XXXIII atto

https://youtu.be/IQEUhv2VyYA

A diecimila chilometri da Napoli, Gennaro cercava in tutti i modi di capire come tentare Fernando. 

Di tutti i giovani che il diavolo aveva creato quello era il più caparbio, il più determinato, il più cocciuto che avesse mai incontrato. Dannato il giorno in cui don Ignazio gli aveva dato quel «...compito da niente, un giro nelle Americhe che so che ti piacciono quelle femmine, devi solo metterlo nei guai e non ti preoccupare che ci pensano loro a non fargli fare più ritorno nel Vecchio Continente.» 

Il compito da niente si era rivelato più arduo del previsto. 

Una volta attraccati a Montevideo, aveva trascinato il giovane nella Ciudad Vieja con la scusa di vedere il Teatro Solís e il famoso Palazzo Salvo, il più alto palazzo dell'America Latina, progettato da un italiano e inaugurato tre anni prima. Tutti quei marmi e quell'opulenza, dopo giorni di oceano dalla superficie accecante, ripagavano lo sguardo colmandolo di bellezza e non c'era nulla come la contemplazione della perfezione nata dall'intelletto e dalla capacità umana per solleticare l'istinto primordiale dell'imperitura voglia di fessa

Nel percorrere l'immensa Plaza Indipendencia, cercò di intavolare un discorso sulle femmine ma, come era già successo numerose volte durante la traversata, aveva finito per udire solo la sua voce in un monologo senza capo né coda.

«José Artigas, ora pro nobis » scandì con voce tonante davanti alla statua equestre dell'eroe uruguaiano: magari lui poteva venirgli in aiuto visto che di miracoli aveva fatti, ma nulla da fare, il giovane se ne stava sulle sue. Gli rivolse solo un'occhiata bieca con quei suoi occhi diversi.
Voleva ben vedere che ora si faceva impaurire da vecchie superstizioni. Terque quaterque testiculis tactis, meglio non rischiare che dall'altra parte del mondo la sorte non si sa come gira.
Gli ingegneri come Fernando si credevano sempre una spanna più degli altri, ne aveva incontrati tanti, ma alla fine tutti cedevano davanti a un bella pucchiacca servita a dovere.

Con la scusa di vedere altri monumenti, si allontanò dalla Ciudad Vieja per entrare nel Barrio Sur dove conosceva uno dei più deliziosi lupanari dell'America Latina...anzi, del mondo intero!

In quella piccola casupola dall'intonaco bianco come una vergine sposa, si entrava da peccatori per uscirne pieni di grazia. Gennaro accomunava quel casino alla grotta d'un santo eremita capace di mondare l'uomo da ogni peccato. 
Non vi era nessun religioso, però, solo donne dalla nera bellezza. Non ne esistevano di simili in Italia: seni gonfi, sederi altissimi su gambe affusolate e girovita così stretti da pensare che fossero cinti da corsetti invisibili. Quello che lo mandava fuori di testa, però, era l'odore della loro pelle, di terra arsa dal sole cosparsa di legno di sandalo, e della fessa, come ricolma di miele di castagno tanto era dolce e fiorita. Se fosse stato poeta, avrebbe scritto sonetti sulle loro bocche dalle labbra turgide in grado di celare lingue morbide, calde e lunghissime. Bocche generose, golose, desiderose di dare piacere fino a traboccare di bianco nettare d'uomo.
Quelle erano le donne più belle del mondo e, sia lode a Dio padre onnipotente, erano disponibili a tutto di fronte a un Europeo generoso quanto lo era lui. E la señora Ana controllava come il cerbero più pignolo che i clienti pagassero in anticipo, di sicuro intascando una notevole percentuale. Doveva ammettere che era brava a capire i bisogni profondi di un uomo, anche quando il cliente stesso non ne era ancora consapevole.

Fernando, però, in quella casupola non aveva voluto mettere piede adducendo l'incredibile scusa che non era interessato al prodotto.

Gennaro non potè nemmeno godersi spensierato la doppia che si era concesso perché, oltre all'ardua scelta di quale delle due prostitute penetrare per prima, dovette pure farsi venire in mente qualcosa per dare inizio al compito da niente che don Ignazio gli aveva assegnato.

L'orgasmo allarga la mente d'un uomo, lo diceva sempre lui. Mentre benediva di niveo latte le  schiene d'ebano e ne ammirava il contrasto cromatico, gli sovvenne quell'infedele islamico: 

Se la montagna non viene a Maometto, 
è Maometto che va alla montagna. 

Ispirato da quelle sante parole, aveva fatto mandare in strada a quel cornuto d'un incorrotto una delle sette meraviglie del mondo, una che, a detta della señora Ana, valeva tutto l'oro che aveva pagato e di cui s'erano innamorati papi, principi e imperatori. 
E un po' pure lui. Perché non gliel'aveva fatta vedere prima? Non era anche lui un cliente pagante di prim'ordine?

Mentre spiava in strada dalla finestra assieme alla señora Ana e a un paio di zoccole curiose, pregustò il momento cui avrebbe visto capitolare il giovane. 
Aveva ragione don Ignazio, lui ce l'aveva sempre: quello era un compito da niente. Corrompere un ventenne lo è sempre perché, a quell'età, si pensa alla fessa più volte di quanto batte il cuore.

Fernando si limitò ad accendere una sigaretta alla ragazza prima di rimandarla al mittente, fatto che aveva lasciato sgomento tutti, a partire dalla poveretta che per la prima volta in vita sua si era vista rifiutata, passando per la señora Ana che avrebbe dovuto cambiare la statistica riguardo alla favorita, per concludersi con Gennaro che era rimasto con la mascella a penzoloni per un tempo indefinito.

Come osava non consumare dopo tutto quello che aveva speso? 

Per recuperare la perdita e, soprattutto, per farsi venire in mente nuove idee, dovette immolarsi in un tris proprio con l'oggetto del suo ultimo innamoramento.
La señora Ana aveva ragione: quella ragazza valeva più oro di quanto pesava. Con tutta la sua esperienza aveva pensato che il sesso non avesse più segreti e, invece, Dio sia benedetto nella sua infinita saggezza, non era mai stato più felice di essersi sbagliato. E così, mentre raggiungeva un orgasmo il cui ricordo l'avrebbe accompagnato persino durante la celebrazione del suo stesso funerale, aveva capito perché Fernando aveva declinato l'invito.

Era un ricchione! Perché non ci aveva pensato prima?

Si sentì mancare all'idea di aver pure viaggiato con lui, ma respirò a fondo per calmarsi. Del resto, non tutto lo schifo viene per nuocere: sarebbe stato ancora più facile per la signorina Ester dimenticare un sodomita. Era proprio un compito da niente

Chiese se, tra le prostitute, ci fosse pure una femmenella. Italiana la voleva, meglio ancora di Napoli che almeno c'era qualche garanzia, di cosa non avrebbe saputo dire. 
La señora Ana gli fece dapprima vedere un africano che sembrava fuggito a nuoto dalle navi negriere tanto era muscoloso, però la scelta ricadde su quello che pareva un angelo incarnato, con la pelle candida e gli occhi di smeraldo liquido. 
Quando sentì il prezzo, a momenti svenne ed era sul punto di chiudere baracche e burattini, quando la señora Ana disse che quel ragazzino aveva solo il sembiante di un angelo, di non farsi ingannare dalle apparenze, perché era capace di resuscitare la lussuria anche nei castrati. 

Convinto che fosse un ottimo investimento, Gennaro si illuse di risolvere la faccenda ancor prima di mettere piede a Buenos Aires. Del resto, lui, con gli affari, ci sapeva fare. 

La delusione di scoprire che aveva torto fu immensa: Fernando non era manco 'na zuppiera scardata

In una sola sera aveva perso un occhio della testa per nulla. 
Sperperare i soldi così, anche se erano di don Ignazio, non era proprio una cosa da lui. 

E ora? Come avrebbe potuto recuperare almeno l'investimento? 
La señora Ana gli propose di fare esperienza e, facendogli l'occhiolino chissà quante volte, gli confidò che come lo succhiava lui nessuna femmina era capace. Provò ad immaginare la scena, ma la cosa lo schifò talmente che sentì i testicoli contrarsi come se avesse fatto un bagno nel mare a dicembre. Lui era un uomo vero e ad andare coi maschi proprio non ce la faceva: tanto fece e disse e promise ma riuscì a riprendersi solo il venti percento.

Per tutto il viaggio di ritorno, Gennaro e Fernando non si dissero niente. Era quasi notte, l'aria era tiepida e l'odore del Rio de la Plata si insinuava come un serpente tra le vie a scacchiera della città.  

Fernando aveva le mani in tasca, immerso in chissà quali pensieri; lui, invece, teneva male al polso per via della posizione missionaria nella quale gli piaceva principalmente fottere e pensava solo al sollievo che gli avrebbe dato la cocaina che lo attendeva in cabina.  

Per rompere il silenzio, decise che gli avrebbe parlato della prima fazenda in cui sarebbero dovuti andare ma, non appena si apprestò ad aprire bocca, il giovane si immobilizzò come San Paolo sulla via di Damasco.

«Gennaro, vi devo chiedere un prestito.»

«Per cosa, vecchio mio, che manco una sana scopata vi siete fatto?»

«Voglio tornare a casa.»

«Tra dieci minuti ci siamo, a che vi servono i soldi? Un po' di terraferma dopo tutto quel mare non può che giovarvi. Non è che, adesso, tenete anche il mal di terra?»

Fernando si era stretto nelle spalle, segno che stava architettando qualcosa e quel qualcosa non era difficile da immaginare.

«Avete capito male: non voglio tornare a casa, ma trovarne una. Vorrei affittare una piccola barca e cercare qualcosa lungo il Rio de la Plata... Per stabilirmi a vivere qui.»

Gennaro aveva perso un battito: quel bastardo voleva già tornare in Italia? Non aveva creduto nemmeno per mezzo secondo che volesse trasferirsi in Sud America e solo una femmina poteva far riattraversare l'oceano a uno dopo che questi aveva vomitato l'anima di tutti i diavoli del firmamento durante la via di andata. Non gli era difficile immaginare chi fosse la ragazza in questione e, se il compito da niente fosse andato storto, don Ignazio stesso si sarebbe occupato di spedire il santo demonio di Gennaro in fondo a quell'oceano che il giovane voleva ardentemente navigare.

«Prima gli affari: siamo uomini di parola, noi! Ne potete approfittare per cercare nell'entroterra. Magari avrete un'occasione migliore» la buttò sul ridere dandogli una pacca sulla spalla proprio con la mano dolente.

«Ho commesso un errore abissale e devo rimediare subito.»

«Uh, voi giovani, sempre fretta avete. Che mancanza sarà mai?»

Fernando lo aveva guardato e aveva storto la bocca.

«Vi dirò la verità. Ma dovete giurare silenzio! È una questione di vita o di morte per... centinaia, migliaia di persone. Devo subito andare in università a Milano per un progetto importante. I soldi mi servono per tornare in Italia.»

Gennaro aveva mangiato la foglia da tempo, ma voleva vedere quante minchiunaggini gli avrebbe raccontato: il giovane voleva tornare a Napoli e aveva citato Milano solo perché era dall'altra parte dell'Italia.

«Che progetto?»

«Segreto. Il Duce mi ha espressamente proibito di parlarne.»

«Benito Mussolini in persona?»

Lo aveva visto deglutire a vuoto...  Ma non era considerato un genio questo ragazzo? Allora era un genio pure lui che almeno certi errori non li commetteva. Quasi gli faceva pena. Chi non fotte è fottuto, lo diceva sempre lui.

«Non direttamente, tramite il mio professore. Ma, vi ripeto, non posso parlarne.»

Gennaro aveva ripreso a camminare e, stavolta, le mani in tasca le aveva messe lui.

«E ora mo' vi è venuto in mente?» Silenzio. «Non è che c'entra una femmina? Le donne c'entrano sempre.» Altro silenzio. Lo vide incurvare le spalle e aumentare il passo. 

Aveva immaginato quella sera in modo assai differente: avrebbe voluto ingolosire il ragazzo con una bella prostituta pronta a ogni cosa e, i giochetti, lui lo sapeva bene, davano dipendenza come la cocaina e, nel giro di pochi giorni, lo avrebbe trasformato in uno che non avrebbe mai barattato la libertà per una sola pucchiacca
A quel punto, incastrarlo sarebbe stato facile. Quando le donne iniziano a inginocchiarsi davanti a te al minimo cenno, quando sentono la tua potenza sessuale, allora non c'è castità,  matrimonio, verginità che tenga, figuriamoci nobiltà e ricchezza. Infine, lui, il virile Gennaro, avrebbe messo la ciliegina sulla torta: sapeva benissimo in quale famiglia portare il nipotastro di don Ignazio per farlo inguaiare fin nel midollo. Altro che sposare la signorina Ester! Presto avrebbe celebrato il suo matrimonio riparatore!

Ah ah ah. 
Un piano così ben architettato... e quello non ne aveva voluto sapere! Dov'era il diavolo quando si aveva bisogno di lui? 
Quanti soldi aveva perso per... Si fermò di nuovo, si strofinò il naso col palmo della mano, e fece due calcoli. Un giovane di poco più di venti anni che non va con una femmina o è finocchio... o è impotente.

«Fernando, ma non è che tenete 'o muorte into 'o cazone

Gennaro si deterse la fronte su cui era brinata una sottile patina lucida. A tutto c'è rimedio ma non a questo era il pensiero che cercava di allontanare dalla mente senza riuscirvi.
Lui era un serio professionista, aveva una lunga lista di persone che aveva inguaiato nel modo più dolce del mondo, non è che poteva farsi venire l'ansia per un ragazzetto con l'uccello moscio. Gli sarebbe venuto in mente altro, avrebbe chiesto una consulenza a qualche sgherro che operava con metodi classici. Sì, qualcuno l'avrebbe sbeffeggiato, ma era sempre meglio che tenere compagnia alle ancore. E poi, forse, Fernando lo teneva moscio solo perché si credeva innamorato: ma nessuno amore eterno resiste alla crudeltà della vita. Le difficoltà e la morte induriscono l'anima e l'uccello, lo diceva sempre lui.

Lui se li ricordava bene i suoi vent'anni e la prima delusione. 

Sofia, così si chiamava la figlia del barone XXX... Quando lo vedeva,  gli occhi scuri le si accendevano come stelle in un viso che si imporporava, poi vinceva la timidezza allungandogli la mano minuta per farsela stringere. Aveva trovato il coraggio di dichiararsi e lei era svenuta dall'emozione, il momento più intenso di tutta la sua vita. Non avrebbe mai smesso di baciarla, dopo vent'anni era ancora bellissima... Ma che stava pensando? Comunque, nessun barone XXX si sarebbe più permesso di frustarlo davanti a tutti. Lui non era più lo scemo di allora, anzi!

«Gennaro, state tranquillo che tutto funziona come deve, ma decido io con chi deve funzionare.»

Qui, di scemi, c'era solo Fernando che se ne voleva tornare indietro in nome di chissà quale amore, mettendo lui in una posizione che sperava non diventasse quella distesa in una cassa da morto. 

Terque quaterque testiculis tactis. 

Se almeno avesse guardato da un'altra parte, ora ne era certo: quegli occhi portavano proprio jella

E, invece, se lo scemo fosse proprio lui? Non è che quel demonio stava sospettando qualcosa? Quando era fatto di coca e alcol, a volte, parlava più di quanto dovesse...
Ma no, era stato attento... Lui era Gennaro, doveva ancora nascere quello che l'avrebbe gabbato!



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