XLIX atto

La porta della camera di Imelda si aprì lentamente e rimase aperta per pochi istanti per poi richiudersi senza rumore.

Fernando avvertì il cuore aumentare il proprio ritmo e il respiro mozzarsi. Il sentore fiorito di Ester era nell'aria e lui socchiuse gli occhi per percepirlo e pregustare il momento in cui l'avrebbe vista. Aveva sognato così a lungo l'attimo in cui la fuga avrebbe avuto inizio che ora gli pareva impossibile che il futuro si fosse veramente trasformato in presente.

«C'è nessuno?»
La voce sottile della cugina lo fece tornare in sé. Era bella come qualche ore prima, col vestito nero che le fasciava il corpo sinuoso e le guance più rosee.

Suo fratello gli aveva regalato un vestito elegante che aveva indossato per passare inosservato qualora qualcuno lo avesse fermato mentre entrava nella villa. Con l'occhio chiaro coperto dal ciuffo di capelli più lunghi, era entrato dall'ingresso principale, era passato tra gli invitati, aveva persino bevuto un paio di bicchieri di vino e si era fermato ad ammirare Ester che sorrideva in compagnia di sua madre e del conte Alessandro. A vederla, sembrava spensierata, ma lui la conosceva fin troppo bene per non accorgersi del tremore della mano che sosteneva il calice di bianco o del guardarsi attorno con aria furtiva quando pensava che nessuno la vedesse.

La camera era illuminata da un ciocco di legno che ardeva pigramente nel camino e dal chiarore della luna che penetrava dalla finestra.

Le andò subito incontro prendendola per il gomito per farla girare verso di sé.

«Mi hai spaventata!»

«Sono io.»

«Ti muovi talmente silenziosamente che sembri un fantasma. Ci dovrò fare l'abitudine o riprenderai a camminare con tutti gli esseri umani?»

Fernando sorrise nel prenderle una mano per appoggiarsela al cuore. Le fiamme tingevano di ombre rosse i loro visi e le loro persone, la musica dal piano sottostante appariva distante, quasi provenisse da un altro mondo. Ester fece per ritrarsi, ma il giovane se la premette ancor di più sul petto. La vide fissargli lo sterno e risalire lentamente con lo sguardo fino alla bocca. Tremava, non di freddo, e il suo corpo reagì all'evidente eccitazione di lei tendendo ogni muscolo.

«Hai ancora timore che io sia un fantasma?»

Lei rispose negando con la testa, senza smettere però di guardargli le labbra.

«Cosa vorresti, Ester?»

Quando arrossì sgranando gli occhi scuri e liquorosi, l'afferrò per la vita con la mano libera, l'avvicinò a sé, facendola aderire al suo corpo e la baciò.

«Lo sai che ti devi spogliare?» le disse a fior di labbra. 
L'idea di vederla nuda gli fece venire l'acquolina in bocca. 
Le fece scivolare la mano sulla schiena, le carezzò la spalla appena velata di nero e le sfiorò la nuca per poi infilarle le dita tra i capelli. L'elaborata acconciatura si allentò e un paio di forcine caddero sul pavimento in parquet con un rumore sordo.

«Devo spogliarmi?» gli domandò inclinando la testa di lato socchiudendo le labbra in una muta richiesta di un altro bacio.

Il giovane sentì il cuore battere ancora più forte sotto la mano di Ester: il pensiero di lei nuda e della sensazione della sua pelle a contatto con la propria, dei capelli e della sua bocca su di sé lo fecero bruciare di desiderio.

«Dobbiamo scappare» deglutì a vuoto, cercando di ritrovare la ragione, dispersa in un mare di sensazioni. «Se non approfittiamo di questa occasione, sarà difficile.»

Vide la cugina raddrizzare la testa, sbattere le palpebre più volte e fare un passo indietro. Lui allentò la presa e liberò la mano.

«Non possiamo!»

«Hai cambiato idea?» chiese, confuso e al contempo impaurito dalla sua reazione.

«Non possiamo fare finta di nulla.»

«Giovanni ha accennato al fatto che tu sia preoccupata per il nipote del conte: è solo scomparso... Perché mai dovrebbero essere coinvolti tuo marito e tuo fratello?»

«Io so che è così!»

Le poggiò le mani sulle spalle e si abbassò per guardarla in viso.

«Se così dovesse essere, allora saremo ancor più fortunati: la confusione sarà tale che nessuno baderà alla tua scomparsa.»

Ester scrollò il capo con forza e lo afferrò per le braccia.

«Non vuoi capire, allora!»

«Vedo solo che, probabilmente, preferisci rimanere con Ansgar.»

Il giovane aveva aperto bocca prima di riflettere ma, ora, le sue parole non gli sembrarono tanto assurde. Non sarebbe stata la prima donna innamorata del proprio aguzzino. 
No, non poteva essere così, la conosceva troppo bene. 
Forse aveva solo capito che scappare avrebbe comportato un alto rischio e un destino da fuggitivi: una nuova identità, una nuova lingua, un mondo sconosciuto. L'idea che, con nomi e cognomi nuovi di pacca avrebbero potuto sposarsi, lo fece sorridere. Ma, poi, quanto sarebbe durata la loro felicità? Avrebbero comunque saputo di essere bigami: a lui non sarebbe importato nulla di sua moglie visto che non l'aveva mai nemmeno baciata e non la considerava tale, ma Ester? Lei aveva condiviso il letto col tedesco... e l'unione carnale era capace di unire due persone nel profondo. Poteva forse biasimarla se si fosse sentita sua moglie a tutti gli effetti?

«Se hai cambiato idea, basta che tu me lo dica e troveremo una soluzione...»

«Cambiare idea? Mai!» Gli strinse le braccia ancor più forte e iniziò a piangere. «Non posso però iniziare una nuova vita assieme a te in questo modo. Per mesi ho maledetto tutti coloro che avrebbero potuto impedire ad Ansgar di violentarmi ma non hanno alzato un dito e, ora, io stessa non posso macchiarmi dello stesso peccato. Io sono lui: conosco la paura, la speranza, la disillusione che sta vivendo in questo momento perché ci sono passata prima di lui.»

Fernando non aveva considerato il suo punto di vista e sentì acuire il rimorso per non averla potuta aiutare in passato.

«Come posso fare ammenda per non averti salvato?»

Ester tirò su col naso e lo guardò.

«Fare a lui ciò che avresti fatto a me... e voglio che Ignazio e Ansgar paghino per tutto il male commesso.»

«Poi potrai perdonarmi?»

Lei lo strinse a sé, confortandolo e ninnandolo.

«Non ti devo perdonare nulla: tu eri dall'altra parte del mondo a combattere la tua battaglia contro la scelleratezza della nostra famiglia.»

«Se solo...» 

Gli appoggiò la mano sulla bocca.

«Non possiamo cambiare ciò che è stato, ma ho la sensazione che, impedendo la morte di Pietro, mi sentirò come se mi avessero salvata.»

Lui le baciò le dita sottili e assentì. «Sai che potremo morire?»

«Saresti capace di vivere in pace sapendo che avresti potuto aiutare qualcuno e non l'hai fatto?»

Fernando chiuse gli occhi e maledisse il buon cuore di suo cugina. Poi, però, ritorno colla mente alla prima notte nella casa di suo zio: Ester bambina non aveva voltato il viso dall'altra parte, ma era andata in suo soccorso donandogli una nuova vita. Che differenza col suo comportamento! Lui, alla prima difficoltà, l'aveva abbandonata e, per giunta, dopo averle promesso che le sarebbe stato accanto per sempre e che l'avrebbe sposata.

In quel momento sentì il cuore allargarsi ancor di più, una sensazione totalizzanti di stasi che gli rammentò quella provata in punto di morte. Non respirava, il cuore bloccato nel petto, il corpo  teso allo spasmo. Amava quella donna come non pensava nemmeno fosse possibile amare.

Sapeva che era giusto esaudire quel desiderio di giustizia, fuggire dall'indifferenza in cui tutti sembravano immersi, ma era consapevole che loro due (tre se si contava Giovanni) difficilmente avrebbero potuto contrastare la follia di chi aveva perso ogni inibizione e aveva iniziato a uccidere per divertimento. 
Toccò la tasca interna della giacca domandandosi se anche lui avrebbe potuto arrivare a tanto pur di salvare Ester e la risposta non lo sorprese. Si sarebbe dannato l'anima per lei, avrebbe rinunciato a tutto pur di renderla felice.
Era così immerso in quel pensiero che si accorse a malapena che Ester lo stava guardando con aria interrogativa.

«Non è giusto da parte mia chiederti di salvare uno sconosciuto: questa è una mia lotta e...»

Fernando ritornò con la mente al presente, allargò le braccia e la strinse nuovamente a sé, baciandole la fronte e rimanendo a lungo con le labbra appoggiate. «Questa è la nostra battaglia. Tutto ciò che riguarda te, riguarda anche me, fino al mio ultimo respiro.»

«Io sento di dover riportare a casa Pietro, soprattutto per me stessa.»

«In che senso?»

«Lo so che non potrò più essere pura, ma se lo salverò, l'onta che...»

Fernando la strinse ancor più forte al suo petto, per farle sentire il contrasto tra la morbidezza del suo corpo avvolto dal bellissimo vestito da sera e la durezza pulsante che premeva contro di lei.

«Ester, continui a parlarne, ma la purezza non esiste! Nessun essere umano è veramente puro e, al contempo, lo siamo tutti.»

Lei lo allontanò premendo sulle sue spalle.

«Non capisci, tu non puoi volere me, per come sono adesso!»

Fernando scrollò la testa all'idea che Ester si ostinasse a ragionare invece di sentire, così lui premette la mano sul suo bacino e l'avvicinò ancor di più.

«Se questo non lo chiami desiderio, allora...»

«Ma io...»

«Tu non puoi dirmi chi o cosa desiderare.» Ester scrollò la testa. «Potrebbero rimanerci solo poche ore di vita: vorresti veramente trascorrere questi momenti parlando di tutto il male che ci hanno fatto?»

A quelle parole lei sembrò rilassarsi tra le sue braccia.

«Pensi che moriremo?»

«Non lo so» rispose Fernando chiudendo gli occhi perché gli erano diventati lucidi e si intenerì quando avvertì Ester strofinare il naso sul suo petto per respirare il suo odore.

«Ti ricordi il giorno in cui mio padre ci sorprese a letto assieme?»

«Il momento che ho rivissuto nella memoria centinaia di volte?»

Ester gli baciò la clavicola e sollevò le mani a sbottonargli la camicia, un bottone alla volta, con estrema lentezza. Gliela tirò fuori dai pantaloni e l'aprì completamente lasciandogli il petto scoperto. Coi polpastrelli freddi seguì l'intrico dei tatuaggi e, quando strofinò i capezzoli, sentì che si indurivano come minuscole perline.

A Fernando si annebbiò la vista tanto il sangue gli affluì al pube.

La fuga, il rapimento di Pietro, le azioni scellerate dei due assassini... Si ripetè che non avrebbe dovuto perdere di vista l'obiettivo, ma il suo sesso, duro e pulsante, reclamava un'unica cosa.

La musica si era interrotta, per riprendere subito con un valzer, tenendo il tempo alle dita di Ester che sembravano danzare fino a quando, tutto d'un tratto, smisero di farlo e scivolarono via da lui.

«Non smettere di toccarmi» le ordinò con un tono più perentorio di quanto avrebbe voluto.

«Sembrava non piacerti.»

Fernando le prese la mano appoggiandosela nuovamente al petto e poi la guidò verso il basso. Alla cintura dei pantaloni, però, si fermò per decifrare l'espressione della cugina. L'ultima cosa che desiderava, infatti, era farle rivivere la violenza, farla sentire costretta in qualche modo. La desiderava così tanto da provare dolore, ma avrebbe sopportato di peggio pur di non arrecarle ulteriore sofferenze.

Ester aveva le pupille dilatate e le labbra schiuse in un sensuale invito. Senza che lui facesse nulla, sentì le loro mani unite muoversi fino a incontrare la sua erezione coperta dal tessuto morbido dei pantaloni.

Fernando ebbe la duplice sensazione di sollievo e di tortura. Cercando di trattenere un mugolio abbandonò la testa all'indietro mentre tentò di allontanare la mano della ragazza, timoroso di superare ancor di più il limite che gli avrebbe fatto del tutto perdere la ragione.

La fuga, il rapimento, i due assassini... Era questo a cui doveva pensare ma la realtà dei fatti gli sembrava sbiadita a confronto dell'esigenza istintiva di unirsi alla sua Ester.
La musica distante, il fuoco ardente nella camera di zia Imelda, il cuore che batteva forte nel petto, il caldo intenso alle pelvi.

Non ebbe modo di prendere nemmeno un profondo respiro, che avvertì la cintura allentarsi e la patta aprirsi. Dopo un attimo sentì l'aria fresca sulla punta umida, la tensione degli indumenti allentarsi e una stretta delicata ma decisa alla base del sesso. Con un singulto sgranò gli occhi e la guardò.

«Ti ho fatto male?»

Male? Fernando non seppe se imprecare o ridere. Nonostante tutto, sua cugina rimaneva l'emblema dell'ingenuità. Certo, non era più ingenua come quando si era convinto di aver perso la sua verginità sul pavimento, ora era una donna sposata... Si obbligò a bandire dai pensieri che fosse legata ad Ansgar: in quel momento voleva solo annegare in lei fino a morire di piacere.

«L'unico male che sento è il rimpianto di non aver fatto all'amore con te quel mattino.»

Ester gli sorrise e fece scivolare la mano sulla sua lunghezza fino all'apice, di nuovo verso il basso per esporre il glande grosso e caldo. Lo impugnò al di sotto, lasciando il pollice a esplorare la pelle serica, delineandone la forma affusolata con piccoli cerchi.

«Sono tuo, Ester. Sono sempre stato tuo.»

«Non ricordo nulla della mia vita prima di conoscerti, forse perché sono nata per stare con te. Se questa dovesse essere la nostra unica notte, vorrei che ci appartenessimo anche col corpo perché la nostra anima è sempre stata una sola e sempre lo sarà.»

Per la seconda volta, quella sera, Fernando avvertì una dicotomia: era possibile che gli venisse da piangere per la paura di perdere tutto e che volesse scoppiare a ridere per la felicità?

Questa sarà solo la prima di numerose altre notti.

Il loro bacio sigillò quella promessa che entrambi pensarono, ma che nessuno dei due ebbe il coraggio di dire a voce alta. 

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