XV atto
Sebbene Fernando non avesse mai considerato la possibilità di pedinare Ester, proprio in quel momento era nascosto dietro un quotidiano mentre sorbiva della granita al limone su una panchina di piazza Duomo, in centro ad Amalfi, e spiava la cugina. Lei e Ansgar sedevano, oramai da più di mezz'ora, a uno dei tavolini della Pasticceria Pansa su cui il cameriere aveva messo un'alzatina colma di pasticcini di mandorle da accompagnare al gelato. Poiché Ester era voltata di spalle, non poteva leggerne l'espressione, ma riusciva a vedere il viso tumefatto e la zazzera bionda di quel tedesco che l'aveva obbligata a uscire.
Nonostante fossero le sei passate, faceva ancora caldo e, più che una granita, gli sembrava di bere un canarino, rimedio che gli sarebbe servito visto che il dialogo con Ignazio il Capitalista aveva preso una piega indigesta. Ne era uscito distrutto, ma mai come dopo aver detto alla ragazza che aveva fallito nel convincere suo nonno. Dopo che lei gli aveva detto di non preoccuparsi, ringraziandolo del gesto e cercando di nascondere la disperazione che le aveva solcato la fronte di linee orizzontali, lui non era riuscito a reagire, o, forse, era ancora scosso per le parole di Ignazio. Mentre teneva sotto controllo quell'appuntamento combinato, si rammaricava di non aver detto a Ester che l'avrebbe seguita e che, a un suo minimo cenno, lui sarebbe andato a salvarla.
Con la scusa di raccogliere il tovagliolo che aveva fatto cadere con studiata premeditazione, Ansgar stava avvicinando la sedia a quella di Ester. Lei si spostò sul bordo più lontano della seduta, cercando di mettere più distanza possibile da quelle mani affusolate che la sfioravano con ogni pretesto.
Fernando ingoiò la granita tiepida e stropicciò il quotidiano che non era stato girato di una pagina. Sarebbe andato a salvarla anche in quel momento... Era mai possibile che solo lui fosse preoccupato delle idee malsane che sciorinava quel tedesco? Che fossero maledetti lui, la sua razza superiore, i suoi nobili natali!
Anche sua mamma era nobile, sebbene fosse caduta in disgrazia agli occhi della famiglia dopo il matrimonio con un borghese, ma il suo sangue blu non millantava una superiorità d'origine a ogni minuto.
Sua madre era nobile in ogni gesto, era la grazia in persona. Anche quando si era ammalata aveva mantenuto una dignitas degna di una santa. Ricordava con quale fierezza avesse assistito alla morte del marito, pur sapendo che, a breve, avrebbe fatto la stessa fine.
Questi pensieri riordinano le file delle ore, gli ordini degli anni e delle vicissitudini che aveva affrontato da quando era rimasto orfano. Lo sconvolgimento di quella giornata gli fece affiorare un'immagine lontana e temuta, l'ultima legato a sua madre. Il ricordo era piccolissimo e fragile eppure, da quella posizione disagiata nel calore amalfitano, gli permise di viaggiare a tutta velocità nel tempo e nello spazio. Nello sfarfallio delle palpebre per abituare la vista a un mondo oramai dissolto, vide le labbra di sua madre danzare parole che non avrebbe mai più udito e sentì le sue dita tuffarsi nei capelli per accarezzargli il cranio e giungere alla pelle nuda della nuca.
Il mio angelo dagli occhi bellissimi.
Da allora, solo Ester aveva detto che i suoi occhi così strani fossero bellissimi e ora lei era lì con un altro.
Fernando aveva sempre pensato che sarebbe stato lui il suo unico amore, come lei lo sarebbe stato di lui. La sua anima non ne aveva mai dubitato fino a quando il corpo aveva seguito i dettami della lussuria perdendosi in quelle due donne. L'esperienza al casino gli aveva fatto comprendere che la vita può prendere una direzione inattesa in qualsiasi momento, anzi, proprio nell'attimo in cui aveva pensato che le carte fossero state distribuite e che avrebbe dovuto solo giocare, ecco che una folata di vento le aveva scompigliate e occorreva ripartire daccapo, rimescolandole e ridistribuendole.
Forse lui ed Ester avevano solo fatto una parte del cammino assieme e sarebbe venuto il momento di separarsi. Ingollando la sbobba calda, gli sembrò che l'acido citrico del limone gli pungesse le cornee in modo inspiegabile o, forse, era ripensare a ciò a cui aveva alluso Ignazio poche ore prima.
«Vivete assieme da così tanti anni che, per la gente, siete fratello e sorella.»
«Non lo siamo.»
«Sei più fratello tu di Ester che Ignazio.»
«Sono suo cugino.»
«Qual è la regola d'oro degli affari?»
«Non mostrare mai le tue debolezze, signore.»
«In altre circostanze, sarei stato il primo a suggerire che lei diventasse la tua forza.»
«Lo è.»
«Lei ti indebolisce e ti impedisce di vedere quale futuro si prospetterebbe al nostro progetto se sposasse Ansgar.»
Fernando aveva stretto i pugni e respirato a fondo per trovare la calma sufficiente a rispondere. Se la prima regola degli affari era quella di non mostrare le proprie debolezze, quella delle discussioni era di non arrabbiarsi mai per primi.
«Ester deve decidere chi sposare.»
Il Capitalista si accese un cubano, aspirò e fissò la cenere incandescente arrampicarsi lungo il tabacco arrotolato.
«Ester è una brava ragazza, un po' ingenua, se capisci cosa intenda...»
Capiva a cosa alludesse, ma a lui venne in mente la dolce e curiosa espressione della cugina nel vederlo nudo. Quanto gli sarebbe piaciuto poterla spogliare per sentire il contatto dei loro corpi mentre si nascondeva sotto le lenzuola. Invece non si erano nemmeno sfiorati, se non nel suo sogno.
«Come ogni donna va indirizzata, altrimenti tutto andrebbe alle ortiche. Lei, in particolare...»
«Ester sa ciò che vuole: non pensa a sposarsi perché vuole andare all'università.»
Ignazio strinse il sigaro tra i denti per non perderlo e scoppiò a ridere.
«L'ho aiutata a studiare ed è molto portata per la chimica.»
«Quindi sei tu che le hai messo in testa...?»
«Ester non ha bisogno delle mie idee per pensare.»
Il vecchio gli aveva messo le mani sulle spalle e gli aveva sbruffato il fumo in faccia.
«Sai cosa direbbe la gente di lei se volesse te?»
Non aveva risposto perché le accuse che zia Imelda pronunciò quando era bambino fecero ritorno, più caustiche di allora.
Non aveva risposto perché le parole direbbero che si è macchiata d'incesto col demonio si erano inanellate come le note del Confutatis maledictis di Mozart nella sua mente.
Non aveva risposto perché sentì che ciò che provava per lei l'avrebbe condannata agli occhi degli altri e si sentì indegno.
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Piegò il quotidiano e si alzò dalla panchina per avvicinarsi alla fontana di Sant'Andrea. Nemmeno un santo potente come il protettore della città di Amalfi avrebbe potuto cambiare la realtà dei fatti, ossia che aveva due occhi di colori diverso che lo faceva somigliare al demonio e che erano stati assieme fin da bambini. Scandagliava la mente alla ricerca di una possibile via d'uscita, ma non riusciva a trovarne alcuna che comprendesse il non allontanarsi dalla famiglia. E lui ne aveva già persa una. Non avrebbe desiderato separarsi da loro né avrebbe mai chiesto a Ester di rinunciare a una cosa tanto preziosa.
L'afa immobilizzava gli edifici, il brusio delle persone, l'abbaiare di un cagnolino che correva incurante del caldo e del richiamo del padrone. Non c'era nulla di immobile, in vero, se non nel suo pensiero che si aggrappava all'unica certezza che sembrava essergli rimasta.
Voltò la testa verso la coppia, non vide nessuno. Scandagliò la piazza arrossata dal sole alla ricerca del vestitino turchese, delle due teste bionde, della corporatura massiccia del tedesco, ma non riusciva a scorgerli, quasi fossero diventati di vetro. Non gli erano passati davanti, avrebbe percepito la presenza di lei in qualche modo, quindi non rimaneva la via che conduceva al mare.
Aveva il respiro corto più per il timore di averla persa che per il passo veloce, sentiva il cuore aumentare la frequenza proprio come quando Ignazio lo aveva informato che, qualora Ester avesse sposato una persona che lui non avesse approvato, l'avrebbe allontanata dalla famiglia. Non aveva fatto alcun riferimento esplicito, ma aveva ben capito che la sola cosa per la quale il vecchio l'aveva tollerato in quegli anni, era la sua intelligenza. Quest'evocazione vorticosa non durò che pochi minuti, ma bastò a mostrargli cupa quella bella giornata di sole. L'assenza di un qualsiasi futuro assieme, una speranza che coltivava sin da bambino, gli annebbiò la vista, gli appesantì il petto, ma gli fece correre le gambe ancora di più. Fino a quando avrebbe potuto, l'avrebbe salvata dal provare paura.
La costa di roccia e sabbia scura contornava l'acqua di un verde fresco e brillante, colori che gli mitigarono l'arsura data dalla granita zuccherina e dalla preoccupazione di non riuscire a trovarla. E se l'avesse portata verso il Chiostro del Paradiso? Gli girava la testa a furia di piegare il collo da una parte e dall'altra, gli bruciava l'occhio chiaro messo alla prova dal riverbero dei raggi sul mare eppure neppure per un istante pensò di ritornare alla macchina lasciando perdere.
Intravide da lontano un frammento del turchese del vestito scelto apposta da Imelda per mettere in risalto gli occhi di Ester e far capitolare il nobile. L'indumento fasciava la cugina fin troppo, evidenziando il seno tondo, la vita stretta e trasformandola nella donna più bella che la costiera amalfitana potesse ospitare.
Corse verso il turchese, che nel frattempo si era nascosto in una piccola insenatura ombreggiata da un pino marittimo che sembrava allontanare ogni sguardo indiscreto, a eccezione di quello di Fernando.
Quando capì ciò che stava accadendo, i piedi si fermarono e ogni fibra del suo essere perse vigore. Ciò che paventava potesse accadere in futuro era già diventato presente, lì, davanti ai suoi occhi: quel momento di smarrimento era il frutto delle congetture che aveva fatto sui sentimenti di Ester. Non aveva messo in conto la delusione che lui le aveva causato, la sua curiosità, l'innegabile fascino di Ansgar.
In quel momento, Ester non stava correndo verso di lui e non era sporca di sangue per aver spaccato il naso al tedesco. Era schiacciata contro il petto massiccio, i piedini fasciati dai sandali sfioravano il suolo e la sua bocca era presa d'assalto, ma non sembrava affatto dispiaciuta dalla piega che aveva preso la sua uscita.
Quanto si era illuso? Pensare che volesse ricevere da lui il suo primo bacio vero... Se tutti non avessero detto che era intelligente, lui non avrebbe ritenuto di fare sempre le corrette congetture. Proprio con Ester avrebbe dovuto imparare la lezione della propria fallibilità?
Girò i tacchi e s'incamminò verso la macchina. Aveva bisogno di una corsa a tutta velocità per digerire quel boccone indigesto.
Un'esclamazione trattenuta lo fece voltare.
L'espressione smarrita di Ester e i pugni piantati sui pettorali dell'uomo gli ridiedero vigore. In un attimo fu davanti a loro e, con una spallata, allontanò Ansgar dalla cugina, facendolo rovinare a terra e fermandolo in quella posizione scomposta con un piede sul cuore.
«Toccala ancora senza il suo permesso che ti faccio baciare la polvere.»
Mentre stava montando il gancio per spaccargli la faccia, sua cugina gli cinse la vita con le braccia.
«Lascialo andare.»
«Oh, Ester, questa feccia...»
«Portami a casa, ti prego.»
Fernando aprì i pugni e appoggiò le mani sulle sue tremanti. Forse, però, erano le sue a vibrare per la tensione. Alzò anche il piede dallo sterno di Ansgar che si mise a tossire parole in tedesco.
«Tu credi che io non sappia cosa mi hai detto?»
«Non toccarmi mai più, schifoso italiano menomato. Te lo traduco io perché quelli della tua razza hanno difficoltà anche a capire.»
Le parole rabbiose solleticarono il nervo scoperto di Fernando che cercò di allontanare Ester dal proprio abbraccio per occuparsi del manigoldo. La ragazza, che aveva capito le intenzioni di entrambi, intrecciò le dita strette tra loro per non mollare la presa.
«Lascialo perdere. Ti vuole provocare!»
«Fammi prendere a calci questo...»
«Portami a casa.»
«Staccati!»
«No.»
La ragazza si strinse a lui ancor più forte tanto che lui dovette desistere per non farle male.
«Hai ragione, Ester, andiamo a casa.»
La ragazza, in quella posizione abbandonata, sembrava nascere dal suo costato. In quegli occhi tenuti bassi e le guance appena screziate, gli appariva di una dolcezza che desiderava assaporare e si immaginava che fosse lei stessa a offrirgli le labbra, violate pochi istanti prima, per mondarle dall'orrore. Il corpo sentiva la sua pelle tenera e accaldata, desiderava fondersi in essa e si deliziava del continuo sfiorarsi, tanto impercettibile da sembrargli un sogno.
La sua mente razionale gli consigliava di allontanare entrambi da quella situazione; i suoi sensi, sovreccitati dalla scarica adrenergica, trovavano conforto nell'abbraccio di Ester, godendo di ogni istante perché paventavano di non riuscire a reiterare quella situazione.
Quando Ansgar si rimise in piedi, Fernando spostò la cugina alle sue spalle per evitare che lui potesse fare qualche azione inconsulta. Sciogliersi dall'abbraccio fu un gesto, effettuato d'istinto, che acuì le sensazioni appena provate e gli fecero avvertire la necessità di tentare l'impossibile per il loro futuro assieme.
Il Tedesco si pulì i pantaloni dalla polvere con un lento e sprezzante movimento della mano, concentrandosi sui punti venuti a contatto con l'italiano. I due uomini si guardarono, sul volto ariano si disegnò un sorriso asimmetrico che lo deformava in una maschera sinistra, quasi che l'angelo più bello avesse deciso di mostrare il vero sembiante in quel momento. Fernando provò disgusto nel comprendere la vera natura di quella bellezza ingannatrice, l'ingiustizia del mondo lo fece sentire miserabile: ad Ansgar avrebbero concesso di esprimere ogni desiderio, anche impalmare la bella cugina, mentre a lui, con quel suo aspetto singolare, non avrebbero permesso nulla.
Ansgar alzò indice e medio verso Ester, se le portò alle labbra insinuando la punta della lingua tra le due falangi. Fece una risatina beota, ma, contento della reazione che aveva avuto nei due cugini, prese il portasigarette d'oro dalla tasca, lo aprì e offrì da fumare, anche se nessuno fece il gesto di accettare.
«Il problema di voi italiani è che vi sentite superiori senza esserlo.»
Si accese la sigaretta aspirando a fondo un paio di volte, poi espirò il fumo verso l'alto arricciando le labbra a mimare un bacio.
«Vattene.»
«Ci vediamo dopo, Ester. Chissà che dirà tuo nonno quando ti vedrà tornare con lui?»
Senza attendere risposta, il Tedesco voltò i tacchi e ritornò sui suoi passi senza alcuna fretta.
«Portami al sicuro, ti prego.»
Fernando si voltò verso la cugina per stringerla di nuovo tra le braccia, la gota umida gli rinfrescava la camicia, il respiro spezzato le scrollava le spalle accarezzate di turchese.
Le toccò i capelli arrossati dal tramonto, vi immerse le dita a raggiungere il cranio come l'immagine evocata di sua madre, un gesto che giungeva da un mondo ormai dissolto e che gli fece capire la profondità del suo sentire. Con gli occhi ancora aperti su quella realtà inconsistente, le appoggiò le labbra sulla fronte e percepì l'infinito espandersi nel suo petto.
https://youtu.be/DwHpDOWhkGk
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