Le nebbie di Ed


Autore: DanailTheLastSong

Pacchetto: Streghe - Dolcetto! Una delle streghe si chiama Phoebe

Un nuovo rito della setta delle streghe dal sangue nero sta prendendo vita; sono morti circa dieci abitanti nella città di Darkville.  


1.1 Cuore di Ghiaccio.

Il freddo aveva penetrato la pelle e gli stava divorando lentamente i muscoli, ben presto avrebbe raggiunto le ossa. E forse per lui sarebbe arrivata, finalmente, la fine.

Ma, nonostante questo, non aveva nessuna intenzione di cedere.

Inspira. Espira.

Stringeva fra le braccia la sua adorata Celsa, con gli occhi serrati per cercare invano di prolungare la sua resistenza.

Eppure ancora sentiva il pianto della sua bambina, i fiocchi di neve che cadevano a frotte su di lui, la neve gelida che lentamente intrappolata entrambi.

Sentiva, in lontananza, i rantoli di morte che gli strascichi della battaglia comportavano.

Sentiva ancora gli odiosi brontolii di quelle bestie, versi di quei morti tornati in vita che avevano conquistato la capitale, assieme all'esercito di vivi che aveva assediato la città per mesi e mesi.

Sentiva anche i fischi e i sibili di coloro che avevano guidato quei mostri: demoni in corpi di morti, dai lunghi denti aguzzi, con una fame di sangue innaturale e infinita.

E poi sentiva anche lei. La guida di quegli esseri che, un tempo, esistevano solo nelle leggende.

-Rollo?- lo chiamò la presenza, con tono stanco e paziente. Celsa piangeva, lui sentiva più freddo di prima.

-Rollo, lo sai bene che non puoi continuare a rinviare. Eravamo stati chiari, allora: tutte le tue figlie femmine, vive o morte, e tutti i bambini nati morti che avresti avuto con... quella là. Così questo misero buco non avrebbe avuto più criminali di sorta. Sono stata di parola- continuò quella.

L'uomo aprì stancamente gli occhi, ritrovandosi davanti il corpo traslucido e raggrinzito di colei che, quando lei era ancora in vita, aveva tanto amato.

-Gisla. "Quella là" ha un nome. Gisla- sussurrò con voce roca. Anche se sapeva che era un'obiezione sciocca da fare, in quel frangente.

-Non m'importa come si chiama la tua nuova moglie. È a causa sua, della sua progenie e del suo popolo se noi, con le nostre tradizioni, stiamo morendo. Ed è anche la tua, di colpa-.

Rollo sospirò: non era così stupido, riconosceva il proprio tradimenti e la propria sconfitta.

Aveva sperato che permettere all'essere che un tempo era la sua prima moglie avrebbe alleviato le sue colpe davanti agli dei e al suo popolo. E invece aveva tentato d'ingannarla, di salvare la piccola Celsa dalle grinfie di... com'è che si era chiamata, lei? Baelnorn Lich?

Aveva provato a raggirare la promessa, e lei gli aveva scatenato gli uomini di suo fratello, assieme a cose a cui nessuno era preparato. Nessuno.

L'uomo allentò un poco la presa sulla neonata.

Sperava solo che Gisla e i loro bambini rimasti si fossero barricati per bene all'interno del castello, in modo da prevenire i primi assalti. In modo da non vederlo ridotto in quello stato.

-Siggy...- rantolò con immensa fatica, mentre la non morta prendeva la piccola dalle sue braccia e l'attirava a sé.

-Che vuoi, ora? Vuoi sentirti dire che andrà tutto tutto bene? Che risparmierò gli ultimi innocenti rimasti? Che la tua misera famiglia vivrà? Che tratterò bene la bambina? Cosa, Rollo?- domandò lei, fredda come l'inverno attorno a loro.

Lui la guardava, impotente, mentre lei s'alzava e gli voltava le spalle. Sentiva la bimba piangere a dirotto: con un gesto delle dita che gli gelò il sangue, in qualche modo Siggy la fece tacere all'istante.

-Lo sai benissimo che è grazie a promesse mantenute che sono in questo stato, fra la vita e la morte. Sai benissimo che tipi di giuramenti devo onorare, che la mia parola non è solo legata all'onore, ma alla mia stessa esistenza. E sai altrettanto bene che tipo di creature vengono se qualcuno non rispetta certe promesse, creature ben peggiori di vampiri e non morti. Te li ricordi bene, quegli esseri, non è così?- domandò lei con tono incalzante, giratasi un poco per guardarlo con aria di sfida, senza voltarsi eccessivamente.

Rollo esalò, in tutta risposta, uno sbuffo di vapore, segno che il respiro vitale non lo avrebbe ancora abbandonato. Fissò quegli occhi, un tempo azzurri e limpidi come l'acqua di sorgente, in quel momento traboccanti di un'energia potente, antica e oscura come il ghiaccio.

Sì, ricordava le immagini di quegli assassini fatti in metallo. A dirla tutta,ricordava bene anche il resto delle cose che la morta gli aveva mostrato, cose di cui ancora non comprendeva la natura.

Senza attendere ulteriori risposte, lo sguardo di lei tornò sulla bambina, stranamente silenziosa.

-Lei starà bene, certo. Ma "Celsa" ormai non esiste più. Ora è solo "Hela"-.

Dopo quell'affermazione, Rollo chiuse per l'ultima volta gli occhi. Aveva condannato la sua unica bambina e la gente che lo aveva accolto a una maledizione senza fine.

Ma se le parole di Siggy erano vere, se la piccola avesse avuto una lunga vita piena di grandi imprese, senza nessun vincolo... Con il cuore intriso di vergogna e speranza; nel buio, nel freddo e nei suoni della disperazione attorno a sé, Rollo attendeva la sua fine.

Attendeva.

Siggy, d'altro canto, sapeva bene che quella fine non sarebbe arrivata in quel momento per lui.

A dirla tutta, la fine non sarebbe mai arrivata, per Rollo almeno. Ma questo dettaglio lo avrebbe appreso poi.

Erano passati secoli su secoli da quando si era allontanata dal mondo con la neonata per addestrarla.

Aveva cambiato la sua anima in modo che il patto che aveva stretto col padre si ripercuotesse nella figlia nel modo migliore possibile. E così era stato: complice anche l'isolamento magico che le aveva costrette per tanto tempo sottoterra, la crescita della bambina era lenta, così da prolungarle notevolmente la vita. Vita contaminata dalla non morte che la matrigna le aveva trasmesso.

Ma intanto il mondo attorno a loro cambiava, e Siggy non dava troppo peso a ciò: usciva fuori dalla loro fortezza di strade sotterranee e sale rocciose solo per fare scorte alimentari e per trovare altri allievi e allieve, per così dire.

Non che ci volesse molto, alla fine: a quanto pare, in quelle terre a nord-est dal Kattegat, fatte di picchi innevati e intere dorsali rocciose, dove le tradizioni del suo popolo erano quasi assenti, era consuetudine allontanare quei pochi bambini e bambine nati... diversi. Piccole vite che si ritrovavano a vagare morenti per quell'area, come se percepissero involontariamente un'aura familiare.

E, seppur era accaduto molto di rado in quel periodo, Siggy era riuscita a recuperare qualche nato morto dai villaggi ai piedi dei monti, giusto per riaccendere in loro la fiamma della vita -la sua dea le aveva spiegato nel dettaglio come fare- e, da quell'atto, insegnare loro poi come trarne vantaggio.

Ogni volta che tutti loro guarivano, crescevano, accoglievano i suoi insegnamenti e li facevano propri, ogni volta che comprendevano la loro natura e l'assecondavano, nascosti dagli occhi del mondo, ogni volta che lei donava loro poche parole d'approvazione, loro rispondevano con sguardi traboccanti di gratitudine.

Lei sapeva che il suo cuore era avvizzito, come tutto il corpo, del resto, ma in quei momenti sentiva sempre uno strano, caldo e piacevole moto in quel lato sinistro del petto. Come se la vita, in minima parte, le fosse ancora concessa.

Ma venne anche il tempo delle malattie, della claustrofobia, dell'energia arcana che stagnava.

Era venuto il momento di lasciare quel luogo.

La piccola Congrega, dopo un tempo indefinito di isolamento, in una silenziosa fila compatta guidata da una Baelnorn Lich* e dal suo famiglio -uno spirito etereo a forma di volpe artica, di cui nessuno conosceva ancora la funzione- incominciò il suo viaggio attraverso la neve e la nebbia di quelle alture.

È lungo quel viaggio che Siggy apprese delle conseguenze di quella battaglia, avvenuta in un tempo lontano, e di cosa fosse diventata quella città.

Fu allora, durante le lunghe camminate attraverso le foreste nordeuropee, durante le ricerche per un nuovo posto dove vivere, che attraverso il suo famiglio e la sua rete d'informazione apprese quel dettaglio.

Quel leggero e piacevole moto a un cuore che non doveva più esistere si trasformò in qualcosa di diverso, di più intenso.

Mentre lo sentiva, di giorno in giorno, allargarsi sempre di più in tutto il suo corpo, Siggy osservava. Osservava la sua piccola congrega mentre cercava di plasmare, nel cuore della foresta di Ed, il loro insediamento.

E in particolare guardava, silente, la sua Hela, ormai giovane donna, mescolarsi fra i compagni e dare indicazioni.

Non tutti erano adatti al contatto con la vita vegetale e animale, come lei, ma nonostante questo -e la vecchia stregona ne andava stranamente fiera- tutti avevano un compito, datosi spontaneamente. Riuscivano ormai ad autogestirsi, senza essere dipendenti da lei.

Quando il primo anno passato in quella foresta stava volgendo al termine, Siggy si decise di parlare ai suoi discepoli delle proprie indagini.


1.2 Walpurgisnatch.

Dieci persone. Dieci morti.

Nove uomini con un'immagine esemplare e il marcio dentro, un vampiro.

La notte di mille e più Samhain dopo che stava per iniziare. L'undicesima, non programmata vittima che cercava di fuggire dai propri inseguitori.

Stiamo venendo piccolo sciocco essere stiamo venendo per te e per loro miserabile microbo

Correva a perdifiato, l'investigatore troppo curioso, correva su per sentieri bui e scoscesi, attraverso i tronchi degli alberi, attraverso le ombre che la luce lunare genera, attraverso l'oscurità della foresta.

Davanti a sé aveva solo la guida di una volpe a nove code, bianca ed eterea, come uno spirito del gelo, sfregiata solo sul muso.

Dove pensi di andare forse dai tuoi amichetti della setta ma non ti aiuteranno perché loro sono malvagi perché loro ci hanno traditi perché loro ci vogliono rubare ciò che col sangue e con la fatica abbiamo conquistato con loro

Ragnarsson aveva capito dove voleva arrivare quella che a "Darkville" chiamavano "setta del sangue nero".

Aveva compreso quelle strane incongruenze nelle testimonianze nascoste del nono secolo dopo Cristo, ma quel puzzle si ricompose solo mentre loro lo stavano selvaggiamente inseguendo.

Aveva ficcato troppo il naso nelle alte sfere che quei parassiti avevano infettato dopo quell'assedio. Quasi percepiva i loro pensieri.

La volpe a nove code saltava e correva a due passi da lui, guidandolo sicura verso la lsua padrona.

Come credi di sfuggirci noi siamo in ogni luogo noi vogliamo vivere vogliamo che lei e lui muoiano per sempre vogliamo che la corruzione dilaghi vogliamo dominare e non saranno le piccole streghe e i deboli guerrieri della non morta a fermarci

Correva a perdifiato l'investigatore, finché non cadde e non venne raccolto da qualcosa.

Sentì sollevarsi per cadere su una schiena enorme, su muscoli e ossa e pelle e pelo che con un unico e fluido movimento frenetico sfrecciavano via, verso il centro della foresta di Ed. Le energie erano terminate, non riusciva a far altro che ad aggrapparsi a quel corpo di quel criptide a quattro zampe.

Dietro di lui, percepiva il branco di vampiri inseguitori, percepiva anche le presenze delle "streghe" e dei "guerrieri". I settari che tutti cercavano con torce e forconi, i congregari che stavano cercando di ripetere un rituale compiuto un millennio prima.

Cosa pensate di fare piccole prede

Vogliamo risvegliare il Re sotto la Montagna vogliamo onorare il patto con lui iniziando da qui vogliamo depurare il mondo dai nostri errori vogliamo che il sangue degli impuri bagni la terra che invoca pietà

Il coro di voci di chi correva rimbombava nella testa di Ragnarsson: riconosceva la voce della Dampira dietro di lui -Phoebe? Era lei, la ragazza che aveva conosciuto al campo per tiro con l'arco? Era lei quella mezzosangue? Era lei che cavalcava con lui, ma dandogli le spalle?- rispondere agli esseri e cantare formule sconosciute mentre sparava con armi che lui non conosceva.

Forse, a giudicare dal rumore che producevano, erano armi da fuoco rese adatte anche per il lancio di dardi arcani.

Davanti a lui, l'eterea volpe guaì e scomparve in una radura più avanti. Accanto a loro, ombre familiari fra gli alberi -ombre di persone che aveva considerato nemiche- si proiettavano verso le cose che braccavano l'uomo e tutte loro.

Ragnarsson non osava neanche girarsi, finchè non venne colpito da qualcosa, alla schiena.

Sentì la Dampira dietro di lui cacciare un grido strozzato e irrigidirsi addosso al suo corpo.

Piccole prede piccole prede morite morite assieme a noi a noi

L'enorme criptide sotto l'investigatore ruggì fragorosamente, prima di un'ultimo slancio e cadere rovinosamente a terra, cercando di abbrancare e proteggere uomo e mezzosangue.

Ragnarsson crollò a terra fra pelo, artigli e un teschio caprino con le corna ritorte, che doveva essere la testa della creatura.

Creatura che si ritrasse e tornò al suo aspetto naturale ed esanime, quello di un bambino di dieci anni dalla chioma fulva.

L'uomo cercò di abbracciare lui e la Dampira, svenuta per le ferite, accanto a lui. Ma, nel respirare, sentì il sangue invadergli la trachea.

Gli avevano forato il polmone con un'arma da lancio, probabilmente.

Vide, durante la lenta agonia, sfrecciare sopra di loro quelle creature, predatori così accecati dall'ira dall'aver deformato i propri tratti.

E, rovesciando la testa, vide la ragazza della non morta correre verso il lago, su cui in lontananza svettava un imponente massiccio montuoso, assieme allo spirito, assieme alla moltitudine di sopravvissuti della setta.

La luce della luna piena illuminava completamente il paesaggio e i loro corpi umanoidi, che risplendevano a causa dei marchi sulla loro pelle.

Si domandò perché riuscisse a vedere la non morta, vecchia di un millennio, responsabile di tutto quello, lì in piedi in mezzo al lago.

Si domandò se i suoi pensieri erano corretti, se lui era l'esca per le aberrazioni di Darkville, se i discepoli di quella variante di lich erano la loro rete arcana. Se il suo sacrificio, quello del suo salvatore bambino e della Dampira fosse stato necessario e sufficiente.

Ma, ne era certo, i dieci morti erano fondamentali per quel rituale purificatore, come lo erano stati per attirare quelle bestie sulla Terra.

Il suo cuore trovò la pace quando scorse la volpe, la morta e la sua prima discepola alzare qualcosa verso la luna e verso la montagna, cantando qualcosa di antico, di potente. Qualcosa limpido e chiaro come il ghiaccio.

Si alzò il vento, il suo ululato si mescolò con quello degli abomini intrappolati e ridotti in cenere. Qualcosa si svegliò ed emerse dalle acque.

Ragnarsson sospirò, per quanto il sangue nella gola glielo consentisse, mentre sentiva una strana pace nel cuore.

Peccato solo non poter vedere il secondo baelnorn lich.

Poi, il buio.

Zia Siggy, che facciamo con loro?

Non so Hela, cosa vuoi che faccia?

Non lo so. Però Ragnarsson voleva bene a Phoebe. Anche se lei era mezza vampira.

Lei si è salvata. E anche il piccolo Aidan.

Lo riportiamo da noi, quindi?

Non devi chiederlo solo a me. Chiedilo anche a tuo padre. Lui si è trasformato sacrificando molto. Lui è con noi, ora. Chiedi anche a lui.

Lui ha detto di sì, zia Siggy. Ha detto di-

Di non lasciare più nessuno indietro, non è vero? ...Allora ok.

Davvero?

Sì. Va bene. Riporterò Erik Ragnarsson indietro da noi. E affronteremo questa guerra anche con lui, insieme.

Insieme.

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