XXXII atto

Ester soffriva nel trovarsi chiusa nel salone affrescato dove veniva servito il pranzo della domenica in compagnia di sua madre, del nonno e di Ansgar. Il dolore la colpiva ancor più duramente in quanto ogni commensale valutava l'affetto che nutriva per Fernando un'infatuazione giovanile, uno scherzo giocato dalla mutevole natura umorale tipica degli adolescenti, una follia isterica. Soffriva a tal punto che il tintinnio delle posate sul piatto, il lavorio meccanico delle mandibole, la mescita di acqua e vino le dava voglia di mettersi a urlare e piangere, di fuggire in camera sua in compagnia dei libri di scienze dove ogni sentimento era bandito e il mondo obbediva a leggi per nulla soggette all'arbitrio umano.

Quando Ansgar domandò al nonno qualcosa riguardo alla villa di Amalfi, la mente aguzzina della ragazza selezionò solo le parole villa e Amalfi, tralasciando ogni altro particolare e la memoria mutò in un cardellino che andò a posarsi sull'albero che li aveva uniti come mai sarebbero stati se non fosse esistito. 

Tutti i ricordi del tempo in cui Fernando era innamorato di lei, delle promesse sussurrate, della loro intimità si erano risvegliati e con celere volo erano diventati sussurri cantati perdutamente, senza misericordia per la sua presente sfortuna. Ritrovò nel cuore le loro promesse e si domandò come il ricordo di una gioia tanto intensa potesse lacerare la sua anima in modo così crudele e impietoso. 

Quel ricordo apparteneva al passato, a un mondo misterioso dove non si può tornare quando le sue porte si sono richiuse. Ed Ester vide riflessa nella caraffa d'acqua l'immagine di sé stessa, una sventurata che le fece pietà perché non la riconobbe immediatamente tanto che dovette chinare gli occhi per non dare a scorgere che erano pieni di lacrime. 
Era lei stessa. 
Quando lo capì, la pietà cessò, ma fu gelosa dell'altra sé stessa che Fernando aveva amato, invidiò quella donna che ora si poteva chiamare sua moglie e che si era presa tutto l'affetto che era destinato a lei dall'alba dei tempi. 

Suo nonno aveva risposto ad Ansgar e poi si era rivolto a lei con una domanda di cui non aveva afferrato il senso, ma solo il tono. Per non sbagliare, annuì. Era certa che la sua fosse una domanda retorica, o più probabilmente una richiesta, visto che era da tempo che nessuno sembrava rivolgerle quesiti per capire cosa pensasse o provasse. In alcuni momenti si chiedeva se l'unico a cui fosse importato veramente il suo pensiero fosse Fernando, ma una vocina, che si era palesata nella sua mente col tradimento del cugino, le instillò prontamente il dubbio che, visto quanto era accaduto, nemmeno lui era mai stato veramente interessato a lei. Comunque, non più, per lo meno.

Quanto tempo era trascorso dacché aveva saputo del suo matrimonio? Un mese, o due? Guardò il vestito che indossava, nero come si confaceva al suo lutto: era quello leggero, ma da quanto lo aveva ricevuto nuovo dalla sarta? Doveva essere la fine di aprile a vedere la luce vivida che illuminava la finestra. Ed era domenica, di questo era certa perché suo nonno era venuto in visita e lei non era andata a scuola. 

 «Ester, ricordi cosa ci siamo dette?» le domandò sua madre scrollando la testa.

 «Sì, mamma.»

 «Ansgar, vorresti accompagnarmi in giardino?»

La ragazza intuì che il nonno le aveva chiesto - ordinato - di scambiare due chiacchiere da sola con lui, ossia di ascoltare il monologo che si era preparato. Si aspettava una copia  di quello udito la settimana prima, proprio in quel salone, da sua madre. 

Da quando era successa la tragedia, Imelda aveva parlato a mala pena ed Ester aveva compreso che quel discorso era stato una forzatura per entrambe, per lei che aveva dovuto subirlo e per la madre che aveva dovuto pronunciarlo. Non aveva potuto controbattere perché tutto ciò che aveva detto era sensato e ragionevole. Che obiezioni avrebbe potuto addurre che fossero frutto di fatti e non di emozioni intangibili?

 «Ti assicuro che queste sono parole che una madre non vorrebbe mai dire a sua figlia. Io e tuo padre...» 
A Imelda erano venuti gli occhi lucidi e aveva dovuto fermarsi qualche attimo per fare in modo che la voce non tremasse. 
«Noi eravamo contrari al tuo matrimonio non per capriccio e nemmeno perché non ci stesse a cuore la tua felicità, anzi! Lui - noi eravamo a conoscenza di particolari su tuo cugino che non ti abbiamo rivelato.»
Aveva chiuso gli occhi e stretto il fazzolettino di pizzo che teneva tra le mani tanto da sbiancare le nocche.
«Mentre ti giurava fedeltà e sentimenti sempiterni si intratteneva con parecchie signore e ragazze.»

 «Non Fernando!»

Imelda si era alzata dalla sedia  ed era andata ad abbracciare la figlia.

«Quando ti ho spiegato i fatti della vita, non ti ho parlato della natura vigorosa degli uomini, di certi uomini, di quelli come lui

Ester aveva mugugnato, un tentativo patetico di difendere l'onore del cugino visto ciò che le aveva fatto: non riusciva a sopportare che lo biasimassero per la sua scelta di vita, anche se non la includeva. Non le sembrava corretto e, in fondo, lo giustificava. 
Lei si considerava l'emblema del rimorso di Fernando, mentre Pietra era la speranza del futuro. L'aveva immaginata bellissima, coi capelli  corvini, gli occhi espressivi e vivaci. Non era una scelta deprecabile se, nel Nuovo Mondo, lontano dal peso del passato e da chi lo etichettava come un diavolo, aveva deciso di mettere le radici.

«Ester, ti prego, non è facile per una madre dire certe cose a sua figlia. Io non avrei mai voluto che tu conoscessi quel tipo di uomo: non sono tutti come tuo padre... come era tuo padre. A quelli come Fernando piace giocare con le donne, piace illuderle, piace sedurle. Più che sedurle, adorano esercitare la tattica di guerra: più la ragazza resiste, più loro devono mettere in atto strategie belliche difficili e, maggiore è la difficoltà, più acquisisce fascino ai loro occhi... Fino a quando la preda cede e, così facendo, perde anche ogni interesse.»

«Lui non è così! Ora si è sposato, quindi le tue accuse sono ingiuste.»

«Stava per sposare anche te e, mentre programmava il vostro matrimonio, si trastullava con la figlia di un pescatore ad Amalfi. Tuo padre l'aveva scoperto...»

«Non può essere vero. Stavamo sempre assieme.»

«Anche quando è andato a vivere in albergo? Lo vedevi di notte a mia insaputa?»

I ricordi dei loro abbracci notturni la fecero arrossire e abbassare gli occhi al pavimento.

«No, certo che no!»

«Mio nipote ha sempre avuto un'intelligenza sopra l'ordinario, fin da bambino amava pianificare tutto, gli sono sempre piaciute le sfide. Le belle cose e le belle ragazze. E tu, Ester, sei così bella...»

La ragazza aveva l'impressione che la madre stesse parlando di un estraneo, di qualcuno che non avesse mai nemmeno visto da lontano e si sentì combattuta tra il doverle credere, come ordinava il quarto comandamento, e la volontà di ascoltare comunque il suo cuore. Fernando poteva aver scelto un'altra donna, ma non per questo doveva essere incriminato dei peggiori crimini!

«Ora non lo capisci, ma tra qualche tempo comprenderai che ti sei salvata da un matrimonio che ti avrebbe solo assicurato il dolore di scoprire le sue scappatelle, se non l'imbarazzo di vedere i suoi figli bastardi...»

«Mamma!»

«Scusami, non avrei voluto scandalizzarti... Ma gli uomini come Fernando popolano il mondo di figli illegittimi e lasciano dietro di sé giovani ingenue, illuse di chissà quale futuro e svergognate da un demonio senza scrupoli.»
Ester era stata abbracciata con calore da sua madre come non lo era mai stata prima. 
«Perdonami. Perdonami per non aver avuto il coraggio di spiegarti i fatti della vita senza inutili giri di parole. Il pudore che cercavo di preservare è stato messo a repentaglio dal mio desiderio di custodirlo.»

Ester si abbandonò al calore materno e pianse tutte le sue lacrime.

«Mamma, io non ti rimprovero nulla.»

Nonostante l'abbraccio, l'umore di Ester non aveva dato segni di ripresa e, proprio per quel motivo, ora si ritrovava a fronteggiare suo nonno che si era seduto accanto a lei lasciando la poltrona di fronte libera.

Ignazio tossicchiò un paio di volte, tirò un paio di boccate dal suo immancabile sigaro e si decise finalmente a parlare.

«Io ho appoggiato il tuo matrimonio perché, a dirti la verità, ne ignoravo il comportamento - come dire? - nei riguardi del sesso debole. Io ho sempre badato all'istruzione di tuo cugino e ho affidato l'educazione morale ai tuoi genitori di cui, sia ben chiaro, non rimprovero nulla se non l'avermi taciuto la verità. Ho raccolto prove che confermano le accuse dei tuoi genitori e, siccome so che sei una ragazza intelligente, ti chiederò di non dare retta al tuo vecchio nonno, ma di ascoltare quello che ti verrà riferito da alcune ospiti.»

Ester fece per parlare, ma l'uomo la fece tacere con un gesto della mano e suonò il campanello. 

Una donna dal viso coperto con una veletta entrò, salutò con un gesto del capo e si accomodò sulla poltroncina. 

«Signora C., vi presento mia nipote Ester, la cugina di Fernando. Ester, la signora C. ha acconsentito a raccontarti alcuni fatti per amicizia nei riguardi di tua madre, ma non dovrai raccontare a nessuno quanto sentirai.»

La donna si strinse nelle spalle e sollevò la veletta. Era una signora assai bella, coetanea di Imelda, dalla figura prosperosa ma ben proporzionata.

«Appena ho sentito voci del matrimonio, ho scritto a vostra madre per metterla al corrente di quello che era successo a mia figlia.»

«Vostra figlia?»

«Mia figlia Adele ha quattro anni più di voi e vostro cugino le ha fatto una corte serrata per due mesi, lo scorso anno, più o meno in questo periodo.»

«Non eravamo fidanzati all'epoca...»

«Lui ha... Lui le ha chiesto la mano, ma ha rotto il fidanzamento una settimana dopo... dopo che ha saputo che Adele non era in pericolo

«Sua figlia era in pericolo di vita?»

La donna scrollò il capo e si rivolse a Ignazio come se lei non fosse più nella stanza.

«Le sceglie tutte così, come vostra nipote e mia figlia. Sciocche, ingenue, pronte a credere alle favole e istupidite dal suo sguardo diverso.»

«Signora, vi prego, ditemi cosa è successo a vostra figlia?»

«Pensava di aspettare un figlio. Ma era solo nervosa che lui non le chiedesse di sposarlo e, quando si è calmata, la natura ha ripreso a funzionare, ma mia figlia...è rovinata. Prima di incontrare vostro cugino, era promessa a un barone.»

Ester aveva smesso di respirare da quando la signora aveva pronunciato la parola figlio. Fernando non le aveva raccontato nulla, non le aveva detto di essersi innamorato, di aver giaciuto... Oddio, aveva accarezzato quella ragazza come aveva fatto con lei?

La signora, dopo essersi fatta giurare che quel racconto non sarebbe uscito da quelle mura, se ne andò, lasciando Ester prostrata ma non libera di rifugiarsi nella sua stanza perché una donna più giovane della precedente entrò trascinando con sé il profumo del pane appena sfornato.

«Signora R., vi presento mia nipote Ester, cugina di Fernando.»

La signora R., di una trentina d'anni, era una vera bellezza dai capelli color dell'ebano e dagli occhi di tigre. Si muoveva con quella spigliatezza e assenza d'affettazione tipica delle classi meno agiate. Anche se avrebbe voluto tapparsi le orecchie, Ester fu costretta ad ascoltare.

«Eh, signorì', che vi devo dire? Vostro nonno mi disse di dirvi di vostro cugino che mi ha fatto la corte, si dice in italiano, la corte. Mio marito sempre a fare il pane di notte e io, col marito mio, sono a monaca d' 'e Camaldoli: muscio nun le piaceva e tuosto le faceva male🪲, ma, signorì', con Fernando... Dicette Pulecenella: nu maccarone vale cchiù 'e ciente vermecielle🪱, e Fernando è nu maccarone di quelli che durano a lungo al dente.»

Ester raggrinzì la fronte per cercare di capire il discorso della signora e nonno Ignazio mise a tossire.

«Grazie, signora.»

«Avete capito, signorì'?» e, vedendo l'espressione della ragazza aggiunse: «A cuoppo cupo poco pepe cape🐝.»

«Grazie, signora... Ester, la donna ti sta dicendo che Fernando l'ha sedotta più volte quando il marito usciva di notte a impastare il pane.»

La ragazza cercò la conferma di quanto le stava dicendo sull'anulare sinistro. Una vera sottile d'oro stringeva il dito gonfio e rosso.

«Siete sposata?»

«Eh, signorì', a quelli come Fernando si può dar retta solo se maritate... È  come 'nu bbabbà a rrumma🦋, c'è rischio che t'ingrassi. Ma per fortuna, il Marchese viene sempre trovarmi!»

Quando la signora uscì, Ester guardò suo nonno. 

«Perché questo carosello?»

«Ester, c'è un momento della vita in cui si cresce ed è un momento doloroso. Hai perso tuo padre - è stato un duro colpo per tutti - ora è il momento di guardare il mondo com'è veramente. Fernando non era l'uomo giusto: dovresti gioire di averlo scoperto prima che fosse tardi, invece continui a disperare. Oramai sei donna ed è giusto che tu veda la verità senza interposta persona.»

Mentre Ignazio pronunciava l'ultima frase, quella che sembrava poco più di una bambina dai biondi capelli raccolti in una treccia e dagli occhi azzurri sgranati veniva fatta entrare nella stanza. Era molto nervosa, teneva una mano sulla schiena e si guardava intorno sorpresa, molto probabilmente perché non era mai stata in un palazzo signorile. 

«Non voglio sentire anche lei» bisbigliò Ester al nonno quando vide che aveva il ventre ingrossato.

«Non c'è bisogno. Ti basti sapere che tuo cugino l'ha inguaiata così...» e, rivolto alla futura madre: «Quanti anni avete?»

«Quindici nel mese della nascita di Nostro Signore, Sua Grazia.»

«A che mese siete?»

«All'ottavo, Sua Grazia» rispose sedendosi sulla poltrona e allungando le gambe davanti a sé. Teneva entrambe le mani sulla pancia, massaggiandola con lenti movimenti circolari.

«Non può essere l'ottavo!» esclamò Ester dopo aver contato sulle dita. Non poteva esserlo perché a settembre era ancora fidanzato con lei. 

«Poco più di un mese e va fuori, Sua Grazia. Dentro la panza i piccoli ci stanno a nove mesi... Speriamo che non ci abbia la jella.»

La ragazzina fece il segno delle corna e se le passò sull'addome. 

«Perché dovrebbe?» domandò Ignazio mentre le versava dell'acqua e limone in un bicchiere.

«Se ci nasce con gli occhi del padre ci avremo la jella, Sant'Antonio liberaci nos a male
Posò il bicchiere e si fece il segno della croce tre volte baciando con uno schiocco le dita della mano destra ogni volta. 

«Perché? Come ha gli occhi il padre?» chiese Ester con un filo di voce, intuendo la risposta ancor prima che la ragazzina rispondesse, intenta com'era a finire la limonata.

«Come il demonio incallito, uno azzurro e l'altro nero.»

🪲La monaca di Camaldoli: moscio non le piaceva e duro le faceva male.

🪱Dice Pulcinella: un maccherone vale più di cento vermicelli.
🐝 Una metafora usata per apostrofare chi proprio non capisce qualcosa o, ancor peggio, si ostina a non capire.
🦋Come un babà al rum.



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