XLVI atto
Fernando chiuse la porta della stanza che aveva preso in affitto e si sdraiò sul letto.
Non era il materasso di paglia pressata a dargli fastidio, aveva dormito in luoghi ben più inospitali, e nemmeno l'arredamento, si era abituato a vivere senza alcun mobile, di sicuro non era inorridito per la mancanza di igiene, ma era disturbato da due cose che, per la loro natura, poteva essere definite ineluttabili.
La prima era la scontrosa padrona di casa, la signora Nina. A parte lei, comunque, nessun altro aveva voluto affittargli un appartamento o un qualsivoglia altro bugigattolo in cui stare.
La remora principale era data dal suo aspetto fisico che definirlo esotico era un eufemismo. Avrebbe potuto andare dal barbiere, togliersi l'anello che aveva sulle labbra, indossare una camicia dal collo molto alto e una cravatta per mascherare i tatuaggi, ma era restio a farlo. Abbigliato con pantaloni che dovevano essere precedentemente appartenuti a qualcuno ben più grosso e basso di lui e pettinato coi capelli raccolti in una coda si sentiva a proprio agio come non lo era mai stato prima di allora. Per sentirsi ancora più libero, avrebbe dovuto sciogliere la coda e denudarsi, un vestiario per nulla assonante con le temperature di gennaio dell'Europa centrale. Il suo aspetto lasciava sgomenti i suoi interlocutori e gli rendeva difficile passare in osservato. Sapeva che avevano iniziato a chiamarlo l'Indios e la cosa non solo lo faceva sorridere, ma lo riempiva addirittura d'orgoglio visto che lo legava alla famiglia amazzonica che aveva trovato. Inoltre, ed era una novità, la prima cosa che veniva notata di lui non erano gli occhi...
La sua attuale padrona di casa era stata l'unica che non gli aveva fatto domande: si era presa il denaro senza fiatare e, sebbene non avesse pronunciato parola, era bastato uno sguardo per comprendere quanto la stima reciproca fosse assai scarsa, dettaglio che sottintendeva l'indubbio vantaggio di non dover perdere tempo in convenevoli sorseggiando caffè di cicoria.
L'altra cosa che non riusciva più a sopportare da quando aveva detto addio alla vita in Amazzonia era il rumore. Dover sopravvivere nella foresta pluviale gli aveva amplificato i sensi e ora aveva l'impressione che tutto il caos del mondo lo aggredisse senza pietà. Rispetto agli animali, gli esseri umani sembravano incapaci di muoversi senza sbattere gli oggetti tra di loro, trascinare i piedi, parlare a voce alta. Tapparsi le orecchie non serviva a nulla perché i suoni giungevano ugualmente al timpano anche se ovattati.
Si concentrò sul respiro cercando di lasciare fuori tutte le sensazioni.
La vista era la cosa più semplice da escludere, bastava chiudere gli occhi perché la bellezza di Ester si palesasse nella sua perfezione cancellando la realtà desolante della periferia.
Anche con l'olfatto aveva difficoltà: aveva provato a tappare il naso ma il tanfo di chi aveva abitato in quella stanza prima di lui riusciva a passare attraverso la bocca intaccandogli addirittura il gusto. Sudore, urina, sperma, feci, l'effluvio di secrezioni non sue era ancora ben presente sebbene i pavimenti fossero stati sfregati con ammoniaca e le lenzuola registrassero il puzzo di cloro della candeggina.
Quanto era stato bello sfiorare il naso sulla delicata pelle del collo di Ester per aspirarne la fragranza? Ricordava ancora il lieve sentore di mughetto che aveva percepito sulla sua spalla quando era andata al San Carlo.
Era così bella quella sera che aveva persino pianto dalla frustrazione di non poterla mettere al corrente della sua presenza.
Fernando sentì il pizzicore sulla punta delle dita al ricordo delle morbide chiome bionde: aveva disfatto la pettinatura elaborata, incapace di resistere alla tentazione di vederle sparse sulle sue spalle in un contrasto cromatico capace di mozzargli il respiro. Il desiderio di affondare i polpastrelli tra quei fili d'oro chiarissimo era secondario solo al bisogno ferino e prepotente di immergersi in lei anima e corpo, senza remore.
Il sapore dei suoi baci non era paragonabile a nulla. Il calore della sua bocca, la lieve carezza delle labbra rosa, il morbido velluto della sua lingua che si avvolgeva attorno alla sua, esigente, pura, unica. Voleva vivere per sempre solo per non smettere mai di baciarla. Quel tocco umido e sapido aveva la capacità di fluire in ogni cellula, risvegliando un istinto preistorico che non riusciva a comprendere a pieno ma che accettava senza riserve.
Lei lo aveva aspettato.
Ancora non poteva credere che, nonostante tutto, la sua bella cugina lo amasse ancora.
Si sentì l'uomo più fortunato al mondo e gli si strinse il cuore al pensiero che lei si reputasse un qualcosa di guasto ai suoi occhi.
Unitamente si sentì l'uomo più indegno: leggere il diario era stata la prova più difficile della sua vita. Vedere quanta fiducia avesse riposto in lui, nel suo improbabile arrivo salvifico, e osservare il progressivo annichilamento della speranza lo aveva svuotato di ogni volontà per giorni.
Si era maledetto, ma poi il baratro in cui era sprofondato era stato lo stesso che gli aveva dato e gli dava tuttora la forza per reagire e per mettere in atto un piano atto a sottrarre Ester ad Ansgar.
Era consapevole che non le avrebbe potuto donare un'esistenza altrettanto agiata a quella che stava vivendo, non al momento perlomeno, ma di sicuro le avrebbe ridato la libertà.
Le pagine dedicate a quanto succedeva di notte erano ben poche, le aveva lette in uno stato di semicoscienza e orrore tale che gli era venuta la febbre dalla rabbia perché aveva percepito la prigionia in cui stava vivendo la sua Ester.
Promettimi che non mi lascerai mai con Ansgar.
Ricordava bene la promessa che gli aveva strappato e che lui non aveva mantenuto. L'ennesima promessa infranta...
Magari quel demonio di Ansgar la stava toccando proprio in quel momento. Sarebbe andato da lei quella sera stessa, quella dopo e quella dopo ancora fino a quando lui l'avrebbe liberata.
Aver letto del piano ordino dal nonno per costringerla a sposarsi gli aveva fatto comprendere perché avesse reagito in modo così rigido al suo tocco.
Dopo aver baciato e toccato Ester non si è più sentito in grado di sfiorare alcuna donna... E non che il suo corpo non lo richiedesse! Non riusciva però a pensare a nessun altra con cui unirsi. Lei, così piccola e indifesa, cosa aveva dovuto subire per le mire della famiglia? Ansgar l'aveva stuprata brutalmente sulla loro spiaggia col benestare dell'adorato nonnino!
Quanto avrebbe desiderato in quel momento accarezzare Ester fino a farle dimenticare tutto l'orrore che aveva provato?
Voleva darle piacere in ogni modo possibile, con la bocca, con le mani, con il sesso. Col cuore.
Da quanto non avvertiva lui stesso quella meravigliosa sensazione di pace lenirgli il petto? Era la stessa di quando, bambino solo e spaventato in una casa nuova, ella aveva posato una manina sul suo sterno.
Fernando spalancò gli occhi nella penombra della sua stanza, qualcuno di nuovo aveva appena bussato e chiedeva informazioni alla sua padrona di casa. Si trattava di un uomo con un accento che non era di quelle parti sebbene non riuscisse a distinguere né da dove provenisse né cosa stesse dicendo.
I peli si rizzarono sulla nuca e sulle braccia: egli era lì per lui.
Sgattaiolò furtivamente fuori dalla stanza e percorse il lungo corridoio di quell'appartamento delle molteplici camere per avvicinarsi all'ingresso. Sentì gli occhi pungere e un attimo dopo ne comprese il motivo: anche se era passata un'eternità, avrebbe riconosciuto ovunque suo fratello Giovanni. Doveva aver ricevuto la lettera che gli aveva spedito tre settimane prima ed era venuto in suo soccorso proprio come aveva sperato che facesse.
Non si vedevano da decenni e ritrovarsi di nuovo faccia a faccia era un'emozione che i due fratelli non erano preparati ad affrontare. Erano estranei, ma avrebbero dovuto conoscersi. Avvertivano il legame di sangue che intercorreva tra di loro ma erano restii ad aprirsi. Non erano amici, non più, ma lo erano stati anche se poi la Spagnola aveva cambiato ogni cosa.
Giovanni era diventato un giovane uomo molto alto e possente, con gli occhi chiari, i capelli castano rossicci pettinati con la riga di lato e sottili baffi restii a crescere. In quegli anni era rimasto in contatto con gli altri fratelli e sua sorella perché erano stati dislocati in città vicine. Fernando avvertì per questo un morso di invidia anche se, qualora fosse rimasto in Calabria, di sicuro non avrebbe mai potuto né conoscere Ester né seguire la propria vocazione per l'ingegneria meccanica. Giovanni, infatti, sebbene più piccolo, lavorava già da parecchio nella sartoria dello zio che lo aveva accolto: non gli era stata data l'opportunità di studiare in università come Fernando (e, comunque, non avrebbe avuto nemmeno la testa per farlo). Per quanto riguarda l'amore, a quanto pare, le sue energie erano concentrate su un paio di ragazze che ignoravano l'esistenza all'una dell'altra.
«Come mai assomigli a un selvaggio?», l'imbarazzo gli fece ugualmente porre la domanda anche se sottovoce. Fernando gli raccontò la sua avventura dall'altra parte del mondo senza tralasciare alcun particolare. «Comunque io non ho mai aperto alcuna tua lettera dall'Argentina: sei proprio sicuro di aver scritto l'indirizzo corretto?»
«Sei la seconda persona che mi dice di non averla ricevuta. Avrei dovuto spedirle in momenti diversi... Saranno andate tutte perse.»
Giovanni vestiva con una camicia linda e inamidata, pantaloni di buon taglio e, sebbene tutto il resto rivelasse la sua appartenenza a una famiglia che non doveva patire problemi economici, si capiva che non era facoltosa come quella di Ester.
«Ti trovi bene qui?»
Lo sguardo di Giovanni aveva passato in rassegna ogni dettaglio della piccola stanza e si era soffermato sulle coperte lise rammendate con colori diversi, sulle pareti che avrebbero avuto bisogno di essere imbiancate da almeno un decennio e infine sui serramenti che gli ricordavano in qualche modo il Colosseo per via della corrente gelida che si sentiva. L'unico camino, nella sala da pranzo della casa, non era sufficiente a scaldare l'intero appartamento e soprattutto le stanze più lontane ospitavano colonie di muffe di tutte le tonalità di verde.
«Mi sono abituato a luoghi più spartani.» E silenziosi ma, questo, Fernando lo pensò solamente.
«Quali sono i tuoi programmi futuri?»
«In America ho un lavoro. Un uomo mi ha assunto per modernizzare i macchinari della lavorazione della canna da zucchero della sua piantagione.»
L'Indios lo aveva guardato a lungo prima di rispondere perché, nonostante avesse capito quanto desiderasse sapere come mai fosse rimasto in Italia visto che Ester si era sposata, aveva deciso di essere evasivo.
«E nostra cugina?»
Tacere non aveva alcun senso. Aveva disperatamente bisogno di un complice.
«Ovviamente verrà via con me.»
Giovanni gli appoggiò entrambe le mani sulle spalle come se fosse lui il fratello maggiore.
«Non desiderare la donna d'altri.»
Fernando si morse il cerchietto che gli cingeva le labbra e scosse la testa: «Credevo che lo avessi capito: lei è la mia donna, io sono il suo uomo.»
«Ma Dio, la Chiesa...»
«Il nostro Dio non è l'unico dio: esistono divinità che evidentemente sanno distinguere tra i giuramenti fatti col cuore e gli spergiuri strappati con la violenza.»
«Non bestemmiare! Rischi l'inferno!»
«L'inferno è il mondo senza Ester.»
Giovanni sospirò e si passò le mani tra i capelli, facendo loro perdere la compostezza della pettinatura con la riga laterale.
«Non so se invidiarti o provare pietà per te. Io non ho mai sentito nulla di simile...»
Fernando guardò oltre il vetro della finestra. Assorbì tutti i suoni, compreso quello ritmato del cuore di Giovanni, registrò anche l'odore della stanza che era cambiato grazie alla sua acqua di colonia e all'odore placido del suo sudore.
«Non posso spiegartelo. Dovresti provarlo sulla tua pelle.»
Aveva imparato che le parole possono essere menzognere ma i sensi sono più difficili da ingannare. Sentiva che il fratello era un puro di cuore e non puzzava di paura... Difatti non attese a lungo prima di sentirgli dire ciò che sperava.
«Dimmi cosa devo fare per aiutarti... Oltre a regalarti dei vestiti decenti.»
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top