XLIII atto
La luce proveniente dal palcoscenico era riflessa dagli stucchi dorati che adornavano le file di palchi disposte a ferro di cavallo attorno alla platea del teatro San Carlo di Napoli conferendo all'opera, la Lucia di Lammermoor di Gaetano Donizetti, una nota ancor più tragica.
Il teatro più antico d'Italia, un'opera monumentale che celebrava la cultura partenopea dal 1737, non poteva lasciare indifferente per via dei ricchi ornati d'oro e del rosso cremisi di velluti e tappezzerie, colori che emergevano per contrasto dal beige pallido della costruzione lignea. Il profumo era una miscellanea curiosa di cedro e di rosa unito a quello delle note costose delle dame elegantemente vestite e dei dolci che venivano serviti nei palchi nobiliari.
Ed era proprio in uno di questi che si trovava Ester, il 22 dicembre del 1933.
Sedeva in compagnia della madre e del conte Alessandro M, che aveva offerto per la serata il proprio palco privato, appartenente alla famiglia M da quasi un secolo.
Il conte aveva iniziato ad accompagnare assiduamente sua madre oramai da quasi un mese e la sensazione di essere lei la chaperon non faceva che acuire il disagio della serata. Avrebbe voluto godere a pieno della musica e dell'interpretazione, ma il pensiero che suo marito e suo fratello fossero impegnati in una cena d'affari le procurava una morsa allo stomaco che la faceva sentire debole e poco propensa alla compagnia.
Nonostante il cielo minacciasse neve, la temperatura all'interno del teatro era piacevole tanto che molte donne ostentavano vestiti di alta moda che lasciavano le spalle scoperte. Ester, a braccia incrociate e inelegantemente curva sulla poltroncina, desiderava aver indossato addirittura più strati di stoffa non solo per sottrarsi alle occhiate intense che il conte le riservava quando sua madre guardava attraverso il binocolo di madreperla, ma anche per via dei brividi che stentava a tenere sotto controllo.
Pur essendole seduto alle spalle, lei avvertiva ugualmente lo sguardo del conte sul collo, sulle mani, sulle guance e soprattutto sul seno.
Lo aveva sorpreso già due volte a studiare il rigonfiamento della camicetta di seta blu China: la stoffa consistente sembrava richiamare il desiderio per via dei chiaroscuri che si disegnavano nella luce soffusa.
Il conte M era così abile nel non destare sospetti che la ragazza si chiedeva se quelle attenzioni fossero vere o solo frutto della sua fantasia.
O pazzia.
In quell'ultimo anno, quante volte aveva visto cose che non esistevano?
Ester non capiva perché sua madre continuasse a dare corda a quell'uomo. Perché era nobile? O forse centrava col fatto che suo nonno fosse in affari con lui?
Se si dava retta alle chiacchiere di paese, il conte era rimasto orfano dopo che suo padre, che aveva dimostrato un'inclinazione naturale alle donne e al vino piuttosto che al decoro, era stato ritrovato morto annegato nel golfo dopo tre giorni in cui avevano rivoltato tutta Napoli. Il giovanissimo erede al titolo, di appena dodici anni, aveva voluto ugualmente vedere il cadavere e, sempre secondo le chiacchiere, non aveva battuto ciglio davanti alla macabra vista.
Sua madre, ancora di bella presenza, si risposò col conte S, vedovo con tre figli. Questi, comunque, prese a benvolere il figliastro come se fosse frutto dei suoi lombi e lo fece studiare assieme ai suoi coi migliori precettori. Quando compì venticinque anni, gli trovò una moglie americana che, pur senza titolo, aveva il vantaggio di essere l'unica figlia del Re della gomma.
Il conte Alessandro lavorò bene col suocero, dividendosi tra America e Italia, e, grazie agli investimenti in campo chimico, fece fiorire ulteriormente l'azienda traghettandola nella nascente industria delle materie plastiche.
Infine il conte era rimasto vedovo dieci anni prima, con un figlio maggiore di Imelda di cinque anni, e si diceva che ora fosse alla ricerca di una nuova moglie.
Non solo non circolavano pettegolezzi sul suo conto, ma veniva addirittura tratteggiato come uomo integerrimo e buon esempio da perseguire. Ovviamente era uno dei maggiori sostenitori del Duce e le voci dicevano che si frequentassero regolarmente.
Ester si domandò ancora una volta se si stesse solo immaginando le attenzioni del conte.
Gli occhi del nobile non erano gli unici che sentiva addosso, poteva enumerare anche quelli di tutti gli appartenenti alla cerchia ristretta del loro ospite e quelli di un paio di sgherri vestiti di nero che sembravano lì per controllare che tutto si svolgesse come avrebbe dovuto e non per assistere all'opera.
Scrollò la testa, forse stava impazzendo, proprio come la protagonista dell'opera. Si sentiva osservata persino dai putti e dagli angioletti dei bassorilievi ed era impossibile perché inanimati... eppure...eppure... Potevano essere veri bambini dipinti d'oro e attaccati al soffitto con un sistema di funi e carrucole? Respirò a fondo, come potevano venirle in mente certe assurdità? Spostò gli occhi dal palcoscenico e guardò in platea col binocolo, senza riuscire a distinguere nessuno di sua conoscenza, del resto non aveva mai avuto molte relazioni sociali.
Le sue amicizie si erano limitate a... Non doveva pensare a Fernando, non in quel frangente, quando anche la trama dell'opera sembrava aver preso a prestito la loro storia d'amore.
Grazie allo specchio presente in ogni palco, guardò in direzione di quello reale e vide gli angeli che sostenevano la corona sbattere le ali per riuscire a rimanere sospesi.
Non poteva essere vero e, di fatto, non lo era. Anche se aveva interrotto gli studi, lei rimaneva comunque una donna di scienza.
Il qualcosa che non andava era nella sua testa e tacere l'avrebbe messa al riparo da un futuro assai più triste. Se non fosse riuscita a dare un figlio a suo marito, chi le avrebbe garantito che non l'avrebbe fatta internare in manicomio? Chi l'avrebbe protetta? Il suo amato nonnino o la sua premurosissima madre?
Il conte si era forse chinato verso di lei per farle una domanda? Immersa com'era in quei pensieri angoscianti, si era resa conto solo di parole che non sembravano centrare alcunché col libretto d'opera.
«Come avete detto, prego?»
Quando qualcosa di umido le sfiorò la nuca scoperta, trattenne il fiato convinta che l'avrebbe avvertita di nuovo, invece nulla.
«Vostro marito era impegnato stasera?»
«Una cena d'affari assieme a mio fratello, Vostra Eccellenza.»
«Persino il 22 dicembre? Vostro marito non vi starà trascurando così presto?», si arrestò per un momento e poi si spostò verso Imelda. «Cosa ne pensate, mia cara?»
Ester dovette trattenersi dal mostrare sorpresa nel sentire un uomo appellare sua madre come aveva sentito fare unicamente dal padre. Non fece in tempo a pensare che forse il nobile si era spinto troppo oltre, quando intravide con la coda dell'occhio il rossore farsi strada sulle guance della donna.
«Non è così che volevo dirtelo, ma Sua Eccellenza, Alessandro, è impaziente che anche tu lo sappia.»
La ragazza capì che, probabilmente, la notizia era già nota a suo fratello e a suo marito. Come sempre, era l'ultima a venire a conoscenza delle cose importanti.
«Mi ha chiesto di diventare sua moglie.»
Ester avvertì la bocca asciutta mentre i pensieri si affastellavano uno dietro l'altro.
Di' qualcosa, diceva una vocina dentro di lei, ma le frasi di circostanza le apparivano una prova ulteriore dell'ipocrisia a cui sembrava essersi votata in quei mesi e tutto ciò che avrebbe desiderato esprimere con onestà rimase confinato in gola tanto che trovò difficile persino respirare.
Aveva gli occhi di tutti addosso. I volti, nella penombra, le sembrarono ancor più severi, sui loro ghigni vedeva impressa la condanna per la donna che era diventata.
Vi porgo le mie congratulazioni, sarebbe bastato dire così e poi avrebbero potuto stare in silenzio fino all'intervallo.
Ebbe l'impressione che cantanti e musicisti interrompessero la lirica per fissarla assieme alle centinaia di ospiti del teatro. Tutto quanto iniziò vorticare come quando suo padre la portava sulle giostrine, ancor prima che Fernando andasse a vivere da lei.
Mentre la realtà si spegneva, le sembrò di scorgere un bambino a testa bassa, sporco e malnutrito, allungare la mano nella sua direzione. Non c'era bisogno di vederlo in volto per sapere che nascondeva iridi dal colore contrastante. Se avesse potuto rivedere Fernando un'ultima volta!
Non riuscì muoversi, tutto era denso come negli incubi.
Due sedie si mossero, un po' d'acqua le venne spruzzata sulle guance bollenti, dita fresche le slacciarono un bottone della camicetta.
«Per l'amor di Dio... Proprio stasera... Interessante... La serata... Per colpa tua...»
Cosa stava farneticando sua madre? E suo padre, dov'era? Perché non diceva nulla?
Un odore pungente di ammoniaca le fece sgranare gli occhi e respirare a fondo.
«Ester, contegno!»
Sua madre le sventolò la boccetta ancora una volta e lei spostò il viso di lato.
«Sto bene. Dev'essere il caldo»
«Bevi, per l'amor di Dio».
Si portò alle labbra il bicchiere che sua madre le aveva malamente messo in mano e sorseggiò l'acqua zuccherata.
«State meglio?»
Si voltò e il conte le sorrise. Aveva il viso perfettamente rasato, i capelli bianchi tirati indietro gli regalavano più anni della sua età e le labbra avevano un qualcosa di femminile forse per via dell'arco di cupido perfettamente delineato. Intravide la punta della lingua inumidire il labbro inferiore mentre le narici del naso sottile e adunco si dilatarono impercettibilmente.
«Ve la sentite di rimanere fino alla fine?», le domandò con gentilezza mentre faceva scivolare lo sguardo sulla gola lasciata scoperta a causa del bottoncino slacciato. La mano di Ester si mosse rapida verso l'alto, ma lui la bloccò toccandola appena con la punta delle dita.
«Qui siete al sicuro e nessuno giudicherà quella piccola ineleganza.»
Ester rimise la mano in grembo stringendola forte attorno al bicchiere.
«Preferisco attendere la fine dello spettacolo per andare a casa.»
L'uomo le fece un cenno col capo e tornò a guardare il palcoscenico.
Imelda non aveva aperto bocca, ma era visibilmente contrariata tanto che le strinse la mano con troppa enfasi mentre fingeva di interessarsi alla musica.
Alla fine della prima parte vennero portati babà, sfogliatelle, frutta fresca e spumante e le luci si riaccesero. Sua madre la fissò con un sorriso gelido, in attesa che lei si comportasse a modo dopo aver sentito l'annuncio del suo fidanzamento.
«Prima non ho fatto in tempo a congratularmi» abbozzò Ester abbassando il viso.
L'uomo appoggiò le mani grandi e nodose sulle sue e le strinse con fare paterno. Forse aveva solo sognato le sue attenzioni: era diventata maliziosa oltre che ipocrita?
«Grazie, renderò Imelda una donna di nuovo felice.»
L'accenno al passato assieme a suo padre la sorprese, di certo l'uomo non usava giri di parole.
Qualcuno bussò e aprì la porta del palco senza attendere il permesso.
Era Rodolfo, il figlio di primo letto del conte, un uomo distinto dallo sguardo rapace.
«Il conte S vi ha invitati per un brindisi in vostro onore, nel suo palco.»
L'attuale conte S era il fratellastro del loro ospite ed era impossibile rifiutare quella gentilezza.
«Forse è il caso che tu rimanga qui», le sussurrò la madre togliendola dall'imbarazzo di rifiutare.
Quando Ester fu sola, tirò un respiro di sollievo. Dalla sala le giungeva il chiacchiericcio concitato degli avventori che le teneva compagnia col caotico rumore di sottofondo che si ritrova al mercato, un ronzio che sembrava attutire la sensazione di avere la testa pesante.
Chiuse gli occhi cercando di escludere i pensieri riguardo al fidanzamento di sua madre e al proprio sentire, un attimo aveva così caldo da doversi sventolare col programma e quello dopo così freddo da non riuscire a fermare il battere dei denti tra loro.
Avvertì le palpebre abbassarsi, non se ne curò, e una leggera brezza rinfrescarle la fronte, quasi fosse di nuovo in riva al mare ad Amalfi, prima che suo padre morisse e l'orrore diventasse il suo quotidiano.
Stava sognando, di sicuro era così, le dita dei piedi erano libere dalle scarpe e l'aria era impregnata del profumo dei limoni.
Avvertì una presenza alle spalle, questa volta non era inquietante come quella del conte o di suo marito, ma era calda e fragrante come un ricordo antico. L'odore di spezie era appena percettibile mentre la nota predominante era indescrivibile. Ebbe l'acquolina in bocca e sentì rizzare i capelli della nuca. Quello odore era antico, ignoto e allo stesso tempo familiare.
Sognava e sapeva di stare sognando. Per quello che non si mosse e continuò respirare piano, timorosa che tutto potesse svanire.
Sentì un tocco sulla spalla, una carezza lievissima fino alla nuca attraverso il tessuto della camicetta. Quella sensazione spazzò via quella orribile di prima e cercò di godere di quel tocco... Da quando qualcuno non la sfiorava così? La sua anima pregò addirittura di morire in quel momento pur di non svegliarsi.
Le dita si intrufolarono nell'acconciatura per toccarle la cute in un dolce massaggio. Una forcina cadde in mare, seguita da una seconda e a lei venne da ridere. Il suono delle forcine che entravano nell'acqua aveva qualcosa di bambinesco, quel pluf le ricordava un gioco anche se non avrebbe saputo dire quale. Il profumo si acuì e lei lo inspirò a fondo, disperata dal desiderio di volerlo intrappolare nelle narici.
Una ciocca di capelli le cadde sulla spalla, ne avvertì la pesantezza attraverso la seta, poi le dita magiche la spostarono dietro l'orecchio sinistro con un gesto premuroso. Pochi attimi dopo, in quel medesimo punto della spalla, avvertì un calore morbido e umido. Come prima aveva benedetto la camicetta di seta pesante, ora ne malediceva lo spessore.
Stava sicuramente sognando: in riva al mare, nel pieno del tripudio estivo, era vestita come in inverno. Si diede della sciocca: perché aveva indossato la seta quando il sole era così forte?
Perché non mi hai aspettato?
Dio, non di nuovo! Non poteva cedere ulteriormente all'illusione di parlare con lui e di sentirlo ovunque!
Doveva stare calma, quello era solo un sogno e i sogni erano consentiti mentre le allucinazioni no. Si sforzò di rispondere. La voce uscì flebile e triste, lei non la riconobbe neppure.
Non sono morto. Sono tornato dall'inferno per te. E tu ti sei sposata... Perché non mi hai aspettato?
Era un sogno troppo doloroso.
Io vivo l'inferno, avrebbe voluto rispondere.
Non piangere. Dimmi solo se vuoi vivere con Ansgar e io scomparirò per sempre.
Ester respirò per calmare il battito del proprio cuore. La testa e il corpo erano bollenti, c'era troppo sole!
Sotto la quercia... Sotto la nostra quercia, si sentì biascicare.
Ancora una volta la brezza le rinfrescò il viso.
«Ester, stai bene? Alessandro, credo che mia figlia abbia la febbre...»
Ester si mosse sulla sedia e il bicchiere che aveva in grembo cadde rompendosi. Il rumore improvviso le fece riaprire gli occhi.
Il mare si trasformò istantaneamente nello sfondo cremisi e oro del teatro San Carlo, mentre il profumo impiegò più tempo a svanire.
«Credo di essermi addormentata.»
Si mise una mano sulla fronte, scottava, e si guardò allo specchio.
La sua elaborata acconciatura era stata sciolta, i capelli erano in disordine a eccezione di una ciocca, ben riposta dietro l'orecchio.
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