VI atto

L'indomani Ester rientrò in casa di soppiatto, ma era tutta la mattina che Imelda teneva d'occhio l'ingresso, cercando di non farsi accorgere dalla servitù, e,  quando vide sua figlia, subito le andò incontro e tirò un sospiro di sollievo nel constatare che non sembrava più turbata come il giorno precedente.

«È andata bene?» 

«Ho preso un bel voto. Per fortuna hai mandato Fernando.»

La donna, seppur contenta, si domandò se non li avesse fatti riavvicinare e la possibilità di aver messo in pericolo la sua anima le fece tuffare la mano nella tasca della gonna per cercare il rosario. Avrebbe pregato affinché tutto tornasse come due giorni prima.

«Ho fatto preparare la pasta con le vongole perché sapevo che saresti tornata con una bella notizia.»

La ragazza, con ancora il cappotto addosso, sbadigliò senza coprirsi la bocca e domandò scusa per il gesto.

«Sono stanchissima... ti spiace se vado a dormire?»

La madre le face una carezza sulla testa e le diede la sua benedizione.

Quando Ester chiuse la porta alle sue spalle, le labbra persero la curva del sorriso e gli occhi diventarono liquorosi. Tirò fuori le mani da sotto la sciarpa e le osservò scrollando la testa. 

«Come farò a nasconderle?» sussurrò a sé stessa per darsi coraggio.

Cinque linee fagliavano il dorso di entrambe la mani. Prese una crema e con la punta delle dita cercò di metterne un poco sulla pelle gonfia e arrossata, ma desistette per il bruciore. Trovò delle pezze di lino e le avvolse, ma sentì ancor più male e tolse tutto.

Quanto tempo avrebbero impiegato a guarire? 
Quando sua madre aveva usato la verga su Fernando, passarono più di due settimane prima che si potessero togliere le bende. Come avrebbe potuto tenere nascosto l'accaduto ai suoi genitori per così tanto tempo? 
Senza dimenticare della lettera che il professore stesso aveva scritto per richiedere un colloquio. 
Suo padre, sua madre, suo nonno... Quanto li avrebbe delusi? Oltre a metterla in punizione a vita, avrebbero saputo che era stupida e non le avrebbero pagato gli studi.
E Fernando? Cosa avrebbe detto? Aveva addirittura rinunciato a una notte di sonno per aiutarla e lei come lo aveva ripagato?

Tremando dalla paura, si tolse i vestiti e indossò la camicia da notte. Forse, se avesse riposato un po', le sarebbe venuta in mente una soluzione. Si avvicinò al camino acceso per fugare il freddo, ma il calore del fuoco aumentò il dolore alle mani e desistette.  Si mise a letto rannicchiandosi in posizione fetale sotto le coperte, come se queste avessero potuto proteggerla dalle conseguenze di ciò che aveva fatto.

La svegliò un lieve bussare. Spalancò gli occhi, il cuore batteva a mille, era giunta la sua ora, non avrebbe potuto tacere oltre. La sera era calata, doveva aver dormito diverse ore. La porta si aprì e lei si nascose sotto le coperte fingendo di non essersi svegliata. 

Contò cinque passi. Chiunque fosse entrato era un uomo, dal rumore delle scarpe, quindi o era suo padre o Fernando. Altri due passi, più vicini al letto. Cercò di mantenere il respiro regolare, ma le venne più istintivo stare in apnea.

«So come respiri quando dormi, me lo ricordo benissimo.»

Era Fernando. Cosa poteva dirgli? Non gli aveva mai né mentito, né nascosto nulla. Lui sì, lui lo aveva fatto: non le aveva mai parlato della sua fidanzata, anzi, delle sue fidanzate perché aveva capito che ne aveva cambiate tre o quattro. 

La coperta venne levata e lei si ritrovò senza alcuna protezione. La prima cosa che si preoccupò di fare fu quella di tirare le maniche sulle mani per coprire la sua colpa. Era buio, ma sentiva i dorsi bruciare così tanto che li pensò incandescenti e visibili anche senza luce.
Quei segni, oltre a mostrargli quanto fosse inetta,  avrebbero rammentato al cugino un brutto periodo della sua vita, la morte dei suoi genitori, la diaspora dei fratelli e il benvenuto brutale nella sua famiglia. 
Con tutti i modi con cui avrebbe potuto punirla, perché il professore aveva scelto proprio la verga?

«La zia ha detto che è andata bene. Cosa ti avevo detto?» esclamò gioviale.

Sentì che si avvicinava al comodino per accendere la luce dell'abat-jour e, dopo un attimo, un click illuminò debolmente il letto. Lo vide voltarsi, il sorriso gli si smorzò all'istante quando i suoi occhi diversi analizzarono l'espressione del suo viso. Si sedette sul letto e attese che lei parlasse. 

Ester non riusciva ad aprire bocca, ogni cosa che avrebbe potuto dire sarebbe stata una menzogna. 

«Raccontami com'è andata.»

Si chiarì la voce, almeno sull'interrogazione non avrebbe dovuto mentire.

«Un esercizio richiedeva di trovare la formula di un fascio di parabole passanti per due punti e un altro il calcolo dell'area compresa tra due parabole intersecanti. Li ho fatti entrambi giusti e ho risposto correttamente anche alle domande di teoria.»

Lui distolse lo sguardo dal suo viso e guardò a terra.

«Perché sento che qualcosa è andato male?»

«Non so a cosa tu...»

«Ester, ti conosco da quando eri alta poco più di Coco...»

«Tutta l'interrogazione è andata bene. Ho  recuperato il tre. Ha detto che metterà la sufficienza in pagella.»

Lui tornò a guardarla e lei gli sorrise cercando di far arrivare il sorriso agli occhi, che era la cosa più difficile da fare per la voglia di piangere e il dolore alle mani.

«Dai, vèstiti, che t'aspettiamo per cena» disse e le posò la mano sulla sua per incoraggiarla, ma quando lei sobbalzò sul letto trattenendo un urlo, lui la tolse di scatto e si immobilizzò. 

Ester abbassò subito il viso e si portò le braccia dietro la schiena. Cosa avrebbe potuto fare? Non riusciva a respirare dal terrore, né a fare alcunché.

Fernando, rianimato, si tuffò sul fianco per guardarle dietro la schiena. La ragazza si allontanò, cercando di sottrarsi, ma lui la inseguì sul letto bloccandola per i fianchi. Sentiva il suo calore attraverso la stoffa della camiciola ed erano così vicini come non lo erano da quella notte. Con fermezza le cinse la vita per adagiarsela in grembo e le liberò le braccia. Le tirò su le maniche e le ispezionò i palmi che la ragazza aveva ben distesi e tremanti. Le afferrò i polsi e ruotò per osservarle i dorsi.

«Non guardare!»

Ester si divincolò e si alzò  per scappare, ma lui la fermò bloccandola da dietro.

«Che scene sono mai queste? Fammi subito vedere quelle mani!»

Sconfitta, si voltò tenendo le mani alzate, proprio come aveva fatto quella mattina, quando il professore aveva deciso di batterla davanti a tutte le  compagne per umiliarla. 

Il giovane abbassò lo sguardo e scosse la testa, incredulo. 

«Perché mi hai mentito?»

«Non l'ho fatto.»

«Quanto è andata male l'interrogazione?»

«Lo giuro: ho risposto a tutto alla perfezione.»

«Allora per cosa sono questi segni?»

Ester deglutì. «L'ho fatto arrabbiare. All'inizio di proposito, lo ammetto. Gli ho detto che tu mi avresti aiutato a preparare le materie per il test di ammissione all'università e che, prima o poi, sarei riuscita ad andare a studiare chimica.»

«Perché  si è arrabbiato?»

«Ha ribadito che, per le donne, studiare costa di più perché è rinomato che sia tempo perso e io gli ho risposto che i miei avrebbero comunque pagato per i miei studi.»

Si fece piccola piccola.

«Ti devo tirare fuori le parole con la pinza?»

«I tempi sono cambiati, ha urlato, e non bastano i soldi perché un asino voli. E che, comunque, i miei erano stati fortunati ad avere una figlia bella perché avrebbero anche potuto farmi sposare a un luogotenente generale perché, di sicuro, avrei messo al mondo bambini belli e sani.»

Fernando chiuse la bocca di scatto e i denti sbatterono tra loro.

«E perché ti ha colpito?»

«Quando gli ho riconsegnato il foglio di verifica, ha visto non solo che non l'avevo fatto firmare, ma che lo avevo stropicciato, secondo lui come segno di ribellione alla sua autorità... La tua ultima speranza è capirlo col corpo, così ha urlato prima di punirmi.»

Fernando rivide sé stesso stropicciare il foglio il giorno prima. Non era stata lei. L'avevano fustigata a causa sua. Allargò le braccia e la strinse a sé, incapace di parlare. Le baciò la sommità della testa e la cullò. Come aveva fatto un adulto a prendersela con una ragazzina?

«Mi vergogno così tanto. Quando lo sapranno i miei...»

Il giovane la allontanò dal proprio petto e si chinò per essere all'altezza del suo viso. I suoi occhioni pervinca lo guardavano languidi e tristi. Avrebbe volentieri preso quel fascista per il collo per fargli rimangiare ogni parola.

«È stata colpa mia se era stropicciato. Domani andrò a parlare con lui e gli spiegherò che non volevi mancargli di rispetto.»
E gli farò ingoiare la verga con cui ti ha percosso -  questo lo pensò solamente.

«Non è colpa tua, Fernando. Tu mi hai solo aiutato» sussurrò guardandosi le mani.

Il giovane la fece accomodare sulla sedia della scrivania e si allontanò per prendere bende e un oleolito d'erba di San Giovanni. Accese la luce per vedere di medicarla bene e si apprestò a massaggiarle l'unguento con delicatezza. Ricordava il dolore e l'umiliazione di quella battuta e sapeva bene com'era sentirsi in trappola. Se non fosse stato per lei, undici anni prima, sarebbe impazzito. Le bendò le mani, le fece un pizzicottino sulla guancia e lei ricambiò con un sorriso che lo intenerì. 

«Ora che sembri una mummia, mando Anna per cambiarti d'abito e poi ci raggiungi a cena... Stai diventando pelle e ossa a furia di non mangiare.»

Lei lo fermò toccandogli il braccio.

«Mi spiace se questi segni ti fanno ricordare una cosa brutta. Non volevo intristirti.»

Lui deglutì, cercando di trattenere la rabbia. Ester era più dispiaciuta per lui che per quello che le era accaduto. Quel bastardo l'avrebbe pagata.

«Parlerò io coi tuoi, adesso, prima che tu scenda. Fatti anche dare una pettinata» le sorrise e le scompigliò ancora di più i capelli.

Ester sedeva sul letto a guardare il fuoco del camino. 

I suoi erano stati più che comprensivi. 
Sua madre aveva pianto e, anche se si era passata la cipria, si vedevano i segni rossi attorno alle palpebre; suo padre aveva chiesto che gli venisse portato un limoncello a fine pasto, cosa che si concedeva soltanto la domenica, ma non l'aveva messa in castigo. 
Entrambi avevano visto le mani bendate, si erano offerti di aiutarla a mangiare, ma erano a disagio, forse perché, anche loro, ricordavano il benvenuto al nipote.
La conversazione era languita, avevano commentato un po' il tempo e fatto congetture sull'arrivo della primavera, ma nulla d'altro.

Il fuoco si stava spegnendo, avrebbe voluto aggiungere un altro ciocco, ma non sapeva come fare senza sporcare la fasciatura. Aveva paura di rimanere al buio, aveva paura di non poter studiare, aveva paura di finire sposata a un uomo che la considerasse una stupida buona a nulla se non per fare figli. Accese l'abat-jour e piegò le gambe tanto per appoggiare il mento alle ginocchia. Dopo un attimo, sentì bussare e la porta si socchiuse.

«Non dormi?»
Fernando entrò e richiuse l'uscio alle sue spalle. Il pigiama di seta blu scuro gli scivolava sul corpo mettendo in risalto i muscoli snelli. 
«Sono andati tutti a dormire, ma ho visto che tu hai la luce accesa. Hai freddo? Vuoi che ti metta un altro ciocco?»

«Sì, per favore.»

Armeggiò nel camino ravvivando la fiamma, poi si avvicinò al letto.

«Hai male?»
Le scrollò la testa e tornò a riappoggiala sulle ginocchia.
«Hai paura?»
Ester si domandò come facesse a leggerle dentro in modo così preciso.
«Quando successe a me, io avevo male ed ero terrorizzato.»

«Tu? Non è vero, sei sempre stato coraggioso.»

«La paura mi passò quando un angioletto biondo mi appoggiò una mano sul cuore.»

Ester sentì le guance scaldarsi e uno strano senso di vuoto all'addome.

«Peccato che siamo diventati grandi...»

Avrebbe voluto tornare bambina, anche solo per quella notte, ma era impossibile riavvolgere il filo del tempo. Fernando si piegò verso di lei, scostò la coperta e si infilò nel suo letto allargando le braccia, proprio come faceva quando erano più piccoli.

Ester lo guardò, era bello come non lo aveva mai visto e, per un attimo, temette che l'avrebbe allontanata come l'ultima volta.

«La tua ragazza non dirà nulla?»

«No.»

Si sdraiò posandogli la testa sul petto. Sentiva il cuore battere forte e, quando le sue braccia la strinsero, sembrò accelerare ancora di più.

«Fernando... so che non ti piace più dormire con me, ma stanotte mi hai fatto il dono più bello del mondo.»

«Cosa dici? Certo che mi piace, solo che quando si diventa grandi, un uomo e una donna dormono assieme da sposati.»

«Ma tu, spesso, dormi fuori... Hai chiesto alla tua fidanzata di sposarti?»

Lui la strinse costringendola a guardarlo in viso. 

«Ester, quando chiederò a una donna di sposarmi, tu sarai la prima a saperlo. Hai capito ciò che ti voglio dire?»

Annuì. Si sentiva strana, come anni prima. Le mani le facevano ancora male, ma meno, ora era più la pancia a darle fastidio, come se la spingesse a fare qualcosa, ma non sapeva esattamente che cosa.

Spenta la luce,  vi fu solo il debole chiarore del fuoco a illuminare la stanza. 

Fernando la sentì rilassarsi sul suo petto dopo aver incastrato una gamba tra le sue. 
Con indice e pollice le prese una ciocca bionda e ne tastò la consistenza, liscia e setosa. 

Si era addormentata.

Tuffò il naso tra i suoi capelli e ne aspirò la fragranza di tuberosa e lavanda. Averla tra le braccia era la cosa più bella che gli fosse successa nell'ultimo periodo, specialmente dopo che aveva saputo che alcune persone  stavano facendo domande sul suo conto e sui suoi progetti.
Per fortuna c'era lei. 
Sperava solo che nessun altro la violasse come quella mattina, che nessuno di quei signori che si credevano Dio in terra decidesse di sfruttare il suo buon cuore.
Sorrise della dolce ingenuità di sua cugina, non aveva nemmeno capito che lui si era dichiarato. 


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