VII atto

Nei mesi seguenti, Ester non  ebbe più problemi né con la matematica né con la misoginia.

Con la matematica perché venne seguita da Fernando che la portò così avanti nel programma che il professore non riuscì più metterle un voto inferiore all'otto. 

Con la misoginia del docente, beh, l'aiutò sempre il cugino: dopo il colloquio, l'insegnante non si permise più né di alzare la bacchetta né di fare allusioni alla sua intelligenza o mancanza di essa. Di contro, il professore sembrava assai interessato ai progetti del giovane e iniziò a domandare particolari a Ester di cui, però, non era a conoscenza. Arrivò addirittura a chiederle se avesse potuto vedere le carte scritte dal cugino e lei si innervosì dal tono insolitamente mellifluo dell'uomo tanto che si confidò con Fernando.

«Perché si interessa tanto ai tuoi studi?»

«Sto progettando un motore innovativo per spingere le macchine a una velocità finora impensata.»

Ester aveva piegato la testa per riflettere e Fernando si perse, per un attimo, nel chiarore dei suoi capelli accesi dalle fiamme del camino.

«E perché vorrebbe vedere i tuoi disegni?»

Il giovane aveva scrollato la testa e si era schiarito la voce. Desiderava allungare la mano per accarezzare quella massa serica, ma non poteva.

«Henry Ford, in America, ha appena messo in commercio una macchina economica. Se il mio progetto diventasse realizzabile, i costi dovrebbero non solo ridursi del 35%, ma si potrebbero creare veicoli così veloci da portare una persona da Napoli a Milano nella metà del tempo attuale. Potrei diventare il Ford italiano, capisci?»

Ester aveva battuto le mani entusiasta. 

«Pensa a quante cose belle porterebbe il tuo progetto!»

«Dimmene una che vorresti con tutta te stessa.»

«Potremmo andare a conoscere i tuoi fratelli.»

Fernando aveva sfiorato le cicatrici sottili della sua mano, trattenendosi dall'abbracciarla stretta a sé. Anche perché non erano soli, non lo erano mai. Zia Imelda li faceva studiare in biblioteca dove c'era sempre qualcuno della servitù che andava avanti e indietro. All'inizio aveva pensato fosse un caso...

Ignazio il Capitalista aveva messo in piedi una squadra di meccanici e progettisti per seguire le idee visionarie del "nipote acquisito" e aveva richiamato in Italia il "nipote vero" (con chissà quale intento) che aveva trascinato con sé un francese e un tedesco con cui si era messo in affari redditizi (stranamente redditizi vedendo i soggetti).

I tre, che effettivamente erano i rampolli di famiglie altolocate dell'Italia, della Francia e della Germania, erano considerati una trinità, non tanto perché emulavano le barzellette d'un tempo, ma perché erano tanto belli quanto dannati. 

Gilles, col suo marcato accento parigino e i riccioli scuri, era stato un poeta che annoverava nella sua produzione letteraria ben una poesia di tre versi. Per riuscire a scrivere quelle strofe aveva preso a modello les poètes maudits, infondendo il suo quoziente intellettivo in un elisir d'assenzio che gli regalò solo l'accesso alla via di psicotropi più potenti.

Ansgar era chiamato l'Arcangelo per via dei capelli e degli occhi chiarissimi: aveva un viso così rasserenante che chiunque lo vedesse si sentiva in comunione diretta con Dio. 
Non vi dico, infatti, quando lo conobbe Imelda... Ci mancò poco che andasse in estasi, si inginocchiasse e chiedesse a un pittore di ritrarlo con tutti gli optional dell'iconografia classica: ali, aureola e piccione posato sulla spalla. 
Ansgar diceva d'essere discendente diretto degli Atlantidei, dando prova di sostenere le teorie astruse appena pubblicate ne Il mito del XX secolo di quell'Alfred Rosemberg che Hitler citerà per sostenere l'aberrante teoria ariana. Per essere, appunto, all'altezza della suprema razza ariana di cui diceva di far parte, aveva sempre bisogno di un aiutino erboristico (tanto le piante non fanno mai male), ossia l'ormai noto estratto dell'Erythroxylum coca.

Sembra una barzelletta?

Ci sono un tedesco, un francese e un italiano che sono uniti dall'amore verso la cocaina. 
La possono avere a volontà poiché l'amorevole nonnino dell'italiano, Ignazio il Capitalista,  ossia il maggior importatore d'Europa dalla Colombia, gliela fa avere a prezzo vantaggioso (graniticamente convinto che alieni l'indolenza dei giovani).
Essendo ragazzi con molto fiuto - per gli affari - subodorano il grande potenziale di alcuni stimolanti ben più economici (in grado di combattere l'obesità, la congestione nasale, il raffreddore), molecole di sintesi capaci addirittura di aumentare il quoziente intellettivo

Questa, però, non è una barzelletta.

Fu quest'ultima indicazione (l'ho sottolineata così non sfugge) a convincere Ignazio il Cocainomane a proporre ai due soci di investire nell'allora mercato legale delle amfetamine: da quando il nonnino aveva preferito quell'infernale genio del cugino, aveva rosicato fin nel midollo e avrebbe venduto sua madre al demonio per avere un decimo del cervello di Fernando. 

L'idea era vendere cocaina illegalmente e amfetamine legalmente per andare incontro alle esigenze di tutti gli esseri umani, sia i più ricchi, che non sapevano come evitare la noia di non fare nulla da mane a sera, sia i più poveri, che dovevano lavorare almeno venti ore al giorno per mangiare una crosta di pane. 

Loro tre, sì, che volevano migliorare il mondo! Altro che Fernando col suo motore!

Quale migliore location della costiera amalfitana per discutere di affari? 
Non ne esiste altra... Specialmente se il palazzo liberty dove si risiede si trova a un tiro di schioppo da quello dove abita il vecchio Ignazio, l'uomo che viene ribattezzato dai tre col nome in codice La mucca da mungere nel loro progetto super segreto La stimolante mungitura.

[La cocaina fa di questi scherzi: si pensa di essere dei geni, invece si è banalmente degli imbecilli.]

Imelda diede indicazioni affinché le stanze dei due ospiti fossero sullo stesso piano di quella di Fernando, in modo da salvaguardare la reputazione di Ester e trascorrere piacevolmente l'estate. 

Ester riconobbe a mala pena il fratello dopo diversi anni. Gli sembrava una persona completamente diversa: il comportamento bizzarro, che aveva iniziato ad avere fumando la prima sigaretta di cocaina, era diventato ancor più imprevedibile ora che alternava lo sniffo alla siringa di morfina. Lo chiamava fratello, ma non sentiva di avere alcun legame di sangue con lui né di condividere quel suo stile di vita debosciato che metteva in imbarazzo tutti.

Non le piacevano nemmeno i suoi amici e cercava di rimanere in camera sua a leggere quando li sapeva in giro. Soprattuto quell'Ansgar che si comportava come se tutto gli fosse dovuto a causa della sua discendenza ariana.

Il giorno in cui il destino della famiglia mutò era un giorno qualsiasi di fine luglio, caldo e soleggiato. I tre avevano deciso di andare a fare una passeggiata sulla spiaggia privata e avevano chiesto a Fernando di tenere loro compagnia. Non perché fosse loro simpatico, anzi, ma perché, nonostante avessero provato più volte a farsi dare i soldi dalla mucca da mungere, non erano riusciti ad avere nemmeno una goccia di latte e così speravano convincere il favorito del vecchio a sostenere la loro causa. 

Imelda, ignorando le conseguenze deleterie dell'uso della cocaina, si era messa in mente di far sposare Ester ad Ansgar e pensò bene di proporre ai ragazzi di portare pure la sorella di Ignazio, che il sole e il mare le avrebbero fatto bene, che sennò stava sempre a sciuparsi la vista sui libri, che una giornata in riva al mare avrebbe donato ai suoi colori. L'aveva costretta a indossare un abito bianco che la copriva fino alle caviglie e dalla scollatura a cuore per mettere in risalto la gola candida e sottile. Le aveva fatto una treccia fissata con un enorme fiocco inamidato così rigido da sembrare di marmo.

Fernando, se prima era intenzionato a declinare l'invito, accettò subito per tenere d'occhio la cugina e, pur imprecando mentalmente contro i pregiudizi della zia che la facevano propendere verso un esaltato, si preparò ad affrontare la ripida scalinata sotto il sole cocente.

I tre, che avevano tirato da poco, scesero a rotta di collo, ma senza farsi alcun male (cosa che controprova come la fortuna assista i miserabili facendosi beffe del buonsenso). Ester impiegò più tempo per via della gonna lunga e, quando arrivò in fondo vide, che, ad attendere gli uomini, vi erano quattro ragazze in insindacabile ottima salute che andarono loro incontro camminando come se lo scopo del vivere fosse il ricreare il moto ondulatorio con le creste iliache.

Un paio di esse, non appena posarono lo sguardo su Fernando, furono sopraffatte dai feromoni, nel senso che si aggrapparono al suo braccio, una per parte, e cercarono di far breccia nel suo cuore. 

Ester si fermò per inquadrare la scena. All'inizio non aveva nemmeno capito cosa stesse succedendo, forse perché incapace di credere che Fernando si lasciasse abbindolare così facilmente.

Il mare profumato e forte, l'aria salmastra, il sole accecante.
Quattro uomini e quattro donne.
E lei. Indietro. Da sola. 

Quelle quattro non poteva chiamarle ragazze, come definiva sé stessa, perché erano belle, sicure della propria femminilità e sembravano conoscere come ci si dovesse comportare con gli esponenti dell'altro sesso. 
Lo capiva da come gli uomini reagivano ai loro movimenti, alle richieste, agli sguardi languidi. Anche Fernando. Non lo aveva mai visto ridere in quel modo... Si stava pavoneggiando? Con lei non lo aveva mai fatto. Forse perché erano vestite alla moda e non sembravano bambole dell'ottocento. Strinse la candida gonna desiderando di strapparla per renderla meno bambinesca. Anche se avevano fatto attenzione a parlare sottovoce, le erano giunti alcuni commenti sul suo abbigliamento e decise di rimanere in disparte.
Era infastidita sia dalla situazione sia da ciò che provava. 

Ansgar si staccò dal gruppo e la raggiunse, camminandole accanto. Parlava bene italiano, ma il duro accento teutonico le faceva venire i brividi. 

Le chiese cosa avesse, lei scrollò le spalle. Non aveva intenzione di dargli confidenza.

«Hai la pelle chiara. Devi stare attenta a non scottarti.»

Le aveva sfiorato l'avambraccio e lei si era ritratta innervosita ma, poi, un cambiamento nell'atteggiamento di Fernando l'aveva spinta a dargli corda. Il cugino aveva smesso di dare retta alla ricciolina con le labbra dipinte rosso fuoco e l'aveva guardata aggrottando le sopracciglia. Poi una di quelle donne aveva strofinato il seno contro il suo petto e lui glielo aveva lasciato fare. Riportò l'attenzione su Ansgar e gli sorrise cordiale. Che si infastidisse quanto lei, allora!

«Hai capelli così chiari che sembrano brillare al sole.»

«Mia nonna era svedese.»

«Bionda, occhi chiari, longilinea... Sei proprio di razza pura.»

«Non ho capito.»

Lui aveva rallentato il passo per stare indietro rispetto al gruppo. Quando giunsero a una piccola insenatura, la portò verso l'interno con la scusa di aver notato qualcosa di bello. La sabbia di ciottolini scottava, il vento era calato ed Ester iniziava ad avere sete. Senza contare che il corpino le si era attaccato al petto per via del sudore.

«Hai caldo?»

«Vorrei dell'acqua.»

Ansgar tirò fuori una fiaschetta e gliela diede.

«Bevine un goccino.»

«Cos'è?»

«Bagnati appena le labbra, senza bere, e non sentirai più sete.»

Lei prese la fiaschetta e fece quanto le aveva detto, ma si portò subito la mano alla bocca e strinse gli occhi.

«Brucia!»

L'uomo le si avvicinò. Era alto quanto Fernando, ma molto più massiccio.

«Fammi vedere... Dove senti bruciare?»

Abbassò piano il viso mentre lei sporgeva la labbra. Come se non aspettasse altro, la baciò, intrappolandola tra le braccia. 

Ester non fece nemmeno in tempo a capire cosa le stesse accadendo che sentì l'umida pressione della sua lingua... Tirò indietro la testa di scatto e spinse via l'uomo, urlando disgustata. 

Ansgar la lasciò andare e si mise a ridacchiare, scrollando la testa per compatirla, gesto che scatenò tutta la frustrazione di Ester accumulata nell'ultima mezz'ora. Col palmo aperto mirò dritta al naso che iniziò a sanguinare copiosamente, più a causa dell'abuso di cocaina che per la forza della ragazza. 

Ester corse via, verso il gruppo, inseguita dal biondo che imprecava in tedesco. Quando li vide, si affrettò ancora di più. Fernando, risvegliatosi come una bella addormentata, si scrollò di dosso le due donne e le andò incontro.

«Che ti ha fatto?» L'afferrò per le spalle e la guardò dalla testa ai piedi. «Dove ti ha ferita?»

Solo allora Ester notò che la mano e il vestito erano lordi di sangue non suo e si sentì mancare. Un forte moto di repulsione le prese lo stomaco, ma si fece coraggio e alzò la testa.

«Non sono io a essere ferita.»

Li raggiunse anche il tedesco che teneva premuto il fazzoletto sul volto e scrollava la testa da una parte all'altra.

«Ignazio, devi ordinare a tua sorella di crescere.»

Fernando l'afferrò per la camicia nonostante fosse il doppio di lui e lo scrollò con violenza. 

«Le hai messo le mani addosso?»

L'uomo rise scrollando la testa. 

«La volevo solo baciare, ma non sa nemmeno come si fa.»

Il cugino stava per tirargli un pugno, quando Ester lo fermò.

«I miei ne farebbero un affare di stato. Lascia perdere.»

L'Arcangelo fissò gli occhi diversi e piegò le labbra in un sorrisetto.

«Nessuno le ha mai detto che si bacia con la lingua? Nemmeno una persona difettosa come te?»

A quelle parole, Ester gli si scaraventò contro un'altra volta battendogli le mani sul petto.

«Schifoso pervertito!»

Stava tempestando l'uomo di pugni quando le risatine delle ragazze, di suo fratello e del francese la fermarono. Solo Fernando rimaneva impassibile.

Cos'avevano tutti da guardare? Era mai possibile che le avessero taciuto quel particolare? Aveva parlato di baci con le sue compagne, ma nessuna di loro aveva mai accennato a quella cosa orrenda con la lingua! E se fosse stato vero? Sarebbe morta dal disgusto piuttosto che farlo!

«Alla sua età avrebbe dovuto capirlo da un pezzo» squittì la ricciolina col rossetto rosso. «Guarda e impara!»

Tirò Fernando per un braccio per farlo abbassare e si avventò sulla sua bocca. Prima che il giovane reagisse, Ester si voltò e corse via. 

Il cugino si staccò la piovra da dosso per inseguire la ragazza e fermarla per un braccio.

«Voglio stare da sola.»

«Calmati, dai, non è successo nulla.»

Lei alzò lo sguardo sul suo viso e vide i segni di rossetto macchiargli le labbra.

«Pulisciti la faccia... Mi fai schifo!»

Strappò via il braccio e se ne andò, lasciandolo lì a fissarla mentre cercava di togliere i segni rossi dal volto col dorso della mano. 







Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top