XLV atto
Fernando era vivo e reale davanti a lei. Non poteva essere un'allucinazione perché altrimenti sarebbe stato identico ai suoi ricordi, invece non lo era. Se lo avesse incontrato per strada, senza poterlo guardare negli occhi o sentirne la voce, non lo avrebbe riconosciuto. Non erano solo il viso abbronzato o i capelli lunghi a renderlo diverso, ma quella particolare aria ferina che le provocava una sensazione alla bocca dello stomaco che non riusciva a definire.
«Sei proprio tu?» Per tutta risposta, la baciò ancora ma questa volta Ester si divincolò. «Dove sei stato per tutto questo tempo?»
A causa della scarsa luce, non riusciva a distinguerlo chiaramente, ma sembrava proprio un selvaggio. Cos'erano quei triangoli blu che aveva sul collo e che salivano fino alla mandibola? Come mai un cerchietto metallico gli cingeva il labbro inferiore? Non lo aveva avvertito mentre si baciavano. Con l'indice studiò il gioiello avventurandosi oltre alle labbra e ai denti per ricercare la punta della lingua. Lasciò che lui la lambisse in una carezza, occhi negli occhi e cuore in subbuglio.
«Dove sei stato?», chiese seconda volta.
«A tempo debito. Nelle tue condizioni non ti dovresti stancare.»
«Non ho nessuna condizione!», rispose piccata dopo aver tossito.
«Dieci giorni in semi incoscienza tra la vita e la morte sono una condizione...»
Dieci giorni? Era trascorso così tanto tempo? Quindi era già il 1934. Non si era resa conto di essere stata tra la vita e la morte, anzi, più ripensava ai giorni precedenti e più le sembrava di aver vissuto in un unico prolungato sogno. E, poi, come avrebbe potuto Fernando conoscere le sue condizioni di salute?
«Tu non puoi sapere proprio nulla.»
Quando la sollevò tra le braccia per riportarla a letto, Ester avrebbe voluto opporsi, ma non ne ebbe le forze.
Il suo animo era diviso in sensazioni contrastanti e si domandava perché, oltre a sollievo e letizia per saperlo vivo, covasse tanta rabbia nei suoi confronti. Credeva forse di essere stata abbandonata al suo destino?
«L'importante ora è che tu possa riprenderti al più presto.»
«Si vede che non sai nulla perché sennò avresti saputo cosa è davvero importante», ribatté ancor più piccata. In quel momento si odiava per il piacere che provava a stare tra le sue braccia e si impose di smettere. Fernando l'aiutò a distendersi e la coprì con cura, poi si sdraiò accanto a lei, rimanendo sopra le coperte e guardandosi bene dall'avvicinarsi.
«Ti dico che ho letto il tuo diario.»
«Come hai osato?»
«Vorrei che quelle pagine avessero accolto la gioia del nostro stare assieme e non la disperazione della lontananza.»
«Come tutti gli uomini, tu non hai cuore e ti diverti a spezzarlo alle persone indifese come me. Chissà quanto ti ha inorgoglito leggere del mio dolore, pensare a quella sciocca di tua cugina così innamorata mentre tu ti sposavi!»
«Smettila, Ester. Leggere il tuo diario mi ha ucciso...»
«A dimostrare che sei senza cuore è il fatto che tu sia vivo: se tu l'avessi avuto, allora sì l'Amazzonia ti avrebbe ammazzato.»
Fernando si slacciò la camicia e le prese con la forza una mano da sotto la coperta per appoggiarsela al petto mentre lei si divincolava per non doverlo toccare ancora.
«Lo senti?» Ester tentò di liberare la mano per non avvertire il furioso battito, ma lui la teneva salda dov'era. «Ho un cuore e, se batte, è solo perché vuole stare disperatamente accanto al tuo.»
Ester si morse il labbro per non scoppiare a piangere e abbassò lo sguardo sul suo torace.
Era coperto da tatuaggi triangolari e da una fila di cicatrici tonde che si fermavano all'altezza delle clavicole. Con le dita della mano libera ne tastò la superficie liscia e in rilievo.
«Cosa sono?»
«Stavo diventando il piatto forte di un anaconda.»
«Smetti di prendermi in giro. Come te le sei procurate?»
Fernando le lasciò andare la mano e le mise il braccio dietro la schiena ma non la strinse a sé. Pur essendoci le coperte tra loro, sembrava che cercasse continuamente il contatto, sebbene capisse che lei fosse restia.
«Non ho memoria di come me le sia procurate ma a quanto pare sono veramente i segni dei denti di un serpente. Rammento solo che stavo scappando.»
«Da cosa scappavi?»
Il giovane si puntellò su un gomito e la guardò con gli occhi lucidi. Prima di riuscire a rispondere, dovette calmare il tremito che gli scuoteva il corpo.
«Hai ragione, mi sono sposato. Anzi, mi hanno sposato! E sono dovuto scappare da mia moglie.» Ester aprì la bocca e la richiuse subito. Gli occhi le si riempirono di lacrime, girò la testa per non fargli vedere quanto quella rivelazione l'avesse ferita.
«Mi hanno detto che è bella e ricca.»
Fernando le accarezzò i capelli.
«Ti è inverosimile pensare che la nostra famiglia abbia giocato a tutti e due il medesimo scherzo per allontanarci l'uno dall'altra? Tuo nonno non ha mai voluto accettare il fatto che ci appartenessimo.»
La ragazza scrollò il capo e tornò a guardarlo.
«Hai sofferto?», domandò cercando di sembrare indifferente, ma senza riuscirci. Lui le baciò le lacrime.
«Sì, Ester. Io, però, sono riuscito a difendermi dalle avances di mia moglie perché ero più forte di lei, ma tu...», la ragazza gli appoggiò la mano sulla bocca per farlo tacere, ma lui la riportò sul suo cuore, deciso a parlare. «Tu come avresti potuto? Sei così minuta mentre Ansgar è alto, forte, abituato alla violenza.»
La ragazza sussultò, si strinse le braccia al petto e abbassò il viso.
«Non sono più la tua Ester, la Ester a cui volevi bene... Io non sono più integra», sussurrò con una voce così flebile che Fernando dovette avvicinare l'orecchio alla sua bocca per sentirla.
Le prese il volto tra le mani costringendola a guardarlo in faccia.
«Riuscirai mai a perdonarmi?», le domandò, la voce incrinata dal tremito.
«Sono io che...»
«Non dirlo nemmeno. Tu non hai proprio nulla da perdonare.»
«Sono rotta.»
«Lo sono anche io. Ci hanno già spaccato, ricordi? Assieme siamo riusciti a tornare interi e lo faremo anche questa volta.» Ella si appoggiò al suo petto con un sospiro e chiuse gli occhi. «Ester, immaginavi così il nostro incontro?»
«Quando mi hanno detto che eri morto, io non l'ho creduto possibile. Poi, però, i mesi passavano e... poi non ero più io.»
Strinse le dita ancor di più sul suo viso, poi la lasciò andare.
«Durante la traversata, ero già pentito di essermi imbarcato per via delle cose che ti avevo detto prima di partire. Avrei voluto tornare subito da te ma lo sgherro di tuo nonno mi ha teso una trappola. Sono stato costretto a sposarmi con una donna che non riuscivo nemmeno a capire quando mi parlava.»
«È bella tua moglie?»
«Dio, Ester, me lo stai chiedendo di nuovo? Come se questo possa essere importante per la nostra vita! Domandami, piuttosto, da dove proveniva la forza che mi ha fatto alzare ogni mattina e mi ha riportato a Napoli.» La baciò, affamato, disperato. «È stata la speranza di riuscire a tornare da te che mi ha tenuto in vita. Che mi ha dato il coraggio di scappare.»
«Sei dovuto fuggire?»
«Mi hanno braccato, coi fucili e coi cani da caccia. Mi sono rifugiato nella foresta pluviale e, ti assicuro, fa paura. Ma ne avevo ancor di più all'idea di morire senza poterti rivedere.»
«Mi hanno detto che nessuno esce vivo dall'Amazzonia. Ma tu sei vivo... lo sei?»
«Sono resuscitato. Ancora dubiti che io sia qui in carne e ossa?»
«Dubito di tante cose.»
«Comunque nessuno esce vivo dall'Amazzonia, hai ragione... A meno che uno non sia fortunato di venire salvato da una piccola comunità indigena. Quegli uomini mi hanno accolto, nutrito e guarito.»
Ester spalancò gli occhi.
«Sei stato ammalato?»
«Ricordo solo di essermi inoltrato nella foresta, poi ho ricordi vaghi di un luogo nero in cui sentivo solo suoni. La tua voce mi ha tenuto in vita, mi aggrappavo a essa o, per lo meno, io pensavo che tu fossi lì... Quando sono uscito da quel torpore, mi sono ritrovato con torace e schiena ricoperti di tatuaggi e il labbro bucato con un orecchino.»
Finì di sbottonarsi la camicia e se la tolse. Ester sentì le guance imporporarsi e avvertì uno strano languore allo stomaco, assai simile a quello di quando lo vide nudo anni prima. Fernando si mise in piedi e ruotò su sé stesso con le braccia allargate per mostrarle i tatuaggi.
Il torace era una distesa di triangoli chiari e scuri, mentre le spalle avevano linee verticali che si curvavano in spirali.
«Questi sono i denti e le squame del serpente, il dio che mi protegge secondo chi mi ha salvato, mentre sulla schiena ci sono i simboli di rinascita e forza che derivano dall'aver visto due mondi.»
Si sdraiò nuovamente accanto a lei senza rimettersi la camicia. Quando Ester allungò una mano per sfiorare i segni di inchiostro blu scuro, il giovane chiuse gli occhi e fece le fusa come un felino, inarcandosi e allungando il collo per farsi accarezzare dietro la nuca.
«Ti piace?»
Fernando si fece più ardito e scostò le coperte per farsi spazio accanto a lei con dei mormorii che assomigliavano alle fusa di un felino. Quando allargò le braccia, però, rimase deluso dal fatto che la cugina rimanesse comunque scostata. Non mostrò alcun scontento, le sorrise e si sistemò accanto appoggiandole solo la mano dietro la schiena.
«Chi ti ha tatuato?»
«Al mio risveglio, ho scoperto di avere una nuova famiglia. Alcuni indigeni che mi hanno accolto, nutrito e guarito con erbe che hanno virtù che noi non conosciamo.»
«Grazie a Dio non ti hanno avvelenato.»
Lui trattenne un sorriso e azzardò una carezza sulla schiena, ma si fermò subito nel sentire la sua rigidità.
«Prima di capire cosa mi dicessero, è dovuto passare del tempo... Poi, una volta imparate le basi della lingua, mi hanno trasmesso la loro conoscenza erboristica e alcune dei segreti dell'Amazzonia. Sono meno selvaggi di quanto possiamo pensare e, se sei viva, devi ringraziare la loro generosità», prima di proseguire, aspettò che lei sgranasse gli occhi dalla sorpresa. «Il tuo medico aveva diagnosticato una brutta polmonite...»
«Come lo sai?»
«L'ho sentito con le mie orecchie quando ha informato tuo marito.»
«Come hai fatto?»
Ester respirò così velocemente che si mise a tossire.
«Entro ed esco da casa tua da oltre un mese.»
«Un mese?», domandò tra un colpo di tosse e l'altro. Quando riprese fiato, Ester si avvicinò al cugino per poggiare la testa nell'incavo del mento permettendogli di stringerla tra le braccia.
«Ho vissuto per mesi con gli Indios prima di riuscire a fare ritorno nel mondo civilizzato. Ho dovuto cambiare aspetto, identità, coi miei occhi di colore diverso non è stato facile nascondermi. Ho dovuto lavorare per acquistare un biglietto per la traversata e, quando sono sbarcato a Napoli, ho scoperto che ti eri sposata. Non ci eravamo lasciati bene e Ansgar sembrava intenzionato ad averti. Potevi esserti innamorata di lui, lo avrei capito...»
«Come potevi dubitare?»
«Il tempo cambia molte cose.»
«Ciò che provo per te non è mai cambiato. »
«Mi sono comportato da vero idiota... Quando ti ho visto entrare a teatro senza di lui, il piano di stare a guardare da lontano è fallito. Dovevo toccarti di nuovo, dovevo sentire ancora l'odore della tua pelle.»
«Non era un sogno, dunque...»
Improvvisamente il giovane smise di sorridere e fece segno a Ester di tacere. Spense la luce e sussurrò: «Fingi di dormire.»
La ragazza avvertì il distacco e il letto alzarsi dal peso di Fernando, ma non sentì nessun altro rumore.
Il cuore le balzò in petto nell'udire il portone dell'ingresso chiudersi seguito dalle voci di Ansgar e Ignazio. Dalle risate e dalle parole biascicate sembrava che si fossero dati ancora una volta alla pazza gioia. Dopo essersi salutati in tedesco, sentì il marito entrare nella sua stanza personale e, lì, vagare avanti e indietro per un po' fino a quando si decise ad aprire la porta di comunicazione tra le due camere.
Da dietro le palpebre socchiuse avvertì ugualmente l'ingresso di luce e dovette resistere alla tentazione di aprire gli occhi per vedere dove si fosse nascosto Fernando. Col cuore a mille era difficile mantenere un ritmo regolare del respiro.
Cosa avrebbe potuto fare a Fernando se l'avesse scoperto? Anche se era sopravvissuto nella foresta pluviale, sarebbe stato impossibile fuggire dalla follia di suo marito.
Sentì le mani gelide sulla fronte.
«Stai meglio?», le domandò Ansgar e lei non si mosse. «So che sei sveglia.»
Lei aprì gli occhi, cercando di mostrarsi assonnata.
«Credo di aver ancora un po' di febbre, però mi sento meglio. Il medico oggi è venuto?»
L'uomo si sedette sul letto e la guardò: «Sì, ha detto che hai avuto una guarigione miracolosa e che hai una fibra robusta. La polmonite non dovrebbe impedire che tu rimanga incinta... Forse dovrei amarti di più?»
Se prima di quella sera aveva subito il suo destino senza ribellarsi, ora che sapeva che Fernando era vivo come avrebbe potuto lasciare che lui le facesse quelle cose senza lottare? Il respiro le si mozzò in gola provocandole la tosse.
«Rimandiamo a quando non sarai più contagiosa», disse Ansgar mettendosi un fazzoletto davanti al viso e avviandosi verso la sua stanza.
Quando richiuse la porta alle spalle, Ester si sedette sul letto nella rinnovata oscurità della sua camera per catturare ogni variazione d'ombra che gli rivelasse la presenza di Fernando. Passarono diversi minuti prima che ci fosse il completo silenzio.
«Non dovrai più avere paura.»
La voce di Fernando era così flebile che si domandò se l'avesse sentita realmente. Sollevò una mano per cercare dove fosse e subito incontrò il viso che ben conosceva.
«Non andare via, ti prego.»
Sentì le sue dita tiepide sulle labbra.
«Starò con te , ma è meglio tacere.»
Ester si spostò di lato per fargli posto. Aspettò che si infilasse sotto le coperte per farsi subito prendere tra le braccia in un gesto che avvertì come naturale e meraviglioso. La paura si dissolse all'istante. Da quanto non sentiva una pace simile? Chiuse gli occhi e si addormentò col sorriso...
Quando si svegliò, la luce filtrava morbida attraverso le tende. Fernando non c'era più, ma accanto a sé trovò un foglietto di carta.
Ho ripreso ciò che mi avevi regalato e che mi fu strappato dal collo senza che potessi oppormi.
Corrugò la fronte, rilesse il messaggio più volte, poi aprì il cassetto del comodino e vide che il medaglione coi loro ritratti non c'era più.
Appallottolò il biglietto e si alzò per buttarlo nel camino dove le braci lo consumarono rapidamente.
Si toccò la fronte. Non era più calda, il peggio era passato e non solo per l'assenza di febbre.
Ora doveva solo fuggire verso la sua nuova vita.
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