XIX atto

Quando Fernando trovò Ester in giardino, seduta sulla panchina più lontana dalla casa, rimase sorpreso dalla sua reazione o, meglio, dalla sua apparente calma. 

L'unico indizio del suo squilibrio interiore era visibile nelle nocche sbiancate dallo stringere la stoffa della gonna, per il resto sembrava la solita Ester, anche se il sottile rivolo di sangue che scivolava lungo la mandibola tingendola di rosso e finiva il suo percorso sul vestito dopo un salto le conferiva un'aria da martire. 
Il suo sguardo si perdeva nella luce gialla del mattino, un colore tanto intenso da contrastare con quanto era appena accaduto, facendo risaltare la crudezza di una realtà che nessuno dei due giovani era sicuro di saper affrontare.

Fernando si sentì di nuovo il ragazzino a cui era stato appena comunicato il decesso dei genitori, quella sensazione di dover fare qualcosa senza sapere esattamente cosa gli impediva di ragionare con freddezza e sfruttare le sue doti intellettive. E se avesse perso anche lei così come era accaduto per i suoi fratelli? Era innegabile che nello smarrire le proprie radici, aveva ricevuto in dono il conoscere Ester, ma l'idea di non poterle più stare accanto gli annebbiò la vista. Non sarebbe stata la stessa cosa, non solo perché non aveva più dieci anni e, a quella età, aveva dovuto per forza soggiacere ad altre persone, ma soprattutto perché, da uomo,  non aveva alcuna intenzione di rimanere a guardare. 

Nel vedere i capelli dorati della ragazza splendere al sole sentì che lei sarebbe stata l'unica e sola che l'avrebbe fatto sentire sé stesso e completo. 

Si avvicinò cercando di fare il meno rumore possibile per non spaventarla, ma lei si voltò subito sgranando gli occhi pervinca che, non appena lo riconobbero, si colmarono di lacrime. 

Scattò in piedi per volare tra le sue braccia e piangere sul suo petto. Lui la strinse appoggiando le labbra sulla sommità della testa in un bacio infinito. Inspirò il suo profumo sorprendendosi di quanto quella nota floreale gli pizzicasse gli occhi, umidi a loro volta.

Gli sembrava impossibile che si perdessero, ma quante volte era già successo che due amanti non riuscissero a stare assieme? Interessi trasversali, piccole incomprensioni, impossibilità di essere nel luogo giusto al momento giusto, bastava un niente per vedere svanire l'occasione di trascorrere la vita con una persona con cui ci si sentiva completi. 

Gli venne in mente il finale di Romeo e Giulietta di William Shakespeare: la mancanza di sincronismo con cui Romeo aveva sorbito il veleno mentre Giulietta si era svegliata dal suo sonno di morte non l'aveva mai digerita. Romeo era stato precipitoso, Giulietta troppo ingenua? Oppure l'astio covato dalle due famiglie aveva gettato su di loro una maledizione più potente del loro amore? Avrebbero potuto Ignazio e Imelda contrastarli tanto da gettare sul loro futuro un maleficio?

Si sorprese dai suoi stessi pensieri: un uomo pragmatico come lui aver timore delle superstizioni... 
Era vero che l'amore riuscisse a vincere ogni cosa, persino la morte? E se fosse stato una favola anch'esso?

Non poteva affidare la felicità sua e di Ester al caso, alle velleità dei parenti, alla Storia: avrebbe dovuto pensare lui stesso a come realizzare l'impossibile. E, contrariamente a quanto le aveva detto quella mattina, non c'era tempo da perdere. Non avrebbero potuto aspettare anni: nonno Ignazio non aveva nessuna intenzione di lasciar far scegliere a Ester il proprio compagno di vita, né era intenzionato a farle realizzare il sogno di studiare chimica. Ci avrebbe pensato lui a impedire a chiunque di tarparle le ali. 

Ester si discostò e guardò la camicia del giovane: sembrava la sindone tanto era visibile il proprio profilo rosso dell'orecchio e della mascella. Cercò di pulire con le dita, peggiorando la situazione e, proprio nel vedere ciò, strofinando ancor più febbrilmente come se fosse la cosa più importante del mondo, ma lui la bloccò afferrandole la mano con le proprie.

«Lascia stare, Ester.»

«Mi dispiace» disse con un sussurrò, senza alzare lo sguardo. Fernando si abbassò per guardarla negli occhi e le sorrise.

«Ti fa male l'orecchio?»

«Perché mi ha picchiato il nonno?»

La voce divenne ancor più flebile e quel tono addolorò il giovane ancor più di quanto pensasse possibile. Per lui, Ester era la creatura più amabile e buona del mondo e si chiedeva come fosse possibile che una persona come Ignazio, che l'aveva sempre portata in palmo di mano, potesse arrivare a tanto e a darle, non tanto uno schiaffo simbolico, ma addirittura una percossa in grado di romperle il timpano. Prese il fazzoletto e le tamponò il sangue che si era ormai fermato, facendo attenzione a non premere dove la pelle sembrava gonfia e arrossata. 

«Ester, dopo ti porto dal dottore, ma prima devi ascoltarmi con attenzione e promettere di pensare alla mia proposta.»

Lei lo fissò, sorpresa e allarmata.

«Tuo nonno vuole fidanzarti con Ansgar e conosciamo quanto possa essere caparbio.»

La ragazza si strinse nelle spalle, le tremarono le mani e aprì la bocca, ma inizialmente non riuscì a dire nulla. Dovette fare due profondi respiri prima di riuscirci.

«Aiutami, ti prego. Non voglio diventare sua moglie.»

Era così agitata che l'abbracciò di nuovo per calmarla e lei riappoggiò il volto al suo petto.

«Per questo ti chiedo di ascoltarmi, perché non permetterò a nessuno di costringerti a fare una cosa che non desideri... Non devi pensare che la mia proposta voglia essere un'imposizione.»
Giurò sull'amore dei suoi genitori che avrebbe fatto qualsiasi cosa per tenere fede alla parola data e pregò di avere sempre la forza per farlo.
«Ester, stamane ti ho detto che avremmo dovuto attendere: pensavo che sarebbe stato possibile aspettare che mi laureassi e, magari, che iniziassi anche tu l'università, ma questi progetti, al momento, non possono più essere la nostra priorità. Non c'è più tempo...»

Ester si irrigidì e si staccò da lui, alzando il mento. Anche in quel momento, tumefatta e sporca di sangue, era incantevole, fiera, l'unica donna che mai avrebbe amato.

«Non c'è più tempo per noi? Mi stai dicendo che non possiamo stare assieme?»

Fece per sciogliersi dall'abbraccio, ma lui la fermò. 

«Hai capito esattamente il contrario. Se mi accetti come tuo sposo, chiederò a tuo padre di dare il suo benestare oggi stesso.»

Ester sgranò gli occhi e un mormorio le uscì dalle labbra. Lo guardava, forse per capire se stesse scherzando o avesse inteso male, ma la verità si fece strada nel suo cuore e un sorriso genuino le piegò le labbra. Ancora incapace di credere che lui le avesse chiesto di sposarla, il desiderio più grande e segreto che conservava nel cuore da anni, cercò di respirare a fondo e abbassò il viso a guardare le mani intrecciate. Era tutto vero.

«Vuoi sposarmi?»

«Sì, Ester.»

«Lo fai per sottrarmi al matrimonio con Ansgar?»

«Anche!»

Fernando vide il sorriso impallidire e si domandò se fosse preoccupata per il suo futuro.

«Non ti preoccupare: se vorrai fare l'università, ti sosterrò. Qualunque cosa vorrai fare, sarò sempre al tuo fianco, questo indipendentemente dal fatto che tu voglia o meno diventare mia moglie.»

Ester deglutì a vuoto e il giovane pensò al peggio. Era convinto che gli saltasse al collo dalla gioia, invece era come se l'avesse schiaffeggiata a sua volta.

«Ma così, se dovessi incontrare una donna che vorrai sposare, non potrai!»

Fernando capì i suoi timori e una risata gli sgorgò spontanea dal petto quando la tensione degli attimi precedenti scemò. 
L'attirò a sé per baciarla con tutta la passione che sentiva per lei. 
Voleva sentire il suo sapore, l'umida carezza della sua lingua, respirare il suo respiro. Desiderava stringerla, sentirla ansimare, gemere, chiamarlo per nome mentre stava in lei. Ester rispondeva al bacio con la stessa sua urgenza. Non si era sbagliato, erano destinati a stare assieme e la consapevolezza di quel momento lo commosse nel profondo. Avvertiva ogni cosa di lei, il battere furioso del sangue sotto i polpastrelli appoggiati alla gola, i movimenti istintivi del bacino che cercavano un contatto più intimo, le dita strette al colletto della sua camicia.

Se zio Terenzio avesse accettato, presto sarebbero stati anche una sola carne e non solo una sola anima. 
Se non avesse accettato, l'avrebbe rapita per mettere la famiglia di fronte al fatto compiuto e l'epilogo sarebbe stato identico.

Fernando sollevò la testa suo malgrado, sarebbe andato avanti ancora per ore a baciarla senza sosta, ma cercò di calmare il sangue che aveva preso a circolare furiosamente in ogni parte del suo corpo. Quella notte, l'avrebbe tenuta ancora stretta a sé e non l'avrebbe fatta dormire per quanti baci aveva intenzione di darle. 

«Lo interpreto come un sì?» le domandò con un sorriso che birichino.

«Ma se mio padre dovesse opporsi?»

«Sei disposta a rischiare tutto?»
La ragazza si morse il labbro inferiore, ma annuì senza alcun indugio.
«In questo caso, dovremmo fuggire e tornare solo dopo aver validato il matrimonio...»

Ester si portò una mano alla bocca.

«Daremmo scandalo!»

«Lo daremmo in ogni caso. Tuo padre dovrà chiedere una dispensa perché siamo cugini di primo grado, ma non saremo né i primi né gli ultimi.»

«Sarò tua moglie?»

Lui sentì gli occhi inumidirsi di nuovo nel leggere sul suo volto il suo stesso entusiasmo.

«E io tuo marito.»

Il loro abbraccio fu carico di futuro.

«Ester, dobbiamo mostrarci forti e risoluti. È possibile che tua madre cerchi di ricattarti moralmente. Sappi che io sono e sarò sempre dalla tua parte... E che la zia ti vuole troppo bene per non perdonarti qualora dovesse giurare di non rivolgerti più la parola.»

«Potrebbe arrivare a tanto?»

Fernando pensava che sua zia fosse fin troppo prevedibile, a differenza di Ignazio. Si domandò fin dove si sarebbe spinto iI caro nonnino: questo, sì, lo preoccupava. Aveva mezzi, potere e, soprattutto, era privo di scrupoli quando si parlava d'affari. 

Fernando sperò che l'affetto per sua nipote avesse, alla fine, la meglio.




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