XI atto
Fernando era rincasato che mancavano undici minuti a mezzanotte.
Non era rientrato a tutta birra, come di consueto, ma guidando la sua Alfa Romeo con tutta la calma necessaria a un ubriaco per andare diritto e non rompere la macchina.
La birra, per accuratezza di reportage, era l'unica bevanda alcolica che non rispondeva all'appello quella sera: durante la cena, Fernando si era bevuto una bottiglia di Aglianico del 1926, due bicchieri di limoncello, uno di Amaro del Monaco Amalfitano che guarisce anche dal mal di cuore e, poi, avendo fallito quest'ultimo, mezza bottiglia di grappa di Greco di Tufo.
Aveva brindato in compagnia di don Salvatore che, al secondo bicchiere di limoncello, si trovava a essere, suo malgrado, depositario dei patemi d'animo che il giovane si teneva dentro da undici anni e che stavano trasformando la serata in un romanzetto di quelli che piacevano a Imelda. Alla centesima volta che Fernando pronunciò il nome di Ester, don Salvatore provò dapprima con l'amaro miracoloso sopra citato e, poi, col rimedio infallibile del chiodo scaccia chiodo trascinando sé stesso e il futuro socio in affari al casino che, pur non essendo paragonabile a quello di Salita Sant'Anna di Napoli, aveva un paio di ragazze molto belle, una dalla pelle color onice e dalle labbra enormi, mentre l'altra che sembrava essere albina tanto era chiara.
L'industriale, che seguiva i dettami del fascismo solo quando erano allineati al suo pensiero, si ritrovò a modificare il mito mussoliniano della virilità e della necessità assoluta di avere tassativamente due orgasmi al giorno aggiungendo che due erano meglio di una, precorrendo di una cinquantina d'anni la pubblicità del Maxibon.
Quando Fernando giunse alla casa di piacere, si rifiutò di entrare, elencando disparati motivi che andavano dall'igienico al morale, motivi che vennero smontati uno a uno in men che non si dica.
Quando salì in camera con le due ragazze, era così atterrito che rimase immobile in mezzo alla stanza e le due, che lo avevano inquadrato e avevano capito provenisse da una famiglia agiata, gli servirono la grappa di Greco di Tufo attingendo dalla bottiglia tante di quelle volte che è un miracolo che non sia finito in coma etilico.
Le professioniste ridacchiavano contente perché era passato molto tempo da quando non avevano avuto per le mani un uomo di siffatta bellezza, scherzarono sui suoi occhi diversi e lo ricoprirono di baci, spogliandolo con lentezza e guidando le mani sui loro corpi giovani e sodi.
Gli fecero scoprire i piaceri della carne in quella che fu la sua prima esperienza sessuale, cosa che, romanticamente, aveva rimandato per aspettare Ester... Ma, si sa, l'amore non navigato annega nell'etanolo.
In alcuni momenti gli sembrava di vivere nell'evanescenza del sogno, in altri nell'angoscia dell'incubo. Affondava in quei corpi, desideroso di passare oltre, di estirpare come gramigna tutti i ricordi legati alla cugina, ma più cercava di dire a sé stesso che faceva bene a essere lì con le due prostitute, più si sentiva sporco e misero.
Lui voleva Ester.
Le donne, vedendo la sua titubanza e preoccupate di non soddisfarlo, si misero d'impegno sciorinando un repertorio così vasto da far sembrare il Kamasutra un libro per poppanti.
I suoi lombi lo spingevano a fare una cosa, il cuore quella opposta, mentre il cervello intossicato dall'alcol non sapeva mediare.
Il piacere divenne così intenso da annichilire ogni sentimento. I cinque sensi, amplificati da un mix endogeno di testosterone e adrenalina, gli facevano percepire i minimi dettagli.
Il forte profumo di fiori delle due donne, la peculiare consistenza della pelle sotto i polpastrelli, il sapore di caramello della bocca di una e di grappa dell'altra, la differente stretta delle loro intimità attorno al suo membro.
I suoni rochi, gli ansiti, le parole sussurrate, le risatine, le urla di piacere si alternavano e sommavano a comporre una sinfonia cacofonica mentre il profumo di fiori veniva attenuato da quello di sudori e umori.
Il movimento via via più concitato e la spinta istintiva a raggiungere il piacere gli azzerarono ogni memoria, ma, scaricata la tensione, tutto gli ripiombò addosso con un'intensità tale da fargli credere di essere stato colpito da una freccia.
Si gettò sul letto sfatto, ancora occupato dalle professioniste, si raggomitolò in posizione fetale e pianse come una ragazzina innamorata.
All'uscita, don Salvatore gli aveva dapprima dato un paio di manate sulle spalle con fare cameratesco, dopodiché gli aveva ficcato due dita in gola per farlo vomitare e permettergli di raggiungere la lucidità necessaria per guidare verso casa.
Durante la via di ritorno dovette fermarsi una seconda volta: il profumo delle prostitute mescolato all'odore del sesso gli avevano fatto pungere la coscienza che, a quell'età, ha sede proprio nello stomaco.
Sentiva d'aver tradito Ester e, soprattutto, sé stesso.
Parcheggiò la macchina, ma non scese.
Avrebbe dato chissà cosa per riavvolgere il filo del tempo e non dover leggere lo sguardo di biasimo che gli avrebbero rivolto i suoi famigliari quando sarebbe rientrato. Avrebbe potuto arrampicarsi sull'albero e usare la finestra, magari fermandosi un attimo al secondo piano per sbirciare nella stanza di Ester e poi proseguire verso camera sua. Che idea malsana. Non riusciva nemmeno a stare seduto, se si fosse messo a giocare a Tarzan si sarebbe spaccato l'osso del collo.
L'unica sua speranza era che fossero andati tutti a dormire.
Trattenne il respiro per sentire se provenissero voci dal palazzo e, quando ebbe l'impressione di potersela cavare senza difficoltà, smontò dal veicolo e richiuse piano la portiera.
Quella era la sua prima vera sbronza e anche la sua prima...
Quando entrò nell'atrio, convinto di non vedere nessuno, fece un salto per la sorpresa.
I suoi zii e Ignazio il Capitalista parlavano concitati, ma con tono bassissimo.
La zia sventolava le mani in posizione paternoster, piangendo e squittendo come un roditore.
Terenzio era paonazzo e aveva i capelli dritti in testa mentre l'anziano sembrava l'unico a mantenere la calma anche se la profonda ruga che gli incideva lo spazio sopracciliare rivelava tutt'altro.
Tutti e tre si voltarono a fissarlo mentre lui cercava di assumere un'espressione normale, da uomo che era uscito a cena solo per parlare d'affari.
«Cristo Santo, ragazzo, sei ubriaco?»
Terenzio, per la frustrazione accumulata, sbottò in quella domanda retorica alzando il volume della voce più di quanto avrebbe voluto.
Il Capitalista gli si avvicinò, gli strinse la mano per congratularsi e si mise a ridere.
«E non sei andato solo a ubriacarti, non è così?» gli disse sottovoce con fare cospiratorio.
Imelda sgranò gli occhi, si portò entrambe le mani al viso e si limitò a oscillare il capo da una parte all'altra.
Mentre Fernando stava aprendo bocca, probabilmente per biascicare qualcosa, Ester fece il suo ingresso.
Lui vide il bel vestito verde petrolio che l'avvolgeva come una nuvola, i capelli acconciati in modo disordinato, gli occhi e il viso sporchi di nero a causa del bistro colato.
«C'era una festa di carnevale?»
La domanda cretina venne accompagnata da una risatina beota e da un movimento circolare della mano, dettagli, però, che fecero infuriare (la già messa a dura prova) Ester.
La ragazza strinse tra le mani la gonna del vestito e alzò il mento.
«Non sei venuto a cena per andare a ubriacarti?»
Parlava in modo apparentemente pacato, ma l'ira covava sotto le ceneri di ogni parola.
Visto che non rispondeva, gli si avvicinò. Le ali del naso le si mossero d'istinto, si fece ancora più prossima per captare meglio la strana fragranza di fiori mista all'acido dell'alito e a qualche altra nota dolciastra che non conosceva, poi notò alcuni segni sul collo e uno sbaffo di rossetto all'angolo della bocca.
«Puzzi in modo nauseabondo e... con chi sei andato a cena?»
Sentì suo nonno ridacchiare e pronunciare sotto voce la parola casino. Sua madre trattenne un singulto mentre suo padre allargava le braccia in un silenzioso «Non davanti a lei.»
«Non davanti a me che cosa? Che cos'è un casino?»
Imelda svenne, prontamente sorretta dal marito, mentre Ignazio si chiarì la voce più volte borbottando: «Ester, cara, sei agitata per quello che ti è successo. Vai a letto. Non c'è nulla che un buon sonno ristoratore faccia dimenticare. Vedrai, domani passerà e non penserai più alla brutta esperienza. Per fortuna tuo padre...»
«Nonno, ti prego, smettila! Non sono più una bambina...»
Fernando, alle parole del vecchio, sembrò rianimarsi.
«Ma è successo qualcosa a Ester mentre ero via per... affari?»
La ragazza si voltò di nuovo per affrontarlo.
«Sì che è successo! Mentre tu eri in quel casino a fare non so cosa con non so chi, Ansgar ha tentato di farmi del male!»
Gli occhi le si colmarono di lacrime ma, prima che potesse versarne anche solo una, scappò via lasciando ai rimorsi delle baccanali l'onore di rosicargli la coscienza.
«Come?» riuscì solo a chiedere Fernando perché la stanza iniziava a vorticare.
«Era fatto di cocaina e si è dimenticato le regole del corteggiamento» tagliò corto Ignazio, deciso a tornare a casa. Per quella sera aveva assistito a fin troppi drammi familiari.
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