- tagliando per il cimitero. Ed era lì che la ragazza l'aveva conosciuta.
«Se non sono in errore, durante l'ultimo vespro ci siamo dedicate agli anfibi. Vogliamo passare ai rettili, quest'oggi? Su questo serpente mi pare ci siano scritte cose alquanto singolari... »
Più volte aveva retto il peso dei passi di lei sulla sua testa, e alla fine, in quella notte di plenilunio di circa un mese prima, si era alzata e le aveva chiesto chi fosse, e dove fosse diretta ogni giorno.
«Hattie Woodstock», era stata la prima risposta. «Da quella parte c'è casa mia», le aveva spiegato, indicando il cancello a valle. Poi, spostando lo sguardo sul lato opposto: «Lì, invece, vive mia nonna. Sui suoi occhi si è levata la foschia»
Alla ragazza era piaciuto il suo modo di parlare, conciso ed esplicativo a un tempo, ma lei non pos-sedeva di certo maniere meno fini di quelle.
«Io sono Madeleine», si era presentata, porgendole la mano.
Da allora, le condizioni di salute dell'anziana donna parevano essersi aggravate sensibilmente. Una domenica mattina, recatisi da lei per pranzo, sua figlia aveva realizzato, con non meno sconcerto del marito, che sembrava non riconoscere più la nipote.
Demenza senile, aveva detto il dottore.
«Il serpente corallo (Micrurus fulvius) è un grande predatore, estremamente velenoso, che si di-stingue per la sua particolare sequenza cromatica. Tuttavia, è facile confonderlo con altre specie a lui simili ma totalmente innocue, che ne imitano i colori come strategia difensiva»
Anche quel giorno la ragazza morta, alla quale interessava solo praticare quell'amore inscritto sulla sua lapide e che nella sua breve vita non ebbe il tempo di prodigare, continuò a leggere per lei fino a notte fonda, nascosta nel corpo della nipote.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top