V atto

Quando ho iniziato a leggere il diario, mi sono chiesta se quella ragazzina fosse completamente avulsa dal contesto storico in cui vivesse perché erano gli anni dell'ascesa di Benito Mussolini e lei non fece alcun cenno al fascismo fino al 1930. Non dico che avrebbe dovuto citare l'evento della marcia su Roma perché aveva nove anni, o il delitto Matteotti perché ne aveva undici, ma almeno la costituzionalizzazione del Gran Consiglio del Fascismo del 1928, quando ne aveva quindici... 

Giusto per non essere colei che tira la prima pietra pur avendo commesso lo stesso peccato, sono andata a guardare nei miei diari: della caduta di Berlino non faccio cenno, idem dell'inizio della guerra del Golfo né dei delitti di Falcone e Borsellino. 
Anche se non abbiamo una linea diretta di sangue, evidentemente, abbiamo la medesima (inesistente) considerazione per gli eventi storici e preferiamo immergerci nel Mondo Magico della nostra immaginazione. 

La Storia, però, non fa sconti e la nostra Ester si accorse, tutto a un tratto, di vivere in un'epoca dove la donna era considerata solo come moglie e madre. 

Quel giorno, la ragazza era tornata da scuola e si era fiondata nella sua stanza senza mangiare né salutare alcuno. La madre era andata a vedere se tutto fosse a posto, ma lei l'aveva allontanata dicendo che doveva studiare matematica per un'interrogazione del giorno seguente. 

Quando Terenzio rincasò, Imelda lo mandò a controllare la figlia, ma anche il padre venne condito via con poche parole. L'uomo, inoltre, aveva notato che la figlia non aveva mai alzato la testa dal libro e dai quaderni.

A cena, Ester non si fece vedere. 

I genitori erano sempre più preoccupati: la ragazza non aveva mai saltato l'appuntamento serale se non quando era ammalata e, anche in quel caso, aveva avvisato. 

Fernando, rincasato da poco, domandò cosa fosse successo mentre si accomodava a tavola nel sontuoso salone affrescato con scene dell'antichità classica. Imelda si portò il fazzoletto alla bocca cercando di trattenere le lacrime, azione che mise in allarme il giovane, mentre Terenzio sminuì l'accaduto, sebbene camminasse avanti e indietro facendo scricchiolare il pavimento a intarsi di legno. 

«Dice che domani deve essere interrogata in matematica e deve studiare.»

«Non si era mai comportata così...» singhiozzò la madre. «Forse potresti darle una mano?»

Era la prima volta in undici anni che Imelda chiedesse un favore simile al nipote.
Terenzio e Fernando la guardarono domandandosi entrambi quanto ritenesse grave l'atteggiamento di Ester. 
Il giovane scattò in piedi sorridendo nel vedere che sua zia si fosse un po' ammorbidita nei suoi confronti. Sebbene non l'avesse più apostrofato con epiteti demoniaci, percepiva che lo considerava una creatura infernale... anche perché, da quando era andato a stare con loro, il numero di rosari recitati in quella casa era aumentato considerevolmente. 

Fernando appoggiò il tovagliolo da poco steso sulle gambe e s'incamminò verso il piano di sopra. Procedeva con calma, pensando a quello che avrebbe dovuto dire. Non era semplice. 

Dalla notte di tre anni prima, il loro rapporto si era raffreddato. 
Lui preferiva frequentare i suoi colleghi di  università, lei le compagne di scuola. 
Durante le estati non avevano più ritrovato la complicità che avevano avuto da bambini sebbene fossero sempre molto cordiali l'uno con l'altra. Fin troppo cordiali, a dire il vero... Come se nessuno dei due osasse parlare di quello che era accaduto quella notte. 
Imelda era l'unica che fosse contenta del loro allontanamento.
Terenzio, invece, aveva cercato di indagare se ci fosse stata una causa particolare, ma aveva capito che fosse dovuto al passare del tempo e alla differenza di età. Era rincresciuto soprattutto per Ester perché, con Ignazio a farsi chissà dove, lei era, in pratica, rimasta figlia unica e priva di un'amicizia vera e disinteressata come quella che aveva avuto con Fernando. 

Il ragazzo bussò alla porta. Non sentendo nulla, provò a entrare. Era tutto buio, a parte la luce della scrivania su cui erano sparsi un libro, due quaderni, vari fogli scritti fitto. Il camino era spento e faceva freddo. Sua cugina, china sul tavolino in stile barocco, sembrò non essersi nemmeno accorta, poi alzò la testa di scatto si voltò, sgranò gli occhi e tornò subito a scrivere.

«Non voglio essere disturbata.»

«La zia mi ha detto che, forse, potrei esserti d'aiuto...»

«Sei l'ultima persona che voglio qui.»

Fernando s'accigliò: sua cugina non era mai stata scortese con nessuno e, soprattutto, non con lui. Le si avvicinò cauto e guardò oltre la sua testa per vedere cosa stesse studiando. Il foglio, pieno di macchie d'inchiostro, ospitava una tremolante parabola cancellata in più punti. 

Ester coprì l'esercizio con la mano, ottenendo solo di sporcarsi e macchiare ulteriormente la pagina. 

«Fernando, per favore, mi lasci studiare in pace? Non tutti sono come te in matematica.»
Il giovane sorrise perché aveva capito cosa le passasse per la testa. Uscì dalla stanza solo per andare a prendere un'altra sedia e sedersi accanto a lei.
«Non voglio essere aiutata. Voglio farcela da sola e, soprattutto, non voglio che tu stia qui.»

La guardava tenere gli occhi bassi sul foglio, aveva le spalle contratte, la mano destra stringeva il pennino con forza, come se cercasse lì la forza. 
Fernando cercò con gli occhi qualcosa che potesse essere d'aiuto. Quando riconobbe la sfera con le orecchie sorrise nel ripensare alla tenerezza di Ester da bambina. Si alzò e prese l'animaletto di pezza che giaceva immobile e abbandonato su una consolle accanto al camino, poi tornò da lei.  Allungò le dita per farle posare la cannuccia, le prese le mani tra le sue e la fece voltare verso di sé per metterle in braccio l'inseparabile amica d'infanzia. 

«Sono diventata grande, non gioco più coi pupazzi...»

«Ti ricordi quando ho insegnato a leggere a te e a Coco?»
Lei tolse le mani da quelle di lui, prese il coniglietto e annuì.
«Posso farlo anche con la geometria analitica.» 
La ragazza alzò gli occhi e lo guardò per la prima volta quella sera.
«Ester, ma quanto hai pianto?»

«Non ho pianto, ho sforzato gli occhi per leggere.»

Lui le fece un pizzicottino sulla guancia, un gesto che le ricordò il giorno in cui l'aveva conosciuta, e si domandò come fare perché smettesse di piangere. 

«Non vuoi mangiare qualcosa?»

«Ho lo stomaco chiuso» sussurrò appoggiando la mano all'addome. 

Fernando sentì la propria mano informicolarsi al pensiero di quando, anni prima, le aveva toccato la pancia e ingoiò a vuoto. 
«Il cervello ha bisogno di zuccheri... Dai, vai a sciacquarti il viso che sennò i tuoi si preoccupano.»

Ester sembrò titubante. Si voltò di nuovo verso la scrivania e, dall'ultima pagina del libro di testo, tolse un foglio protocollo piegato a metà e lo allungò al cugino.

Lui l'aprì: in alto a destra, in rosso, vi era un tre cerchiato un paio di volte. Lesse lo svolgimento con attenzione. 

«Ci sono cose che non hai capito, ma il tuo professore è stato molto severo.»

«Quando  gli ho detto che...»

La ragazza si mise di nuovo a piangere stringendosi nelle spalle. 

«Ester, dai, respira e dimmi cosa vi siete detti.»

Lei fece un paio di respiri profondi e parlò, con la voce incrinata. 

«Quando gli ho detto che volevo prendere il diploma e poi studiare per fare l'esame di ammissione per la facoltà di chimica, lui...»

Niente da fare: scoppiò in lacrime un'altra volta. Il giovane appoggiò la mano sulle sue per invitarla a proseguire.

«Lui ha detto che le donne non sono intelligenti e che ci sono studi sul fatto che non siano intelligenti e che una donna deve solo sposarsi e fare figli.»
Lo disse tutto d'un fiato, si asciugò gli occhi con un fazzolettino di pizzo bagnato fradicio,  si soffiò anche il nasino arrossato e riprese. 
«Gli ho chiesto di interrogarmi per rimediare e lui mi ha detto Domani perché tanto sono così stupida che nemmeno in un anno potrei capire le parabole.»

Fernando sgranò gli occhi che sembrarono ancor più demoniaci, strinse le mani a pugno senza accorgersi di aver stropicciato la prova di matematica e batté il pugno sul tavolino facendo sobbalzare fogli, libro, calamaio e pennino. Ester si rimpicciolì sulla sedia e strinse a sé Coco come faceva quando era piccola. 

«Non ce l'ho con te, piccola Ester.»

«Non sei deluso?»

«Non da te. Tu non mi deludi mai.»

«Tu sei così intelligente e io così...»

Non le diede modo di completare la frase perché le appoggiò l'indice sulle labbra. 

«Non dirlo più perché non è vero. Le idee che circolano da quando c'è Benito Mussolini al potere sono terribili, ingiuste, meschine. Soprattutto verso le donne.»

Scrollò il viso per liberare le labbra e ribatté disperata: «Sono io, invece, a essere stupida, non tutte le donne. Tu sei intelligente.»

«Dio mi ha dato il talento per i numeri, lascia che questo mio dono ti sia d'aiuto... Vedrai che riuscirai a capire le parabole meglio del tuo insegnante.»

«Dici che posso rimediare al tre?»

«Sei disposta a lavorare sodo, anche tutta la notte?»
Ester annuì e gli sorrise speranzosa.
 «Ci facciamo fare un caffè e portare dei panini?»

«Non hai mangiato nemmeno tu?»

«Come facevo? I tuoi mi hanno mandato da te non appena ho messo piede in casa...» 

Lei sorrise e scrollò il capo come se le fosse venuto in mente qualcosa di assurdo.

«A cosa stai pensando, ragazzina?»

«...Che sono tre anni che non passiamo una notte assieme.»

Fernando trattenne il fiato nel guardare la fossetta sulla guancia rossa di Ester. Sembrava reclamare un suo bacio, ma si trattenne, prese Coco e la riportò sulla consolle. 

 «Non sei più una bambina e domani mostrerai il tuo valore.»

Ester lo raggiunse e alzò la testa per guardarlo in viso. Per un attimo pensò che volesse abbracciarlo, ma rimase immobile, lì, nell'oscurità.

«Mi darai una mano per realizzare il mio sogno?»

«Puoi contare su di me, sempre. Per tutti i tuoi sogni.»

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