XII atto

Una volta arrivata in camera sua, la prima cosa che Ester fece fu prendere il vocabolario per aprirlo alla lettera C.

Poiché non era ancora entrata nell'uso la frase "è successo un casino" in voga negli anni novanta  del secolo scorso, vi erano solo tre possibili significati della parola che aveva tanto scandalizzato sua madre, due dei quali erano a lei noti:

casa signorile dei nobili,
circolo di uomini dediti a un qualche passatempo. 

Il terzo significato era più misterioso. Oltre a una ventagliata di sinonimi quali 

bordello, casa di piacere, lupanare, postribolo 

che rimandavano tautologicamente l'uno all'altro, vi era una locuzione più esplicativa: 

luogo ove si esercita la prostituzione

Il termine prostituzione, anche senza saperne il significato, la fece arrossire. 
Cercò alla lettera P e si domandò cosa volesse dire 

il fatto di prostituire, di prostituirsi, 
spec. come attività abituale e professionale 
di chi offre prestazioni intime a scopo di lucro.

Ester era diventata rossa non perché scandalizzata, ma perché l'ipotesi che sua madre le avesse raccontato una favola era sempre più plausibile. La considerava ancora una bambina, altro che discorsi da donna a donna! Si sentiva presa in giro. Era stata agghindata, messa in mostra come un bovino da vendere al mercato matrimoniale, poi lasciata alla mercé di Ansgrar che le aveva detto cose disgustose e l'aveva premuta sul suo corpo, così diverso dal suo... 

Anche suo cugino era diverso, ma non sapeva bene in cosa consistesse questa diversità nell'essere uomini o donne. 

La barba, i baffi, le mani, le spalle, il seno. Gli uomini non avevano le regole (si chiamavano così, un tempo, le mestruazioni), di questo ne era certa. Ma non sapeva perché non le avessero e poi, di sicuro, lì sotto, nelle mutande, c'era qualcosa che rigonfiava i pantaloni, come un tumore che però doveva affliggere in qualche modo tutto il genere maschile senza causarne la morte. Lo aveva notato già quando era bambina, ma ora ne era certa perché aveva dato fuggevoli occhiatine a suo cugino, specialmente quando indossava il pigiama di seta che sembrava fasciarlo... Doveva essere una differenza spaventosa proprio come la malattia, visto che nessuno ne parlava.

L'unica possibilità di capire era impossessarsi di un manuale d'anatomia. Il suo bisnonno era un medico rinomato ma, quando sua madre si era trasferita dalla Svezia, non aveva portato con sé nulla. Non che avrebbe capito qualcosa visto che i libri erano in un'altra lingua, ma almeno avrebbe visto le figure... I testi scolastici che aveva studiato non mostravano mai quella parte, chissà perché?

Al chiarore delle prime luci dell'alba, commettendo l'errore statistico di considerare come "universo di dati" il gruppo sparuto di quattro maschi giovani che conosceva, si azzardò a concludere che il 75% dei suddetti maschi giovani fosse dedito alla cocaina mentre il rimanente 25% ai casini, con quella cosa non precisata della prostituzione. 

Era normale che gli uomini si comportassero in modo così assurdo,  era stato strano che Fernando non avesse incominciato prima. A meno che questi, durante le notti trascorse fuori casa, non fosse andato in un casino invece che dalla fidanzata come riteneva facesse.

Ancora in camicia da notte, Ester si arrampicò sull'albero e raggiunse la finestra della stanza di Fernando. Era sul piede di guerra, voleva che le spiegasse cosa avesse fatto, con chi e, soprattutto, desiderava vendicarsi.

Le parve evidente che l'ingresso nell'età adulta, per un maschio, significasse l'emulazione del comportamento di Ignazio. Persino il consueto ordine della camera era stato soverchiato dall'entropia fannullona di questi, che decretava, ad esempio, la possibilità di togliere le scarpe senza disfare i lacci, abbandonandole dove capitassero. 

Ester temeva che il proprio respiro spezzato potesse svegliare il cugino togliendole l'effetto sorpresa. Nel tenersi a distanza mentre ritrovava il fiato, si avvicinò al tavolo da disegno dove i progetti del motore giacevano sotto la camicia che pareva stazzonata solo per ostentare la macchia di rossetto a mo' di medaglia al valore. 

Si fece forza e guardò Fernando, una copia perfetta del Cristo velato della Cappella di Sansevero. La vena palpitante sulla fronte, il segno più scuro sul collo girato in una posa innaturale, la requie della morte.

Pregustando lo spavento che avrebbe causato, si avvicinò quatta e gli urlò nell'orecchio un suono che avrebbe dovuto essere inquietante, ma lui mugugnò appena, girò il viso di novanta gradi e riprese a dormire.

Ester, allora, sedette sulla sponda del letto, le mani premute sulle gambe, le labbra spinte in fuori. Rimbalzò stizzita sul materasso in un crescendo armonico che spogliò il giovane fino al costato senza però riuscirne a scalfire il sonno mortale. Com'era possibile che non riuscisse a spaventarlo?

Il lenzuolo scivolò ancora, la vista delle creste iliache raggelò la ragazza.
Da quando Fernando dormiva senza pigiama?

Il ricordo delle parole di sua madre abortì la vendetta facendola scattare sull'attenti.
Lei era stata a letto con un uomo. Nudo. Le sue ginocchia non erano mai state strette tra loro.

Si diede della superficiale per non aver chiesto quanto tempo occorresse per perdere la verginità e i suoi occhi vagarono subito sul pavimento per ritrovare l'eventuale cosa smarrita. 
Se solo avesse saputo che forma avesse, ora, sarebbe stato tutto più semplice. 

La cercò nella scarpa sinistra abbandonata sul tappeto, tra le pieghe della camicia stazzonata e sotto al tavolo coperto di progetti. Sollevò il tappeto dalle frange per vedere se fosse scivolata lì. Sotto il letto trovò la scarpa destra e le calze che rivoltò, magari che avesse deciso di nascondersi, ma nulla. 

Non rimaneva che un luogo ove cercare, il più probabile del resto, proprio sotto le lenzuola.

Deglutì a vuoto nel domandarsi dove fosse finita la spavalderia di poche ore prima, ma un conto era fare ricerche su un libro e un altro era scoprire dal vivo se esistessero così tante differenze tra il corpo maschile e quello femminile. Per farsi forza si disse che avrebbe preso due piccioni con una fava e che, comunque, Fernando non l'avrebbe mai scoperta per quanto dormiva della grossa.

Si inginocchiò sul pavimento facendo attenzione a tenere le gambe vicine tra loro e gli guardò il torace. Pochi peli ricciuti gli adombravano lo sterno estendendosi ai pettorali dove tastò, con la punta dell'indice, la sommità dei capezzoli. Erano piccolissimi e scuri. 
Si scostò appena la camicia da notte in sangallo per guardare i propri. Più chiari, grossi, morbidi. 
Con le mani a coppa si strinse i seni sentendone la punta inturgidirsi attraverso la stoffa e immaginando, solo per un attimo, che non fosse sua quella stretta.

I muscoli dell'addome di Fernando si contraevano e rilassavano nell'onda del respiro, imperlati da un velo di sudore. Sfiorò titubante la superficie umida e si portò i polpastrelli alle narici per sentire l'odore. Riconobbe la nota di sandalo del sapone che sua madre si faceva mandare da Firenze e un altro odore le formicolò nel torace. Avvicinò il naso al costato dove quel profumo era più intenso. Sentì l'acquolina in bocca, come al cospetto di una sfogliatella alla ricotta, e strofinò le gambe tra loro, all'attaccatura, dove sentiva più caldo. 

Altri peli ricciuti partivano dall'ombelico per incamminarsi in processione sotto il sudario dove un rigonfiamento sbarrava la piana del bacino. Afferrò con due dita l'estremità del lenzuolo che lo copriva sotto le creste iliache  e la sollevò. Gli occhi pudichi non seguirono il movimento se non con un rapido saettare che non le consentì di vedere nulla. Deglutì e riabbassò il lenzuolo. 

Non aveva coraggio. E se quel rigonfiamento fosse brutto e spaventoso da guardare? 

Si accovacciò sui talloni con le mani in grembo. 

Forse avrebbe dovuto andarsene. 
Forse, però, non le sarebbe più capitata un'occasione simile. 

Mentre afferrava il lino con entrambe le mani, pregava che Fernando non si svegliasse e che nessuno la sorprendesse. Le guance erano tiepide, il fiato spezzato come se si fosse appena arrampicata sull'albero, il cuore batteva velocemente. 

Spalancò gli occhi, ma li richiuse in fretta e cadde all'indietro tappandosi la bocca con la mano per non urlare. 

Suo cugino aveva un serpente tra le gambe. 

Tastò con la mano sotto il letto per afferrare la scarpa che aveva visto e la sollevò su di lui per schiacciare quel rettile orribile, ma Fernando si lamentò nel sonno e si voltò su un lato scoprendosi del tutto...

Ester rimase con la scarpa a mezz'aria e la riabbassò. Non c'era nessun serpente. Una sorta di escrescenza dipartiva da un punto più folto di peli e ricadeva verso il materasso obbedendo alla forza di gravità. 

Si avvicinò un poco per guardare meglio.

Perché mai il buon Dio faceva urinare gli uomini con quella sorta di prolunga? Perché la usavano per quello, o no?
Del resto li aveva creati per primi, poi aveva capito l'errore e non lo aveva commesso nuovamente quando aveva progettato la donna. Per fortuna. 
Ora capiva perché si ubriacavano, andavano nei casini, si drogavano: quel coso doveva essere fastidioso da portarsi appresso. Ipotizzò che Dio avesse poi cercato di farsi perdonare conferendo loro più forza e caparbietà, ma non doveva esserci riuscito, infatti si arrabbiavano molto più delle donne. 

Si allungò per carezzare quella menomazione con la punta delle dita, avanti e indietro. Era liscia, setosa, persino gradevole, ma per poco non si mise a urlare quando sembrò animarsi di vita propria arcuandosi verso di lei proprio come un serpente che stesse fiutando la preda. Con le mani strette allo sterno, si voltò per vedere se suo cugino si fosse svegliato. 

Fernando aveva le palpebre sollevate, ma le iridi diverse erano ancora velate dalla presenza di Morfeo.

«Ester, sei venuta da me.»

Il bisbiglio sofferente mise in allarme la ragazza. Stava male? Superando la propria repulsione, si tirò a sedere sulla sponda del letto e gli mise la mano sulla fronte. Era leggermente sudato, ma non sembrava avere la febbre. 

Fernando allungò le braccia e l'afferrò per la vita per stenderla accanto a sé. 

Lei si lasciò guidare, incapace di formulare qualsiasi pensiero, arresa al profumo della sua pelle, al languore che avvertiva in ogni dove, alla sensazione di piacere che sentiva nel toccarlo. In quel momento non le importò di nulla.

Il giovane affondò il viso sul suo collo e la mise sotto. 

Ester lo sentiva biascicare, forse il suo nome, forse altro. 

Sentì l'escrescenza premere sul suo bacino, ma la sensazione era meno terribile di quella che si aspettasse. Qualcosa, in quel gesto, la sollecitava addirittura a spingere le pelvi verso l'alto.

Le braccia si mossero da sole a circondargli la vita per stringerlo ancora di più, sentiva l'urgenza di annullare ogni distanza, un'urgenza a cui non sapeva dare alcun nome. Dimenticandosi delle ginocchia, allargò le gambe per far scivolare il cugino tra esse e sentirlo ancor più vicino. Avrebbe voluto spogliarsi, togliere quella barriera di sangallo che le impediva di godere a pieno di quella sensazione inebriante. 

Fu a quel punto che Morfeo abbandonò l'uomo che strizzò gli occhi più volte e si sollevò sui gomiti.
«Che diamine!» 
Scosse la testa, incredulo, e si inginocchiò sul letto completamente nudo ed esposto.
«Ti ho...? Ti ho fatto male?»

Ester sentì le guance infuocarsi nel vedere la sua espressione sconvolta. Lo sguardo le scivolò sul torace fino al punto nevralgico dove la punta era rossa e pulsante.

«... e tu hai male lì?»

L'uomo sgranò gli occhi, afferrò il lenzuolo e si coprì tenendo le mani sull'inguine mentre Ester si metteva a sedere, incapace di dire altro. Non sapeva se avesse dovuto scusarsi oppure arrabbiarsi... Abbassò lo sguardo e vide che le sue ginocchia erano distanti tra loro. Per la seconda volta. Si portò la mano alla bocca dandosi della cretina e  si mise a cercare sul materasso. Sentì le lacrime bruciarle, scosse la testa, incredula di aver commesso lo stesso errore di pochi minuti prima.

«Cosa cerchi?»
Incurante delle sue parole continuò la ricerca, guardò anche sotto il cuscino, nulla. Fece per alzarsi, ma lui la bloccò con un braccio.
«Cos'hai perso?»

Lei lo fissò negli occhi, spaventata a morte.

«Ho perso la verginità.»

Statua del Cristo velato della Cappella di San Severo di Napoli

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