Senza titolo

AUTORE: writingsweetly

PACCHETTO: giorno 10

GENERE: fanfiction, drammatico, introspettivo, angst, sentimentale, incompiuta, contenuti forti. 

"La tua rappresentazione...", iniziò, guardandola con occhi colmi d'ammirazione. "...non ho mai assistito a nulla di più emozionante".

La poetessa chinò il capo e si piegò leggermente in avanti, in segno di rispetto. "Siete gentile, Imperatrice. Vi ringrazio".

La sovrana di fronte a lei indossava delle vesti meravigliose, di lino rosso finissimo, decorate con una fascia in vita stretta attorno i fianchi, e impreziosita con inserti a lamina d'oro e argento a richiamare il periodo tanto festoso del Solstizio. Le sollevò il mento con delicatezza. "Dove trovi l'ispirazione?", domandò.

La giovane ateniese carezzò distrattamente la stoffa bianca della propria tunica, prima di rispondere: "Le parole appaiono da sole, come se provenissero da un mondo lontano. Io mi limito a scriverle", ammise con umiltà. "Ma ditemi di voi, vi supplico. Non si parla d'altro in tutto il regno. Si dice che i vostri uomini vi seguirebbero sino alle porte degli Inferi. È meraviglioso, non trovate?".

L'imperatrice parve rifletterci. Fece una piccola smorfia. Non era certo amore, quello dei suoi sudditi. Rispetto, forse. Fiducia, obbedienza, obbligo magari. Non aveva nulla a che vedere con il sentimento che la poetessa aveva saputo mettere in scena quella sera. "Tu ci credi?" si trovò a chiederle.

La giovane corrucciò la fronte, manifestando la sua confusione e l'imperatrice, con un sorriso, dovette aggiungere: "L'amore che hai descritto. Esiste davvero?".

Rispose facendo spallucce. "Non è ciò che desideriamo tutti? Qualcuno che sia in grado di suscitare nel nostro animo un sentimento per cui valga la pena di morire?", s'incantò ad ammirare quelle iridi cobalto della sovrana. Più la guardava più si convinceva non esistesse nulla di più incantevole. "Avete degli occhi meravigliosi", ammise infine, a voce alta.

Si rese conto delle sue parole solo in un secondo momento, perdendosi in un sorriso altrettanto prezioso, quello dell'imperatrice. "Oh, perdonate la mia insolenza. Non so cosa mi sia preso, i-io...", guardò altrove, mortificata. Dei dell'Olimpo, che vergogna! "Me ne vado subito".

"Gabrielle...", la voce della sovrana uscì morbida come una carezza. "Per favore, non scusarti", adagiò una mano sulla sua spalla scoperta, perciò Gabrielle s'irrigidì sul posto. "È questo il tuo nome, non è così?".

"S-sì", balbettò.

Restarono a fissarsi per un po', secondi che parvero interminabili, finché il chiacchiericcio tra Cesare e Antinea catturò l'attenzione di entrambe. L'Imperatrice sospirò sommessamente, avvertendo lo sguardo del suo sposo puntato su di loro. Pensò fosse meglio posticipare la conversazione in un luogo più appartato. "Ti va di fare due passi insieme, dopo il rinfresco?".

Gabrielle deglutì a vuoto. Stava avendo non poche difficoltà a spiccicare due parole insieme, il che non era da lei. Infine annuì. "Ma certo, Imperatrice. Sarebbe un onore".

"Ti prego, chiamami Xena", avvicinò la mano, e la poetessa non osò scostare la sua, quando le loro dita si sfiorarono. Pregò gli dei affinché l'Imperatrice non si accorgesse del trambusto insistente che stava facendo il suo cuore. Poi s'inchinò di nuovo prima di congedarsi, agitata e gioiosa al tempo stesso.

*

Il viso dell'Imperatrice s'illuminò, notando la poetessa avvicinarsi. "Sei venuta".

"Non potevo mancare".

Xena allungò il braccio nella sua direzione, invitandola ad accomodarsi accanto a lei. Gabrielle le donò un dolce sorriso e una volta seduta, permise a sé stessa di dare un'occhiata alle splendide decorazioni del Solstizio all'interno del Palazzo. Il fuoco bruciava sotto forma di sottilissime candele che creavano magici giochi di luce sulle pareti. Sotto ogni arco, all'entrata dei corridoi, pendeva un ciuffetto di vischio, abbellito con nastri di lino bianco a richiamare il colore delle sue bacche, e penduli bronzei a simulare il fioccare d'inverno.

"Il vostro sposo deve essere così romantico", osservò, incantata. "Non ho mai visto tanto vischio prima".

Xena levò gli occhi al cielo. Sorrise divertita. "È solo molto abile ad impressionare gli ospiti". A Cesare non interessa affatto il Solstizio.

"Conoscete la reale storia legata al vischio?".

L'Imperatrice fece cenno di no con il capo.

"Alcuni bardi di mia conoscenza lo descrivono in modo errato. Leggi del vischio e ti vengono in mente solo i baci", fece una smorfia buffa. "Che banalità, non trovate?".

Xena replicò sarcastica: "Io non sono affatto banale, proprio no".

Gabrielle si lasciò sfuggire un risolino. Senza pensare, adagiò il palmo su quello della sovrana. "Sono gli aedi che dovrebbero narrare la storia giusta. Il vischio vive senza toccare terra, resta sospeso senza attaccarsi a nulla. Si vocifera che all'interno delle sue bacche si nasconda l'essenza della vita stessa e che solo le anime legate dal destino possono sperare nella sua protezione", raccontò con un luccichio negli occhi di chi racchiude tanta speranza. "È il bacio del vero amore, la chiave".

Xena si fece pensosa, ma non scettica. "Credi che sia reale?".

"Può darsi, ma non prendetemi troppo alla lettera", gesticolò. "Sapete, descrivo l'amore, ma non ho mai amato nessuno", ammise in imbarazzo.

Le labbra di Xena si appiattirono in una linea sottile. Neanche lei aveva mai provato un sentimento simile. Era sposata, certo, ma per lei il matrimonio e specialmente il suo matrimonio, non aveva nulla a che vedere con l'amore. "L'hai forse immaginato?".

L'ateniese fece spallucce. "Forse l'ho sognato", e in parte era vero. Lei l'aveva percepito quell'amore, distante dalla sua realtà, eppure incredibilmente vicino al suo cuore. Aveva senso? Poteva averne? "A volte le cose belle succedono solo se lontane dal nostro controllo", ragionò a voce alta.

Xena si trovò a riflettere e annuì. Sollevò la mano libera e l'adagiò sul viso della fanciulla di fronte a lei. Bella come una dea, forse di più. Sì, decisamente di più. Non poté trattenersi dall'accarezzare quel suo splendido profilo.

"Come in questo momento?", disse Xena, con un filo di voce.

L'ateniese sollevò l'angolo della bocca. Si riavvicinò. Sentiva il suo cuore fin dentro le orecchie, ora rosse come due ciliegie mature. "Come in questo momento".

La sovrana lesse un leggero disagio negli occhi verdi della fanciulla. "I-io...", tentò di dire qualcosa, ma Xena catturò la sua bocca in un bacio, prima che potesse farlo. Chiuse gli occhi e si sentì finalmente viva, quando Gabrielle, mise da parte la sua timidezza e approfondì il bacio.

//

Le dava le spalle, così sarebbe stato più semplice nasconderle gli occhi, che s'erano fatti lucidi. "Perché hai rischiato la vita entrando in quella grotta da sola?", le domandò flebilmente.

La biondina fece spallucce. Abbassò il capo, pentita. "Volevo riparare a ciò che ho fatto, perché non mi portassi rancore".

Si girò. "Non potrei mai portarti rancore", le sollevò il mento, e nel tentativo di tirarla su di morale, fece sparire l'espressone corrucciata che aveva mantenuto in viso." Il tuo cuore è sempre nel giusto, Gabrielle", fece sinceramente.

Parve rifletterci. "Anche quando ho tentato di governare un villaggio con i Titani?", tentò.

"Perfino tu puoi compiere qualche errore", aveva riso, scuotendo debolmente il capo.

La fanciulla a quel punto sorrise. Mantenne il gioco. "E quando mi sono messa in mezzo a due uomini armati per impedire che combattessero l'uno contro l'altro?", la punzecchiò.

Xena arricciò le labbra in una smorfia. Inclinò la testa per guardare meglio quegli occhi verdi, vispi e curiosi. "Quello ha dato nuovo coraggio a tutti noi. Ma ti avverto, non farlo mai più", convenne, con fare apprensivo, pizzicandole la guancia.

Gabrielle si trovò a ridere. E non contenta, dopo un po' aggiunse: "E quando ho intrecciato la coda del tuo cavallo?".

Si trovò a sbuffare e alzare gli occhi al cielo, Xena. Eppure nonostante tutto, proprio non riusciva a smettere di volerle bene, decisamente troppo bene. La guardò di nuovo. "Il fatto è che noi due siamo una famiglia, Gabrielle, non dovremmo permettere che piccoli inconvenienti ci portino a litigare. Non mi piace affatto discutere con te e ancor meno vederti imbronciata".

Gabrielle annuì. "Hai ragione. Neanche a me piace litigare", ammise, sfiorandole la mano.

Xena le rivolse un dolce sorriso. Premette le labbra sulla tempia della biondina e chiuse gli occhi, lieta non le fosse successo nulla in quella caverna abitata dai titani. "Ah e un'altra cosa.", fece dopo un po', staccandosi per guardarla con fare perentorio.

Gabrielle corrucciò la fronte, parve farsi ancora più piccola di quanto non lo fosse già agli occhi di Xena. "Sta' lontana dal mio cavallo".

Però alla fine, si rasserenò e soffiò sollevata.

//

Spalancò nuovamente gli occhi, Xena. Ora ricordava, ricordava tutto.

La giovane poetessa non poteva credere fosse accaduto davvero. Con le labbra umettate, non osò distogliere lo sguardo. "Imperatrice...", mormorò quando la donna andò a sfiorarle un punto sensibile sotto l'orecchio, con la lingua.

Piegò le labbra all'insù, prima di replicare: "Xena", la corresse. "Il mio nome è Xena".

La giovane poetessa inclinò la testa di lato, quel leggero solletico stava mandandola fuori di senno. Non riesco ad interrompere questo flusso di pensieri che ho su di voi. Cos'è che mi succede? Cos'è che mi state facendo? Perché ho la sensazione di conoscervi? "Xena...", ripeté, una lacrima scivolò dalle lunghe ciglia scure dell'Imperatrice.

Gabrielle sgranò gli occhi, agitata. "State male? Volete che chiami il vostro sposo?".

In tutta risposta, Xena scosse subito il capo. "No, no sto bene. Sto bene davvero. Resta qui", ammise, in flebile sussurro. Non ti ricordi di me?

"Come desiderate", con gioia, raccolse le sue mani, portandosele alle labbra.

*

Cesare era furioso. Poggiato alla sua scrivania, teneva la testa tra le mani, riflettendo sugli ultimi avvenimenti. La poetessa e l'Imperatrice, ormai non si parlava d'altro a Palazzo da giorni. Era diventato lo zimbello di tutti.

"In fondo mi spiace per te, sai? Hai ingannato le Parche stesse, ma i destini di quelle due si sono incrociati anche qui", lo stuzzicò Antinea.

Cesare le lanciò un'occhiataccia. Le sue orecchie bruciavano tanta era la collera che provava. Una parte di lui aveva temuto potesse accadere qualcosa, nel momento esatto in cui la poetessa aveva messo piede sul palcoscenico per presentare la sua rappresentazione. Mai e poi mai avrebbe immaginato che dietro a quel nome potesse celarsi proprio lei, la fanciulla che in un'altra vita, altro non era che la compagna di Xena.

"Le ho offerto tutto", sibilò risentito. "Qualsiasi altra donna avrebbe ucciso per essere al suo posto!" Per essere mia sposa!

Antinea levò gli occhi al cielo e sbuffò. "Le anime gemelle", sospirò. "Neanche gli dei avrebbero potuto ostacolare il loro incontro. Le sorelle, d'altronde, ti avevano avvisato" gli sfiorò la base del collo con la punta delle dita, poi poggiò il mento sulla sua spalla, con fare sensuale. "Meriti di più di una sgualdrina dalle tendenze omosessuali, Cesare".

Cesare socchiuse gli occhi e un brivido gli percorse la schiena. Non dovette rispondere a parole, non ce ne fu bisogno. Antinea capì le sue intenzioni, quando voltatosi, catturò le sue labbra tra i denti.

*

A pochi giorni dal Solstizio, la poetessa e l'Imperatrice continuarono a trascorrere del tempo insieme, come fosse stata la cosa più naturale al mondo. C'era complicità nei loro sguardi, familiarità nei loro gesti, perfino la servitù l'aveva notato.

"A cosa pensi?", domandò Xena.

Gabrielle scosse debolmente il capo senza rispondere, così l'Imperatrice si trovò in dovere di avvicinarla, cingendole la vita col braccio. "Nascondi qualcosa alla tua Imperatrice?", la stuzzicò.

L'ateniese sussultò, trovandosi di schiena contro il seno della sovrana. "Non mi permetterei mai", fu la sua risposta.

"Avanti", tentò di nuovo. "Dimmi a cosa pensi", le stuzzicò il lobo dell'orecchio con la punta della lingua, mentre con le dita frugò tra i doppi strati della sua veste, ricordandosi degli innumerevoli suoi punti deboli.

"Vi supplico!", esclamò.

"Sai, potrei decidere di tenerti così tutto il giorno", la prese in giro.

Tentò di divincolarsi. "Basta, soffro il solletico!", protestò ridente.

Oh lo so, rammento bene. Sorrise e a malincuore, Xena la lasciò andare. Avrebbe potuto ascoltare quella risata per ore. "Allora?", incalzò. "A che pensi?".

Gabrielle aveva gli occhi lucidi e gioiosi. Non s'era mai sentita così spensierata in vita sua. E se fossi in un sogno? Se tutto questo fosse solamente temporaneo, uno scherzo della mente e nient'altro? Se dovessi svegliarmi domattina nel mio giaciglio ad Atene, come sopporterei di andare avanti dopo aver assaporato un frutto così succoso?

Infine disse tutt'altro: "Mia nipote".

Xena arcuò un sopracciglio inquisitore. "Hai una nipote?".

La poetessa annuì. "Il suo nome è Adora, ha appena cinque primavere. Se sono qui è anche per lei. Vorrei portarle un dono per il Solstizio", poi si strinse nelle spalle. "Sapete, io e mia sorella non navighiamo nell'oro, però grazie ai miei racconti, riesco a guadagnare qualche moneta extra, che spendo volentieri per lei".

Xena sentì il proprio cuore fremere per tutta la tenerezza che stava suscitandole in quel momento Gabrielle. "Devi volerle molto bene", ammise con un sorriso.

"È così. Una gioia per gli occhi...", convenne, ricordando il suo bel viso.

L'imperatrice prese la poetessa per mano. "Vieni", intrecciò le loro dita insieme. "Voglio mostrarti una cosa".

*

Gabrielle si sarebbe aspettata di tutto, meno che una stanza come quella.

"È incredibile!", esclamò a bocca aperta. C'è un balocco per ogni bambino del Regno. Ognuno potrebbe possederne uno tutto per sé. Raccolse una bambolina dallo scaffale di fronte. "Questa bambola apre e chiude gli occhi!", si voltò e guardò Xena.

"È carina, non è vero? Ne possiedo decine come lei. Qualche anno fa, ingaggiai degli artigiani, affinché progettassero dei balocchi da distribuire il giorno del Solstizio a tutti i bambini del Regno", spiegò, raccogliendo distrattamente un burattino costruito a immagine e somiglianza del leggendario Hercules, figlio di Giove.

"È meraviglioso", biascicò Gabrielle con gli occhi carichi d'emozione. "Li distribuite ancora?".

L'Imperatrice appiattì le labbra. "Sì e no". Cesare glielo aveva impedito.

"Che intendete?".

Prese tempo. "Rideresti, se te lo dicessi...".

La giovane poetessa si avvicinò e scosse il capo decisa. "Non potrei mai. Per favore, confidatevi con me", la supplicò, prendendole le mani.

Le sorrise. "E va bene", concesse. Le raccontò che la notte che precedeva il Solstizio, sgattaiolava fuori dal Palazzo, con indosso delle semplici vesti, prettamente maschili, così da non dare nell'occhio, un'ampia mantellina rossa col cappuccio, e il sacco più grande che riusciva a racimolare dalle cucine, per infilarci quanti più balocchi riuscisse. E poi con l'aiuto di Rocinante, uno dei suoi cavalli, si fermava davanti ogni abitazione e lì, davanti alla porta, lasciava il suo dono, dopo aver bussato alla porta.

"Pensi sia stupido non è vero?".

La poetessa la guardò come se fosse impazzita. "Volete scherzare? Quello che fate è stupefacente! Il popolo ha ogni ragione di esservi affezionato", fece sicura di sé.

L'imperatrice sorrise. Prese Gabrielle per il polso, e portò il palmo alle labbra, per baciarlo. "Ti ringrazio. Appoggio Cesare e le sue scelte, ma ciò non significa debba acconsentire ad ogni sua imposizione. Celebrare il Solstizio è importante per Roma, e immagino lo sia anche per te e la tua famiglia ad Atene".

Lei annuì.

"Dunque per favore, prendi un balocco per tua nipote, o quanti ne vuoi", l'incoraggiò.

Gli occhi verdi di Gabrielle s'inumidirono. "Posso davvero? I-io vorrei pagare".

"Assolutamente no", Xena le rivolse un'occhiata che non ammetteva repliche. "Consideralo un regalo per il Solstizio".

*

Quella sera stessa, e sotto sua insistenza, Gabrielle aveva scelto di portare con sé un agnellino di legno: un balocco piuttosto singolare, grande poco più di un palmo e in grado di belare ogni volta gli si tirasse la coda. E aveva riso, quando l'aveva scoperto in mezzo a tutti gli altri, così tanto, che neanche Xena aveva saputo trattenersi. "Adora lo adorerà!", le aveva detto, emozionata. "Quando tornerò ad Atene, le racconterò di voi. Anzi, mi fermerò in ogni locanda: parlerò della vostra bontà e del vostro cuore. Tutti devono conoscere chi siete, chi custodisce un animo tanto buono come il vostro", aveva promesso e Xena era arrossita.

Camminando per i corridoi, travolta da quei dolci pensieri, la sovrana fu distratta da un gruppo di soldati che avanzava nella direzione opposta. Interruppe il passo, cercando di capire il perché di tanta fretta. Fu tentata di seguirli, ma la voce del suo sposo la bloccò sul posto.

"Ora è questo l'effetto che ti faccio?", rise sommessamente Cesare. "Qualche tempo fa sapevo suscitarti ben altre sensazioni", bisbigliò, avvicinandola per baciandole il collo, insistentemente.

Finse di non ricordare nulla. "Sì", fece lei, distratta. Poi scosse il capo, reprimendo l'istinto di mollargli un pugno in pieno viso. "Voglio dire no, mi hai solo sorpreso", si corresse.

Cesare aggrottò la fronte, quando Xena si voltò nuovamente, ormai incapace da giorni di dargli retta. "Dove hai mandato quegli uomini?".

Non puoi proprio rinunciare a lei, non è vero? "Ad arrestare la poetessa", rispose distaccato. "La nostra consigliera mi ha riferito cose a dir poco spiacevoli sul suo conto".

Lei assottigliò gli occhi in due fessure. "Di che cosa parli?", domandò in un sibilo.

Cesare rincarò: "Quella donna è una messaggera di Belhur. Ha giocato con i tuoi sentimenti, per distoglierti dai tuoi doveri di Imperatrice".

"Sei un bugiardo!" lo accusò furibonda.

Cesare aggrottò la fronte, allibito. "Come osi parlarmi così?!".

Puoi vivere cento vite, ma resterai sempre un infame. "Conosco la verità, Cesare. So chi ero io e so chi sei tu", tuonò minacciosa.

"Di cosa parli?", finse di non capire.

A quel punto, Xena lo afferrò per il doppio strato superiore color porpora della toga. Lo strattonò. "Hai modificato il corso degli eventi. Hai compromesso la tela delle Parche pur di inseguire i tuoi propositi di conquista", sul suo viso si dipinse un'espressione di puro disgusto. "Sei malato".

Cesare rise sommessamente, facendosi scivolare addosso quell'accusa con leggerezza. "Tra poco tutte le nazioni si inchineranno ai nostri piedi e tu pensi a quella donna? Vuoi davvero mandare tutto a monte? E per cosa, poi? Una puttana?".

Lo sguardo di Xena divenne di pietra. Gli sputò in faccia. "Preferirei morire piuttosto che vivere la mia esistenza al fianco di un balordo come te".

Cesare si asciugò la pelle con il tessuto della sua toga. Sbuffò divertito e chiuse per un momento gli occhi. "Non importa in che realtà ci troviamo, tu occuperai sempre un posto speciale nel cuore di Roma. Sei una conquista e nient'altro", ammise solenne. "Non avrei mai dovuto darti questa occasione".

"Ascoltami bene, libera Gabrielle e non intralcerò i tuoi piani. Se la farai giustiziare, consacrerò il resto della mia vita a darti la caccia, una caccia spietata, al punto che rimpiangerai la congiura che ti ha fatto perire durante le Idi di Marzo", ringhiò e Cesare si ammutolì. Soffiò dalle narici, lanciandole un'occhiata carica di rancore. Poi mosse un passo indietro.

*

Gabrielle era stata condotta in una fredda e umida cella nei sotterranei del Palazzo. Non l'era stata offerta alcuna spiegazione, se non l'accusa di grave villania nei confronti dell'Imperatrice. Incapace di opporsi, era stata spogliata delle sue vesti. Ora indossava solo degli indumenti intimi, e un semplice straccio a coprirle il seno. Perfino respirare stava diventando doloroso per lei, un gesto sofferto, quasi innaturale. Non poté trattenersi dall'emettere un grido quando il centurione dietro di lei alzò nuovamente il flagello, colpendo la sua schiena già imbrattata di sangue. Avvertì come se il fuoco stesse lacerandole la pelle. Soppresse ulteriori gemiti, trattenendo il labbro tra i denti, mentre miseramente tentava di strisciare verso le sbarre chiuse e allontanarsi da quell'ingiusta agonia. Il soldato sopra di lei sorrise. Le diede poco tempo per riprendersi, un frammento troppo scarno di speranza, prima di colpirla ancora. Gabrielle strillò nuovamente. La sua voce uscì distorta, diversa. Neppure lei seppe riconoscersi. Xena, dove sei? Era consapevole di non aver molto tempo da vivere. Ciò che la teneva ancora vigile era il volto dell'Imperatrice impresso nella sua mente.

"Ascanio!", tuonò una voce femminile. Il centurione stava per sollevare nuovamente la frusta, ma si fermò, irrigidendosi sul posto. "Cosa credi di fare? Erano forse questi gli ordini?", sibilò guardandolo contrariata.

Gabrielle, con la fronte aggrottata, tentò di sollevare il capo e capire a chi appartenesse quella voce. Fece pressione sulle braccia, ma fallì miseramente, restando dov'era.

"Stavo solo divertendomi un po'", si giustificò a voce bassa.

La donna gli lanciò un'occhiataccia. Superò Gabrielle senza neanche guardarla e strappò dalle mani del centurione la frusta, per poi gettarla ad un angolo della cella. "Non è qui che sono richiesti i tuoi servigi, Ascanio. Dovresti conoscere il tuo ruolo".

Poté percepire la sua paura, Antinea. Sorrise e chiuse gli occhi, nutrendosi di essa. I suoi poteri fremevano d'esser usati.

"Perdonami i-io...".

Un istante dopo, il centurione si trovò il collo stretto in una morsa di ferro.

La poetessa strinse gli occhi e prese a singhiozzare. Avvertì chiaramente il respiro distorto e soffocato del giustiziere alle sue spalle. Il suo corpo si agitava, dalla sua bocca uscivano versi strozzati.

"Non supplicarmi", canzonò, come una madre che richiama suo figlio. "Conserva la tua dignità, almeno".

L'uomo annaspò. "N-no..." terrorizzato, il suo volto cambiò colore.

Gabrielle abbassò la testa, coprendosi gli occhi. Pianse a dirotto. Mai nella sua vita aveva dovuto assistere a simili atrocità. Sobbalzò quando il corpo senza vita del centurione scivolò rovinosamente a terra, poco distante da lei. Il suo braccio le aveva sfiorato la gamba.

Antinea schioccò le dita, poi s'inginocchiò accanto alla prigioniera. Abbassò la testa, per incrociare quegli occhi verdi, tenuti ancora bassi. "Sta' tranquilla", le accarezzò i capelli, eppure Gabrielle non percepì alcuna gentilezza in quel gesto.

"È tutta colpa di Xena, sai?", canzonò. "Se non fosse stata così ossessionata nei tuoi confronti, ora non ti troveresti quaggiù".

Gabrielle si sforzò di guardarla. "D-di che cosa stai parlando?".

La sciamanna le sollevò il mento con un singolo dito, studiando il bel volto della poetessa. Spostò poi la testa verso la piccola fessura sulla parete della cella, che mostrava l'esterno del Palazzo. Distinse chiaramente quel suono di morte a lei familiare, misto al vociare dei soldati. "È colpa sua se stai per morire".

Gabrielle sussultò. "Stanno costruendo le croci", realizzò col fiato corto.

L'altra donna si strinse nelle spalle. "Non c'è crocifissione senza croce".

Dunque finirà così? Sto per morire, senza neppure andare a giudizio? La poetessa chiuse gli occhi e altre lacrime inondarono il suo viso. "I-io sono innocente...", tentò, ma ormai non aveva più fiato per obbiettare.

Antinea le rivolse un'occhiata distaccata. "Sai cosa c'è di peggio della morte?", le domandò, afferrandola per i capelli. "Morire senza ricordare chi sei veramente", ignorò i gemiti della fanciulla e guardandola attentamente negli occhi, uso i suoi poteri per mostrarle la verità.

//

"Non sono tagliata per questa vita. Portami con te e insegnami tutto ciò che sai", Gabrielle stava vedendo sé stessa in quella che sembrava essere un'altra realtà, una storia differente.

C'era Xena con lei ma non in veste di imperatrice: era una guerriera. Combatteva per i giusti, e lei era al suo fianco. Sì, Gabrielle poté giurare che quella donna in veste d'amazzone, con le armi e tutto il resto, era proprio lei. Strinse gli occhi, ma poi si costrinse di tenerli aperti. Le visioni non accennavano a sparire.

"Tu hai tirato fuori il meglio di me. Prima di conoscerti, non ero che una mera fanciulla come tante. Mi sentivo invisibile, ma tu hai visto in me tutto ciò che sarei potuta diventare. Mi hai salvata, Xena" .

Era confusa, Gabrielle, incapace di muoversi, mentre la stretta attorno ai suoi capelli si faceva sempre più insistente, più dolorosa. E aveva un gran mal di testa, avrebbe desiderato strapparsi i capelli pur di non dover sostenere un secondo di più quella tortura. Una parte di lei però volle conoscere la verità nascosta dietro quegli occhi blu cobalto. Quel sentimento, che fin da subito, l'aveva condotta da lei, dall'Imperatrice. Annaspò e un rivolo di sangue le scivolò dal naso.

Pian piano, iniziò a far luce su tante cose. In primis, il motivo per il quale non era mai riuscita a colmare il vuoto nel suo cuore, nonostante il successo. Era lei che mancava. Le battaglie contro i signori della guerra, gli intrighi, le risate, la sua vita con Xena: tutto divenne più chiaro. Le sue labbra si umettarono delle sue stesse lacrime.

Sentì Antinea, sopra di lei, sogghignare.

"Mia madre avrebbe voluto che mi sposassi e avessi dei figli. Le rispondevo che le sarei sempre stata grata per avermi allevato, ma che non potevo ripagarla con il mio futuro. Xena, il mio posto è insieme a te. Dove vai tu, ci sono io", "Ti manca mai la tua famiglia?", rispose, con apprensione. Lei aveva fatto spallucce, prima di aggiungere: "Qualche volta. Ma non così tanto, quando sto con te", e la guerriera aveva sorriso, aveva abbassato il capo per nascondere gli occhi lucidi. E poi Gabrielle le aveva data un colpetto al fianco e la guerriera l'aveva avvicinata, per affondare le sue labbra tra i suoi capelli.

E ancora. "Xena e io siamo fatte per stare insieme. Non l'abbiamo deciso, è così e basta. Siamo anime gemelle".

//

"Nauseante", borbottò Antinea, levando gli occhi al cielo.

In quell'istante, entrò Xena. "Lasciala stare!" gridò in preda al panico. Mollò un pugno sul volto della sciamanna, così rapidamente che la donna ruzzolò per terra, perdendo i sensi.

La poetessa aveva come la sensazione che decine di lame stessero perforandola dall'interno. Il suo corpo scosso da convulsioni, non accennava a calmarsi. Xena si precipitò subito da lei. Le raccolse il viso tra le mani, accarezzandola nonostante il tremolio esagerato delle sue dita. "Ehi Gabrielle... sono io, riesci a sentirmi?", pianse, quando lei non rispose. "Cosa le hai fatto, mostro?!", urlò in direzione della sciamanna, ma quella non rispose.

La fanciulla annaspò. Del sangue scivolò dalle narici.

La mora impallidì. "Coraggio Gabrelle, reagisci...", premette le labbra sulla fronte gelata della poetessa. "Avanti, svegliati!".

"Xe...", fece dopo un po', con occhi vacui, stanchi.

La donna accennò un sorriso. "Sì, sono qui", biascicò, poggiando il corpo di Gabrielle sulle sue gambe. "Andrà tutto bene.", le accarezzò la fronte. "Mi dispiace. Mi dispiace così tanto. Se solo avessi saputo a cosa andavi in contro..."

"Xe, non è stata colpa tua", le disse e sollevò piano il braccio, nell'intento di toccarle il viso. Una lacrima s'infranse sui suoi polpastrelli, quella di Xena. "Mi ricordo, ricordo tutto...", fece emozionata.

L'Imperatrice si lasciò sfuggire un singhiozzo. Scosse ancora il capo, vulnerabile come una foglia secca trascinata dal vento. "Lo so", disse solo. "Anche io. È tutto sbagliato. Cesare...", strinse gli occhi, per allontanare il bruciore. "Devo portarti via di qui", le disse poi, con una certa urgenza. Le condizioni di Gabrielle erano critiche. Stava perdendo una quantità di sangue troppo grande. Provò a sollevarla, ma la poetessa lanciò un grido straziante, che irrigidì Xena sul posto. La lasciò dov'era. Dei dell'olimpo, perché lei? "Gabrielle!".

La poetessa raccolse un respiro tremante. "Xe, i soldati... Arriveranno presto, ma t-tu puoi ancora salvarti...", biascicò, con voce sempre più lieve. Era così stanca, che avrebbe volentieri chiuso gli occhi per riposare un po'. Solo un po'.

La sovrana le rivolse un'occhiata ferita. "Che cosa stai dicendo?", mormorò allibita.

"Ascoltami un istante. Anche se in questa vita, il mio destino è quello di morire, ti sono grata dei giorni trascorsi insieme", fece sinceramente. "Hai portato alla luce un sentimento che credevo di non possedere affatto. Mi hai donato la gioia di vivere, mi hai salvata, Xe".

L'Imperatrice indietreggiò con il busto. Aggrottò la fronte, scuotendo rigorosamente il capo. "No!", parlò severamente. "Devi smetterla, hai capito? Non devi parlarmi in questo modo".

Il volto di Gabrielle si ammorbidì. C'era un'innaturale serenità nei suoi occhi spenti. "Ora sappiamo che il tuo karma e il mio sono uniti", fece speranzosa. "Ci incontreremo ancora".

Xena non voleva saperne. Iniziò a scuoterla, incurante del fatto che fosse ferita. Forse perché una parte di lei sapeva che Gabrielle, da lì, non sarebbe uscita viva. "Smettila!", la stava supplicando, il suo tono severo s'era affievolito. "Basta!".

Gabrielle raccolse il palmo della guerriera adagiato sul suo petto e con lentezza, se lo portò alle labbra. Chiuse gli occhi e sorrise. "Sei tu", mormorò, faceva fatica a mantenere gli occhi aperti. "Sono io".

Xena sbiancò. "Ti supplico... I-io non sono niente senza di te".

E Gabrielle levò gli occhi al cielo, debolmente. "Sei più forte di quanto pensi".

L'Imperatrice studiò il corpo infreddolito e martorizzato della giovane poetessa, realizzando con orrore che il suo respiro stava rallentando troppo rapidamente. Premette due dita sul suo collo e lì capì: il cuore di Gabrielle stava smettendo di battere.

"Non osare!", gridò furiosamente. Non posso e non voglio vivere in una realtà dove tu non ci sei. Portami con te. Fammi venire con te. Il panico l'invase. "Per una volta-", la sua voce uscì storta dai singhiozzi. "Per una dannata volta, ascoltami! Dei dell'Olimpo, non mi puoi lasciare! Avanti combatti!" Le afferrò il polso, alla ricerca del battito. "Me l'hai insegnato tu, non tirarti indietro adesso!".

"Xe...", chiuse gli occhi, una lacrima s'immobilizzò sul suo zigomo. Ti amerò sempre. Anche oltre la morte.

"Apri gli occhi e reagisci!", pianse istericamente. Le soffiò aria nella bocca, la colpì in pieno petto, una, due, dieci volte, per farla rinvenire, ma Gabrielle restò immobile, con le palpebre pesantemente chiuse. Le labbra strette in una linea sottile.

Xena levò gli occhi al cielo. Gli occhi bruciavano come fossero stati immersi nel fuoco dell'Averno. "Sistemerò tutto", ammise dopo un po'. "Che Giove mi fulmini se non dovessi riuscirci!", sputò con rabbia. La principessa guerriera era tornata, il flagello degli dei avrebbe trovato la soluzione. "Sei tu, sono io, siamo noi*".

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*Citazione tratta dalla serie Netflix the Haunting of Bly Manor. [dovevo metterla]

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