Occidere
Autore: ester_fox_
Pacchetto: Serial killer - Scherzetto! La storia inizia con "Pois verdi"
Dieci morti apparentemente scollegate tra loro: ad ogni cadavere manca un pezzo del corpo diverso. Cosa li accomuna?
Pois verdi. L'ultima cosa che aveva visto, prima di catapultarsi per strada, erano state le pareti a pois del suo cubiculum, l'unico posto sicuro della domus in cui le avevano intimato di rimanere. Avevano messo addirittura uno schiavo fuori dalla porta, per la sua sicurezza. Grazie agli dei non avevano messo Marco o Publio fuori dalla finestra, così era riuscita a fuggire, portando con sé una sacca, ricolma degli oggetti che potevano tornarle utili. I pois verdi erano stati l'ultima cosa che aveva visto prima di lanciarsi nel buio della notte, nell'oscurità dove la sua pelle pallida riluceva appena alla luna.
Correre poteva essere l'unica via di salvezza per Flaminia. La stavano inseguendo, i soldati erano alle sue calcagna, poteva sentire il respiro pesante sul collo e udire i gladii le armature tintinnare fra di loro, i passi sempre più vicini. La giovane correva a rotta di collo, su e giù per le strade deserte, attraversando il ponte e allontanandosi dal centro della città, mentre la treccia di lunghi capelli castani le rimbalzava sulla schiena e il fiato si accorciava a ogni metro. Per fortuna ho messo i calzari vecchi, si disse, mentre svoltava rapidamente in un vicolo angusto e cercava di non inciampare nelle pietre sconnesse che componevano la strada.
Il rumore dei soldati si era affievolito, ma ancora non si sentiva al sicuro. Flaminia non si sentiva mai al sicuro quando era troppo vicina a terra. Preferiva mettere almeno un paio di metri fra sé e il suolo, per cui, dopo aver verificato che non arrivasse nessuno dalla strada, si avvicinò al muro della insula più vicina, esplorando con le dita lunghe e sottili le asperità, alla ricerca di un buon appiglio per issarsi. Una volta che si fu assicurata la tenuta dei mattoni, iniziò a salire lungo il muro, come un ragno mutilato, aggrappandosi a ogni irregolarità, anche minima, per arrivare al tetto. Il corpo teso, i muscoli già sotto sforzo dalla prolungata corsa; riuscì ad arrivare in cima grazie alla pura forza di volontà, con la schiena madida di sudore nonostante il fresco della sera.
Ignorando le gocce che le imperlavano le tempie, Flaminia si sdraiò sulla sommità del tetto, per nulla impaurita da una possibile caduta, cercando di recuperare un po' di fiato. Si assicurò che gli oggetti nella sacca fossero ancora al loro posto e, soprattutto, che lo stilo e la tavoletta fossero ancora intatti. Poi ricominciò a correre, questa volta sui tetti di tegole sconnesse della parte povera di Roma, a Trastevere. Da lontano si scorgevano le impalcature che circondavano lo scheletro dell'anfiteatro Flavio, che si preannunciava essere enorme. Un progetto colossale, che aveva fatto storcere il naso dei molti patrizi che si erano trovati ad allargare i cordoni della borsa.
Ansimante, si fermò su un tetto a fare il punto della situazione. I soldati non erano più in vista, ma non poteva tornare sul Palatino senza passare dal ponte, o le guardie che lo presiedevano l'avrebbero fermata. Con il respiro pesante, cercò di capire come tornare nella sua casa, o in un posto sicuro. Giocherellando con la bulla che portava al collo e che non aveva ancora avuto il tempo di consacrare a Minerva, la sua dea protettrice, decise che non avrebbe portato a termine il suo compito dove aveva inizialmente pensato di farlo, ma lì, oltre il fiume, fuori dalle prime mura.
"Flaminia, sei una donna ormai, indossa degli abiti decenti.", "Flaminia, non puoi uscire sola." Sua madre l'aveva sempre tormentata con mille raccomandazioni, raddopiandone la quantità da quando un misterioso assassino si aggirava in città, uccidendo persone e mutilandole senza motivo. "Flaminia, non uscire di casa senza uno schiavo forzuto che ti accompagni.", "Flaminia, fai attenzione agli uomini che incontri fuori di qui.", le diceva, con le mani nei capelli e la voce acuta per l'isteria, cercando di convincere la figlia ribelle a non uscire di casa, terrorizzata all'idea di perdere l'unica possibilità di imparentarsi con la famiglia reale.
Aveva ucciso nove persone , fino a quel momento. Agli uomini e alle donne morti, tutti patrizi ricchissimi e alti magistrati, erano stati asportati mani, piedi, lingua, a seconda di un crimine commesso e non meglio identificato. Accanto ad ogni corpo, due parole: È colpevole.
I pretori brancolavano nel buio, senza sapere da dove partire, chi cercare, chi incolpare. Roma era nel caos più totale e la madre di Flaminia, la moglie di uno dei maggiori generali dell'esercito, Domiziana Giulia Gaia, aveva tutte le ragioni per essere spaventata, ma non per vessare la figlia sedicenne. Quando Domiziana aveva paura, iniziava a tirarsi i capelli e a sfogare sugli altri la sua ansia, costringendo le ancelle, già sovraccariche di impegni, a raccogliere i lunghi fili dorati che lasciava cadere a terra e a prepararle bagni di latte d'asina, che potessero rilassarla.
Ora i capelli non se li tirerà più, pensò Flaminia, accarezzando la testa della madre, che custodiva nella sacca. Un sorriso si aprì sul suo viso, illuminandolo appena alla luce pallida della luna piena. E la mia vita non potrà che migliorare. Era il suo decimo omicidio. La testa gliel'aveva tagliata con un grosso pugnale, appartenuto al padre. "Con questo, ho ucciso molti uomini. È tuo, custodiscilo con attenzione", le aveva detto, quando glielo aveva affidato. Domiziana aveva urlato, aveva chiesto perdono, aveva domandato pietà, mentre la figlia le tranciava il collo, impietosa. Avevano fatto tutti così, ed erano morti tutti.
I suoi schiavi le si erano ribellati contro e, credendola impazzita, l'avevano rinchiusa nel suo cubiculum, lasciandola sola con il cadavere mutilato della madre, finché non era fuggita. Le lamentazioni funebri delle ancelle le davano alla testa.
Scese dal tetto, noncurante dei radi passanti, quasi tutti ubriaconi, che guardavano sotto la leggera tunichetta da ragazzina, troppo corta per un'allampanata sedicenne. Allontanavano tutti lo sguardo, quando si accorgevano della macchia insanguinata sulla tracolla.
Anno 827 Ab Urbe Condita, sotto il regno dell'imperatore Vespasiano, Flaminia Emilia Livia uccideva, secondo il computo che lei stessa compilò, cento persone, mutilandole, a seconda del crimine che a parer suo avevano commesso e moriva, fieramente, all'età di diciotto anni, combattendo contro un leone, durante l'inaugurazione dell'anfiteatro Flavio.
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