XXVII atto

Fernando le aveva ordinato di rinchiudersi nella biblioteca, di stare in silenzio e di non aprire a nessuno fino a quando lui non sarebbe tornato. Le aveva chiesto di giurare che avrebbe fatto esattamente come le aveva chiesto, ma le voci concitate di Terenzio e Imelda provenienti dal salone lo avevano fatto schizzare via prima che lei potesse promettere una qualsiasi cosa.

L'urlo soffocato di sua madre, rumore di sedie o mobili trascinati.

Ansgar non si era mosso per andare a vedere cosa fosse successo, ma era rimasto assieme a lei avvicinandosi, anzi, a una distanza minore di quanto avesse voluto.

«Cosa sta succedendo?» 

«Conviene fare come ha detto tuo cugino. Rimarrò con te. Per proteggerti.»

Vasellame rotto e altre urla.

Ester fu felice di non aver fatto in tempo a giurare perché rimanere lì, a sentire le voci di suo padre e sua madre, la faceva sentire in colpa. 
Stavano forse litigando come mai prima d'ora? L'unica ragione possibile per quella discussione concitata poteva essere solo il suo matrimonio... 
Non poteva credere che suo padre si fosse messo a sparare: sapeva che teneva una pistola chiusa a chiave nel cassetto del suo studio, ma non ricordava che l'avesse mai usata. Sospettava addirittura che non la sapesse nemmeno caricare. 
Sua madre, comunque, era viva. Suo padre, pure. 
Ma allora chi aveva sparato e contro chi? 

S'incamminò verso la porta, ma Ansgar le sbarrò la strada. 

«Non ti lascerò uscire.»

«No?» domandò incredula.

«Potrebbe essere pericoloso.»

«Tu come lo sai?»

L'uomo allargò le braccia, deciso oltremodo a ostacolarle il cammino.

«Fernando non ti avrebbe detto di chiuderti a chiave e nasconderti se non fosse una cosa rischiosa.»

«È casa mia e posso andare dove voglio. E voglio vedere coi miei occhi cosa sta succedendo.»
La ragazza avanzò, ma lui la cinse con un braccio.
«Non osare toccarmi... E spostati!»

Ansgar negò con la testa e strinse il braccio ancora di più fino a quando Ester non aderì al suo petto.

«Dai rumori che sento, i tuoi staranno litigando. Come dite voi? Tra moglie e marito non mettere il braccio?»

«Il dito, semmai.»
Scrollò le spalle, ostinato nel rimanere dov'era e senza nemmeno provare a liberarla dalla sua presa.
«Quella storia dell'amicizia era una scusa, non è vero?»

«Un amico sincero ti sta impedendo di andare di là.»

Ancora una volta, le voci incomprensibili ed esagitate dei suoi genitori acuirono tutti i suoi sensi.  

«Non lo sanno!»
Queste parole, chiare e forti, erano state invece pronunciate da Fernando, con un tono perentorio e... spaventato? 

Ester fece un passo indietro repentinamente, tanto che Ansgar perse l'equilibrio per la sorpresa, e lei ne approfittò per correre verso il salone. 

Era pronta a tranquillizzare i suoi genitori, a promettere loro che avrebbe aspettato i ventun anni e che avrebbe visto Fernando solo da lontano. Era pronta a dire e fare qualsiasi cosa pur di non sentirli più litigare, pur di non dover continuare a essere la testimone dell'esasperazione di suo padre. Chissà cosa doveva aver provato per arrivare addirittura a prendere in mano la pistola?
Onora il padre e la madre.
L'aveva sempre fatto. 
Onorarli, però, non voleva dire obbedire loro in tutto e per tutto, o no? Avrebbe potuto aspettare di sposarsi, ma non esimersi dal farlo. E sarebbe diventata la moglie di Fernando. Non si sarebbe fatta infilare l'anello al dito da nessun altro. 
 Non avrebbe mai voluto arrivare a tanto, essere addirittura colpevole d'aver fatto piangere dalla disperazione sua madre: era a pochi passi dall'atrio e i singhiozzi erano sempre più acuti e laceranti.

Quando vi giunse, i piedi si inchiodarono al pavimento, il respiro si mozzò, gli occhi si sgranarono increduli. 
Avvertì la presenza di Ansgar alle spalle, il suo singulto trattenuto, la mano sull'avambraccio come se tentasse di impedirle di vedere ciò che stava accadendo. 

Ma cosa stava succedendo esattamente?

Ai piedi dello scalone che portava ai piani superiori vi era raccolta tutta la servitù, una decina di persone. Compresa la cuoca, che non usciva mai dalla cucina, e il capo-giardiniere, che non aveva mai messo piede in casa, perfino le due sguattere, che calpestavano i pavimenti delle stanze padronali solo la mattina presto quando facevano risplendere ogni centimetro. Erano tutti vicini,  spaventati, silenziosi.

«Perché siete tutti qui?»

Nessuno rispose, ma dalle loro spalle uscirono due uomini armati coperti in viso: uno, che teneva sotto tiro il personale di servizio con un fucile, l'altro, che puntò la Beretta contro loro due.

Quest'ultimo si avvicinò, pur rimanendo a distanza, e gli occhi grigi, l'unica parte visibile del suo volto, si strinsero e si allargarono, forse in un sorriso compiaciuto che era solamente intuibile perché nascosto da una sciarpa nera. 

«Trovata!» urlò e la risposta giunse subitanea dall'interno del salone: «Portala qui!»

L'uomo fece un segno inequivocabile con la pistola ed Ester riprese a camminare seguita da Ansgar. 

La ragazza non aveva avuto il tempo di capire cosa stesse succedendo, sapeva solo che diversi uomini erano entrati in casa e, di sicuro, non avevano buone intenzioni. 

Nel salone ve ne erano altri tre, sempre a volto coperto, ognuno dei quali teneva sotto tiro un membro della famiglia. 

Ma quanti erano? Cosa volevano?

Guardò Fernando e la pistola che lo costringeva all'immobilità, all'apatia. Aveva il volto tirato,  i capelli disordinati e gli occhi circondati da cerchi scuri che mettevano risalto le tonalità contrastanti.

«Lasciatela stare!» dissero all'unanime suo padre e il giovane, mentre sua madre si abbandonò all'ennesima crisi di pianto. 
«Non vedete che è solo una bambina. Vergognatevi.»

Quello che doveva essere il capobanda si voltò verso di lei e, un attimo dopo, avvertì il freddo del metallo contro la tempia. 

«Prendi me» suggerì Ansgar ma, quando gli intimarono di raggiungere i membri della famiglia, obbedì proferire altro verbo.

«Ti devo spiegare cosa accadrà alla biondina se non ci dici dove li hai nascosti?»

Ester cercò di comprendere a chi fossero rivolte quelle parole e, dal modo in cui aprì e strinse i pugni,  capì che erano dirette a Fernando. 

«Ve l'ho detto. I progetti del motore sono in albergo...»

In quel momento entrò un altro uomo, vestito e coperto in volto allo stesso modo degli altri, ma con un modo di fare più militaresco, i cui movimenti misurati e rigidi trasmettevano una sensazione inquietante. Diede solo una rapida occhiata al gruppo mentre si soffermò su Ester. Le si avvicinò e prese in mano una ciocca di capelli alzandola per guardarne il colore. 

«Non la toccare.» 
Fernando fece un passo in avanti, ma l'esplosione d'un colpo di pistola sopra la sua testa lo fece demordere da ogni ulteriore proposito. 

L'ultimo arrivato lasciò la ciocca chiara ma, con una mossa repentina e inaspettata, afferrò l'intera massa dorata, tirandogliela malamente e finì per bloccarle la testa in una posizione che la costringeva a disegnare un innaturale arco con le schiena. L'urlo di Ester, di sua madre, di suo padre fu uno solo e si trasformò subito in silenzio quando esplose un altro sparo.

«In albergo abbiamo trovato solo quelli dell'auto. Dove sono gli altri?» disse l'aguzzino.

«Vi ho già detto che non me li hanno fatti portare fuori dall'università. Ve lo giuro... lasciatela andare.»

Non si mosse nessuno a parte l'ultimo arrivato che strattonò ancora una volta i capelli di Ester che si portò le mani al cuoio capelluto per lenire il dolore.

«Ti ordino di lasciare mia figlia!» disse imperioso Terenzio, ma le basse risate dei malfattori fecero capire cosa pensassero dell'uomo.

Un ulteriore trambusto attirò l'attenzione verso la porta: un ennesimo malvivente entrò tenendo sotto tiro Ignazio il Capitalista.

«Guardate un po' chi ho trovato a gironzolare qui fuori.»

Il capobanda lo squadrò da capo a piedi poi gli fece cenno di mettersi con gli altri. 

«Se è una questione di soldi, posso pagare più di quanto riuscirete a racimolare in questa casa. Ma esigo che lasciate liberi tutti. Potete avere me come ostaggio, io valgo di più.» 

«Nonno, no!» disse Ester esasperata, ancora prigioniera.

«Vecchio, i progetti del sottomarino. Non ci frega di altre cose.»

«Sottomarini! Signori, qui si progettano macchine per il progresso dell'uomo non per distruggerlo...» disse Ignazio cercando di intavolare quella che voleva essere una discussione tranquilla.

«Vecchio, o chiudi adesso quella dannata bocca o te la chiudo per sempre!»

Ester trattenne un singulto, ma si sentì così audace da difendere il suo futuro marito: «Lui progetta motori per le automobili. Non sottomarini. Mio nonno dice la verità.»

L'aguzzino liberò i capelli ma la mantenne ferma stringendole il braccio.

«Nemmeno lei sa nulla?» chiese rivolta a Fernando.

«Cosa non so?»

L'uomo si voltò verso di lei. Gli occhi scuri si socchiusero malevoli.

«Il tuo fidanzato ha i progetti di un'arma che non deve cadere nelle mani sbagliate. E tu - proprio tu - gli dirai che se non ce li consegna, noi vi uccideremo tutti, iniziando da te... E non deve buggerarci con la storia dell'università: sappiamo che li ha portati con sé.»

«Perché non chiedete al professor 🌀🌀🌀?»

Il capobanda gli si fece più vicino: «Siamo qui proprio perché abbiamo avuto una lunga conversazione con lui.»

«Vi ha mentito. Li tiene lui i disegni sottochiave. Lo giuro.»

Il malfattore fece una risata nervosa: «Ci siamo fatti aprire la cassaforte. Non ci sono.»

«Li avrà nascosti altrove! Perché non mi credete?»

«Credo di più a un uomo che esala l'ultimo respiro. Di solito uno che sta per morire non commette peccato un attimo prima di scoprire se l'inferno è solo fantasia dei pretucoli.»

Terenzio alzò le mani e si mosse in avanti: «Mio nipote non rischierebbe mai la vita di Ester:  dovete credergli. Noi vi daremo tutti i soldi che volete, ma lasciateci andare.»

Il capobanda spostò il bersaglio da Ester a suo padre: «Fermo lì, eroe. Piuttosto, convinci tuo nipote.»

Terenzio, però, non era intenzionato a fermarsi e, un passo dopo l'altro, riuscì a essere poco distante da sua figlia. 

«Lasciala andare. Prendi me al suo posto.»

L'aguzzino si scambiò un rapido sguardo col capo, poi allentò la presa sulla ragazza e puntò la Beretta dritta al cuore dell'uomo. 

Ignazio, allora, inaspettatamente, si mise a urlare.
«Non fate del male a mio genero! »intimò e, scaraventandosi in avanti, cercò di afferrare il braccio di chi lo teneva sotto tiro.
 Ansgar vide il movimento del dito sul grilletto della pistola, si sporse verso il Capitalista mettendosi a scudo tra lui e l'arma. 
Contemporaneamente Fernando si voltò verso sua zia, l'afferrò per le spalle e la buttò a terra stendendosi su di lei.  
L'aguzzino allora, esagitato da quel trambusto, spostò la mira verso Ester ed esplose un colpo. Terenzio, d'istinto, le si parò davanti a braccia allargate come un crocefisso.

I due colpi erano esplosi quasi contemporaneamente, ci fu silenzio e poi le urla lontane della servitù giunsero ovattate fino a quando qualcuno ordinò loro di tacere.

«Dannazione!» ringhiò il capobanda quando vide quello che era accaduto. Cercò con lo sguardo Fernando che era ancora sdraiato a terra per coprire sua zia. «Ora dobbiamo andare! Dannazione!»

Ansgar fu il primo a lamentarsi. Era caduto sopra Ignazio che aveva sbattuto la testa sul pavimento ed era incosciente. Quando l'ariano si vide il braccio sporco di sangue, iniziò a sproloquiare in tedesco quelle che dovevano essere una teoria di improperi verso tutte le divinità conosciute.

Fernando si mosse piano: «Stai bene, zia? Sei ferita?»
Imelda si mosse concitata, spalancò la bocca e la richiuse:  «Amor mio!»
«Aspetta a muoverti. Non so cos'abbiano intenzione di fare ancora.»

L'urlo di Ester fece calare il gelo nella stanza. Terenzio si era accasciato ai suoi piedi e quando l'aveva preso tra le braccia, aveva assistito impotente al disegnarsi di un geranio cremisi sulla sua camicia, un fiore che si dilatava a ogni secondo tanto che il colore iniziò a gocciolare sul pavimento.

«Papà! Rispondimi! L'avete ucciso? L'avete ucciso!»

Terenzio aprì la bocca, ma un fiotto di sangue uscì schizzando il vestito candido della figlia.

«Ti... ti...»

«Aiuto!  Papà, resisti! Aiutatemi!»

Il capobanda, dopo aver bestemmiato, mise mano a un fischietto, modulò tre rapidi suoni seguiti da uno più lungo. Come formiche, gli uomini mascherati si misero in fila e scivolarono dalla stanza, rapidi, silenziosi tanto che, se non fosse stato per la scia di orrore che si stavano lasciando alle spalle, qualcuno avrebbe anche potuto pensare che la loro presenza fosse stata solamente un incubo. 

Fernando sostenne sua zia mentre si abbandonava accanto al marito e alla figlia. Lui stava in piedi, immobile, a guardare la scena, incapace di reagire.

«Chiamate il medico!» urlò la ragazza tra i singhiozzi. «Fernando! Vai a prendere il dottore!»

Il maggiordomo e la cameriera di Imelda entrarono non appena furono di nuovo liberi, erano ancora molto scossi, si muovevano in cerchio come vespe disturbate senza sapere cosa fare.

Ester aveva giustapposto le mani sulla ferita, teneva ben premuto, mentre suo padre la guardava con occhi velati di una patina biancastra e le guance marmoree. 

Terenzio mosse le bocca per parlare ma, incapace, mise una mano su quella della figlia e voltò il viso verso Fernando. Biascicò qualcosa in direzione del nipote e, finalmente, il giovane sembrò svegliarsi dal torpore in cui era intrappolato e si decise a inginocchiarsi per avvicinare l'orecchio alle sue labbra insanguinate.

«Pren-di cu... cura lo-ro.»

Sembrò sorridere e, addirittura, per un attimo, il colore parve tornare a  imporporargli le gote. Ester fece un sospiro di sollievo convinta che la situazione fosse meno grave di quello che aveva temuto.

Poi vide, incredula e impotente,  il padre emettere un rantolo, lungo e basso, mentre gli occhi si spalancavano colorandosi d'eternità.




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