XXIX atto

Fernando, in piedi di fronte a lei, aveva le sembianze di sempre, anche se l'ulteriore magrezza e le occhiaie profonde accentuavano le iridi  diverse conferendo al bel viso un accento diabolico che Ester non gli aveva mai visto prima di allora. La stava guardando eppure i loro occhi non riuscivano mai a incontrarsi, suggerendole l'idea che egli stesse evitando il suo sguardo di proposito. 

Aveva le sembianze di sempre, anche se Ester iniziò a temere che non fosse più il Fernando che conosceva. Allontanò lo spiacevole pensiero e cercò di sorridere, nonostante tutto. Quando curvò le labbra, gli occhi le si colmarono subito di lacrime e il cuore anelò solo al conforto dell'abbraccio del suo promesso. Alzò le mani nell'istintivo gesto di ricerca del suo calore, ma il cugino rimase dov'era e non accennò né ad andarle incontro, né a stringerla a sé, né tantomeno a dire qualcosa. 

Solo le sembianze erano quelle amate, ma il suo animo e il pensiero erano mutati. Ester se ne rese conto ancor prima che lui aprisse bocca ed ebbe l'inspiegabile certezza che non fosse dovuto al fatto che ci fossero altre persone nella stanza.

Erano passate due settimane da quando suo padre era stato ucciso e aveva dovuto chiedere a suo nonno di farle il favore di portarle suo cugino perché lui non aveva mai risposto ai biglietti che gli aveva inviato in albergo. Fernando aveva promesso a suo padre che si sarebbe preso cura di lei, ma non lo aveva fatto. Sua madre lo aveva accusato, gli aveva ordinato di non presentarsi al funerale e lui aveva obbedito senza ribattere, senza negare, senza spiegare alcunché. 

Nemmeno in quel momento sembrava propenso ad aprire bocca. I suoi occhi diabolici non avevano conservato alcuna luce, la speranza sembrava essere scivolata dal suo volto donandogli un'aria distante e sconosciuta. Suo nonno gli si avvicinò per battergli la mano sulla spalla, un incoraggiamento a spingerlo verso di lei, ma l'unica sua reazione fu quella di stringere le dita a pugno e guardare sua madre che, vestita a lutto, sedeva impettita su una sedia dallo schienale alto e si asciugava di tanto in tanto la fronte e gli occhi dal sudore che il calore estivo e l'abbigliamento accollato le causavano.

«Come stai?» gli chiese Ester con la voce rotta di chi cerca di mascherare il dolore sussurrando.

Imelda scosse il capo indignata. 
«Come stai, caro nipote? Il progetto segreto di qualche altra arma, questa volta, dove lo hai nascosto?»

«Mamma, per favore.»

Fernando non aveva cambiato postura né espressione. Sembrava un condannato a morte, oramai rassegnatosi all'idea del patibolo.

«Forse dopo aver ammazzato tuo suocero, progetti anche di uccidere tua suocera? Non riuscirai mai, al limite cercherai di uccidere tua zia

Nonno Ignazio si chiarì la voce e bloccò la figlia con un movimento secco della mano.

«Questa conversazione non ci porterà da nessuna parte. Dobbiamo pensare al futuro.»

Imelda si alzò di scatto dalla sedia.

«Futuro? Ricordo un bambino puzzolente e denutrito, un orfanello a cui abbiamo dato un futuro. E lui? Ne ha approfittato in ogni modo possibile fino a quando ha deprivato me e mio marito della vita che avremmo potuto vivere assieme.»

«Mamma! Non è colpa di Fernando, non ha sparato lui.»

Sua madre si appoggiò con le mani allo schienale della sedia, le mandibole contratte per cercare di riacquistare il contegno che aveva perso.

«Ti ha così plagiato che non vedi l'uomo che è diventato? Lui è uno di quei codardi che dissanguano migliaia di persone con matita e righello, rimanendo al sicuro sui loro scranni di pelle umana.»

Fernando, a quelle parole, sembrò riaversi, respirò a fondo e finalmente fece sentire la sua voce. «Zia, ti giuro, mi sono tirato fuori dal progetto e non ho nemmeno finito quel maledetto motore! Non sapevo dove avessero messo i disegni. Non sapevo nulla, non potevo fare nulla...»

Imelda, per tutta risposta, si incamminò verso la porta e, a testa alta, abbandonò il salone, incapace di sopportare ulteriormente la vista del giovane.

«Hai partecipato allo studio del sommergibile?» gli chiese Ester e lui si decise a guardarla negli occhi.

«Non era mia intenzione tenertelo nascosto: si trattava di un progetto segreto.»

«Come mai, allora, mio padre e mio nonno ne erano a conoscenza?»

«Avevo chiesto loro un consiglio.»

«Perché non a me?»
Fernando distolse lo sguardo serrando la mascella.
«È perché sono una femmina?»

Suo nonno le andò incontro per farla sedere sulla stessa sedia occupata poco prima da Imelda. 

«Su, su, mia cara. Non puoi pensare che ti venga chiesto un giudizio su un argomento che non è adatto alla sensibilità del tuo sesso.»

«Non è così» disse Fernando, avvicinandosi a lei e mettendosi carponi ai suoi piedi. «Non volevo che tu sapessi cosa ho fatto. Me ne sono pentito, ma è tardi.»

Ignazio appoggiò una mano sulla spalla di sua nipote e l'altra su Fernando: «Ragazzo mio, da che mondo è mondo le migliori menti hanno progettato macchine da guerra. Ulisse, col suo cavallo di Troia; Archimede, famoso per i suoi specchi ustori. Leonardo Da Vinci, poi, ne ha disegnate parecchie. Tu perché dovresti essere da meno?»

«Perché lui non è un assassino...» rispose per lui la ragazza.

«Ester.» Era la prima volta che la chiamava per nome dopo la tragedia e la sua anima si dissetò di quel suono amorevole. Forse si era sbagliata, lui non era cambiato e le voleva ancora bene. «Ester, sono venuto qui perché dobbiamo pensare al futuro. Al tuo futuro, soprattutto.»

«Ci potremo sposare dopo il lutto. Tu mi vuoi ancora come moglie?»

Ignazio batte le mani per richiamare l'attenzione di entrambi. «Perché non ci sediamo tutti attorno al tavolo?», ma nessuno gli diede retta.
«Come volete, rimaniamo scomodi... Io e Fernando abbiamo pensato a cosa sia meglio fare, soprattutto per te.»

Ester si voltò verso il cugino che aveva ripreso a fuggire il suo sguardo.

«Hai deciso qualcosa che mi riguarda con mio nonno, senza di me?»

«Tu sei troppo emotiva in questo momento...»

«Emotiva? Mio padre è appena morto e tu, il mio promesso sposo, non mi parli da allora. Perché non sei mai venuto da me?»

Il giovane si lasciò andare e cadde sulle ginocchia, con le spalle basse e il capo chino.

«Sono io il responsabile di quanto accaduto.»

«No!»

«Indirettamente lo sono.»

«Non è colpa tua.»
Ester si abbassò per prendergli le mani tra le proprie e le strinse, ma le dita di lui rimasero immobili. 

«La zia, però, lo pensa...»
Ester guardò suo nonno che si limitò ad annuire. 
«Ho provato a parlarle, Ester, ma ha detto che sono l'ultimo uomo a cui darebbe in sposa sua figlia.»

Il sangue le defluì dal volto, una goccia di sudore le solcò la spina dorsale come una lama ghiacciata, il respiro spezzò il suo ritmo e divenne vischioso. Per la prima volta in quegli anni sentì di essere rimasta sola. 

«Bambina mia, non tutto è perduto.» La frase di suo nonno giunse ovattata e filtrata dal cupo martellare del sangue nelle orecchie. «Ho pensato a un modo perché trionfi l'amore e che possa mettere il cuore in pace a tua madre.»

«Ci darai una mano a fuggire?» domandò con un filo di voce.

Ignazio scrollò la testa: «Così la uccidi, tua madre. Non ti sembra che già si parli della nostra famiglia fin troppo? Dobbiamo agire d'astuzia.»

Ester sentì il cuore farsi più pesante. Perché Fernando non diceva nulla? Aveva veramente deciso per lei senza interpellarla? Come mai non le aveva chiesto di fuggire come avevano già pensato di fare?

«Ti ricordi che tuo padre sarebbe dovuto andare in Sud America per affari?»

Ester immaginò una nave salpare per l'alto mare aperto, sentì il gelo sciogliersi e le labbra piegarsi finalmente in un sorriso sentito nel cuore. Vi era ancora speranza!

«È perfetto! Quando torneremo, la mamma avrà accettato...»

«Torneremo?» domandò Fernando, scrollando la testa. «Andrò in America da solo, Ester. Se la zia riuscirà a perdonarmi, allora...»

«No.»

«...Se quando tornerò, sarai ancora dell'idea di sposarmi, allora manterrò fede alla promessa che ti ho fatto.»

Ester fu l'unica ad avvertire lo spezzarsi del proprio cuore. Nessun rumore aveva interrotto il pomeriggio d'agosto, le cicale frinivano indisturbate, gli uccellini si corteggiavano con assoli delicati, il vento muoveva le foglie scaldate dai raggi solari. La ferita che sanguinava era dal suo cuore non aveva prodotto alcun rumore, ma solo un dolore improvviso e in crescendo.  

«Nonno, ci lasceresti da soli?»
Arricciò le dita nei sandali per sondare la consistenza del pavimento perché il marmo sembrava essersi liquefatto sotto i suoi piedi.

«Tua madre mi ha fatto promettere che non saresti rimasta qui con lui senza di me.»

Ignazio si allontanò di poco, tirò fuori  il suo sigaro e si mise a fumare con uno sguardo indecifrabile, puntato sul soffitto, esattamente sopra le testa dei ragazzi.

«Non abbiamo altro di cui discutere, Ester» disse Fernando senza ulteriore indugio.

Lei gli afferrò le mani, cercò l'antico calore senza trovarlo. Non capiva perché suo cugino non stesse lottando per trattenere ciò che c'era tra loro, un sentimento nato quando erano bambini.

«Mi sposeresti solo per dovere?»

Fernando chiuse gli occhi e allargò le narici per inspirare a fondo.
«Ti sveglierai un giorno odiandomi per ciò che ti ho fatto. E maledirai il giorno che ci ha fatto incontrare.»
Quando sollevò le palpebre, i suoi occhi erano lucidi ma risoluti.

«Come puoi anche solo pensarlo? Nemmeno tra cento anni potrei provare per te un sentimento diverso dall'amore.»

«Qualche mese lontani servirà a entrambi. Se è vero che tra noi esiste un legame, allora niente e nessuno potrà spezzarlo.»

«Ti prego, no... Come puoi credere alle idiozie che ti stai raccontando? Non ti ricordi chi siamo?»

«Ester, capisci? Io ho bisogno di andare via per un po'. Devo vedere se il rimorso che provo mi spezzerà oppure mi renderà più forte.»

«Possiamo superare assieme il nostro lutto. Nella buona e nella cattiva sorte: è questo ciò che il mio cuore ha già giurato ed è un giuramento valido anche senza il prete!»

Fernando  allontanò le sue mani e incrociò le braccia al petto.

«Vederti mi fa stare male. Penso a ciò che ho fatto a tuo padre, alla zia. A ciò che ho fatto a te.»

La ragazza lo afferrò per gli avambracci, decisa a sciogliere il viluppo che gli teneva lontano il suo cuore. 

«Non è ciò che mi hai fatto, ma ciò che mi stai facendo in questo momento... Fino a qualche giorno fa eravamo l'uno la luce dell'altro e ora sembriamo solo le ombre di un passato glorioso destinato all'oblio. È questo ciò che vuoi?»

Fernando si alzo dal pavimento, le diede un leggerissimo bacio sulla guancia e si voltò per andarsene. 

Ester sentì in bocca il sapore delle lacrime, schiuse le labbra per respirare a pieni polmoni e non permettere ai singhiozzi di sopraffarla. Dovette farsi forza per non crollare ai suoi piedi e supplicarlo di non lasciarla. Lo fece voltare e gli gettò le braccia al collo posandogli la bocca umida di pianto sulla sua. Il cuore ebbe un sussultò quando sentì che le braccia di Fernando si stavano sciogliendo, ma la sorpresa fu subito sostituita allo sgomento: le sue mani la stavano allontanando, in concerto con l'immobilità e la freddezza delle sue labbra.

«Perdonami, Ester. Non so più distinguere il buio dalla luce. Sono avvolto nelle tenebre. So solo che devo andare via da qui.»

«Via da me?»

Lui le imprigionò una mano e la guardò negli occhi.

«Soprattutto da te.»

Ignazio espirò il fumo del cubano con lentezza, cercando di trattenere il sorriso di trionfo che gli si stava disegnando sul volto. 

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