LIV atto
Ignazio il Capitalista guardò Fernando sdraiato accanto ad Ansgar e maledisse la stupidità di entrambi soprattutto perché erano la prova del suo errore. Aveva creduto di leggere nelle loro menti come nei loro cuori ed era sicuro che sarebbe riuscito a fare in modo che seguissero le sue orme, addirittura che sarebbero riusciti a superare le sue aspettative. Era certo che assieme sarebbero stati in grado di estendere i loro commerci facendo raggiungere alla sua famiglia un potere che avrebbe potuto influenzare i governi d'Europa e d'America.
La vista dei due cadaveri lo ripugnavano solo perché erano la prova del suo fallimento. Per un momento si domandò come mai non sentisse alcun rimorso e capì che era dovuto al fatto che non aveva mai provato affetto nei loro confronti. Se forse provava qualcosa verso il Tedesco per via delle sue origini aristocratiche e ariane, per Fernando nutriva, anche ora che era morto, un fastidio che, a tratti, sfociava nell'antipatia.
Durante la sua infanzia e adolescenza, era stato fiero di lui e dei suoi progressi in campo scientifico, ma la stima era diventata stizza quando aveva saputo che si era rifiutato di mettere mano a progetti di armamenti. Ignazio aveva intuito che il mondo stava scivolando verso un'altra guerra che avrebbe potuto essere ancor più devastante di quella precedente e la rincorsa ad armi efficaci e all'avanguardia sarebbe stata fondamentale per decretare il vincitore. Il giovane, però, aveva opposto un netto rifiuto e non aveva voluto mettere a frutto il suo innegabile talento per il progetto di sistemi che avevano lo scopo di uccidere.
Stupido! Tutto quel parlare di non volere uccidere, alla fine a cosa lo aveva portato? Ad ammazzare il suo rivale in amore... Tra tutti i validi motivi per mettere fine a una vita, quello sentimentale era il più patetico, l'unico che il vecchio non approvava.
Non se la sentiva, comunque, di addossare tutta la colpa a Fernando, perché aveva la vera colpevole sotto gli occhi: Ester. Anche nei riguardi di sua nipote aveva commesso un errore di valutazione, ma solo perché l'aveva sottovalutata per la sua ingenuità. Alla fine aveva capito: lei sembrava molto più ingenua di quanto lo fosse in realtà perché aveva un animo buono, pronto a vedere nel prossimo i lati positivi, capace di soffrire in silenzio pur di non causare sofferenza ad altre persone. E aveva le idee chiare riguardo a quello che avrebbe voluto fare: studiare chimica per dedicare la vita a migliorare la vita delle persone... Il mondo inneggiava alla guerra mentre Ester voleva salvare tutti!
Ma era sicuro che fosse veramente sua nipote?
Spostò lo sguardo su di lei provando un modo di odio viscerale verso il sangue del suo sangue.
E pensare che le aveva voluto così bene quando era bambina! Poi si era messa in testa di studiare e voler sposare il ragazzo di cui era innamorata, tenendo testa a tutti, anche a lui!
«È solo colpa mia» continuava a ripetere come se quella litania avesse il potere di risvegliare un morto. Comunque concordava con lei: era solo colpa sua se si trovava in quella situazione. Il suo candore, e non solo la bellezza, aveva ammaliato Fernando facendolo deviare dalla retta via. La ragazza, però, aveva fallito con Ansgar che, pur non essendo completamente indifferente al suo fascino, aveva mantenuto la relazione con suo nipote.
Mentre alcune parole provenienti dalla scala che portava alla cantina erano sempre più vicine, Ignazio comprese che, invece di tergiversare in pensieri improduttivi, avrebbe dovuto passare all'azione se desiderava mettersi al riparo dallo scandalo e infliggere una lezione memorabile a Ester.
L'avrebbe fatta rinchiudere in un manicomio e avrebbe fatto in modo che fosse legata giorno e notte con una camicia di forza. Chissà se, dopo un annetto in quelle condizioni, avrebbe imparato a non creargli problemi? Si sarebbe raccomandato solo di mantenere integra la sua bellezza in modo da poterla far sposare di nuovo a chi avrebbe deciso lui. Magari sarebbe tornata a essere la sua adorata nipotina ubbidiente...
«Ignazio, nasconditi a casa di tua madre finché non sarò io a ordinartelo.»
Ester guardò il fratello andarsene senza dire altre parole se non è colpa mia.
Ignazio si era alzato immediatamente non solo per ciò che gli aveva detto il nonno, ma soprattutto perché allarmato dall'avvicinarsi del conte Alessandro.
Quando la porta si aprì dietro le sue spalle, Ester si voltò per vedere il conte sorreggere suo nipote. Pietro si muoveva a fatica, era avvolto da una lenzuolo sporco, probabilmente l'unico trovato nella sua prigione, aveva i capelli scarmigliati, era scalzo e lo sguardo vitreo sembrava cercare quella luce che gli era stata tolta.
«È ferito. Devo portarlo in ospedale» disse risoluto l'uomo guardando il Capitalista, poi si accorse del secondo cadavere in terra e domandò spiegazioni con lo sguardo.
«L'assassino di Ansgar nonché il rapitore di tuo nipote aveva preso Ester in ostaggio e voleva scappare.»
«Grazie per aver vendicato l'onore della mia famiglia!»
La ragazza alzò lo sguardo per cercare quello di Pietro. Com'era possibile che non confutasse quanto aveva appena detto suo nonno?
Suo cugino, sdraiato a terra con gli occhi immersi nel buio della morte, aveva superato ogni avversità possibile per lei e ora veniva addirittura calunniato da morto?
Con le forze rimaste, Ester andò verso il ragazzino. Aveva ritardato la sua fuga per lui, aveva perso tutto perché si conoscesse la verità e ora non poteva finire come sempre, con la vittoria dei prepotenti sui più deboli. Riconosceva nel suo sguardo ciò che lei stessa aveva passato e voleva che entrambi avessero giustizia.
«Ho subito anche io violenza, come te. Ansgar mi ha stuprata e poi mi hanno costretto a sposarlo. So che anche tu vuoi che sia fatta giustizia: di' a tuo nonno chi è stato a rapirti.»
Pietro abbassò la testa e indicò i due cadaveri stesi a terra l'uno accanto all'altro.
«Vedi che anche tuo nipote indica quel vagabondo? Ci penso io a lei, tu affrettati verso l'ospedale» disse astutamente Ignazio, ma la ragazza non si fece impaurire. Il conte riprese a camminare tenendo il nipote sottobraccio per sostenerlo, ma Ester si mise davanti a loro.
«Io so cosa ti avrebbero fatto mio fratello e mio marito quando avrebbero finito di divertirsi, lo so perché l'ho visto.»
«Mia nipote è ammattita per la morte di Ansgar: per lei ci vuole il manicomio!»
«Se mai fossi impazzita, sarebbe per aver visto mio nonno sparare al mio unico amore.» Guardò ancora il ragazzino, poi il conte. «Mio fratello si nasconde a casa di mia madre. Se volete la verità, allora...»
Non fece in tempo a finire la frase che suo nonno la schiaffeggiò in viso con violenza facendola cadere a terra proprio accanto a Fernando. Nonostante sentisse la testa pulsare e la guancia ardere, ciò che le recava più dolore era la consapevolezza che l'uomo non provava, e forse non aveva mai provato, alcun affetto. Era mai possibile che nemmeno dopo quanto le aveva fatto, non avesse mai provato rimorso?
Strinse la mano fredda e rigida di Fernando, cercando in lui la forza per alzarsi ma, quando infine ci riuscì, vide che il conte aveva portato via il nipote. Le sue parole non avevano avuto proprio nessun peso?
«Perché proteggi Ignazio che è colpevole di diversi omicidi e alzi la mano su di me che non ho mai fatto nulla per contrariarti o deluderti?»
Suo nonno le si avvicinò lentamente e le mise le mani sulle spalle.
«Hai sempre disobbedito e hai sempre voluto fare di testa tua! Dov'è il rispetto che mi devi?»
«Io ti ho sempre rispettato e non ho mai fatto nulla contro di te. Tu invece?»
Invece di rispondere, il Capitalista alzò ancora il braccio e la colpì più forte di prima. Il secondo schiaffo la sorprese più del primo: sentì solo un rumore assordante e si ritrovò sdraiata sul pavimento con tale violenza che non si rese conto nemmeno di stare svenendo. L'ultima cosa che vide furono gli occhi spalancati di Fernando.
Giovanni, preoccupato che suo fratello e sua cugina non arrivassero, scese dalla macchina e spiò il palazzo rimanendo nascosto dietro l'angolo della strada. Vide entrare il nonno di sua cugina e, avendo sentito i racconti di Fernando, si domandò se non fosse il caso che li raggiungesse.
E se invece avesse solo rallentato la fuga? Non avevano mai considerato il fatto che loro non facessero ritorno, anzi Ester sarebbe dovuta rimanere lì con lui. Perché l'aveva fatta allontanare?
Il freddo gli fece battere i denti, forse era meglio tornare in macchina. Piegò le dita intirizzite e vi soffiò sopra per cercare di allontanare la paura che iniziò a provare. Non era quello il momento di soffermarsi in cupi pensieri, doveva solo avere pazienza.
Si voltò verso l'Alfa Romeo, quando udì uno sparò.
Il silenzio si rimpossessò della notte, non sembrava essere cambiato nulla. Nessun grido né pianto, i palazzi e la strada sembravano cristallizzati nella notte invernale. Lo aveva forse sognato oppure la sonnolenza gli stava regalando quell'allucinazione?
Non aveva sonno e non poteva nemmeno aver immaginato lo sparo così si incamminò velocemente lungo la via, quando l'arrivo concitato del conte Alessandro lo fece fermare e cercare riparo nell'antro del portone di una casa vicina.
L'uomo era venuto da solo, perché non aveva chiamato i carabinieri? Come avrebbero fatto, ora, Ester e Fernando a uscire senza essere visti?
Una volta che fu di nuovo solo in strada, uscì dal nascondiglio provvisorio e tornò al posto che stava piantonando perché, pensò, se le guardie fossero arrivate da lì a poco, come avrebbe fatto a giustificare la sua presenza?
Il tempo, che già prima sembrava immobile, divenne ancora più lento. Qualcosa non stava andando come avrebbe dovuto, ora ne era certo. Ma cosa avrebbe potuto fare? Chiamare lui stesso i carabinieri? Sì, non c'era altra alternativa... Fece per rimettersi in macchina, quando vide nuovamente il conte, questa volta uscire dal palazzo con sottobraccio quello che pareva suo nipote avvolto da un lenzuolo.
Giovanni sentì la gola seccarsi... L'uomo non aveva mai avuto l'intenzione di rivolgersi all'autorità: come mai? Provò a pensare a quale potesse essere la ragione e poi capì. Ignazio il Capitalista aveva saputo e, probabilmente, voleva aiutare il futuro genero a evitare lo scandalo. Chissà cos'avrebbe detto una volta scoperto che il nipote e Ansgar erano gli assassini?
Non fece in tempo a darsi una risposta che udì le urla di sua cugina e poi nuovamente silenzio. Senza pensare più a nulla, si mise a correre fino a quando vide Ignazio il Capitalista trascinare Ester tenendola per i capelli. Nello scorgerlo, lei fece per dire qualcosa, ma suo nonno la fece voltare verso di sé e la colpì in viso con la mano libera. La violenza di quel gesto immobilizzò il giovane cugino che rimase a fissare il vecchio con orrore.
«Allontanati, se ci tieni alla vita.»
Ignazio stava parlando con lui? Sì, a giudicare dalla pistola che aveva tolto dalla giacca e che gli stava puntando contro.
«Ti supplico, fai ciò che dice...» lo pregò lei con voce impastata. Aveva il volto tumefatto e, dal labbro spaccato, scendeva un rivolo di sangue.
«Dove la portate?» L'uomo non fece nemmeno segno di averlo sentito.«Dov'è mio fratello?»
Alla seconda domanda, invece, Ignazio si fermò e domandò alla nipote: «Chi è questo qui?»
«Non lo so!»
«Suo fratello era Fernando?» domandò ancora, strattonando la nipote così forte che lei urlò e si portò le mani alla testa.
Giovanni, a sentire il verbo coniugato al passato, fece un passo avanti, dimentico della minaccia.
«Lascialo andare. Lui non è nessuno... Nessuno!»
L'uomo armò il cane della pistola e lui sentì di non avere più molto tempo. Era vero che, quando si è prossimi alla morte, sembra di rivivere i momenti salienti della propria esistenza e si prova un forte rammarico per ciò che non si è avuto il coraggio di fare.
Lui non si era mai innamorato né era mai stato amato così profondamente come Fernando amava Ester.
Chiuse gli occhi e pregò di avere una seconda possibilità.
Fernando afferrò la mano tesa verso di lui e si rimise in piedi. Chi era stato ad aiutarlo? Si voltò e vide un uomo di spalle che fissava il tramonto e gli vennero le lacrime agli occhi.
«Dov'è Ester?»
Lui non avrebbe potuto trovarsi nell'agrumeto di Amalfi e non avrebbe dovuto essere estate e quell'uomo, che tanto somigliava a suo zio, non avrebbe potuto essere chi lo aveva accolto e trattato come un figlio a meno che...
«Non hai mantenuto la promessa» gli disse l'uomo. Aveva anche la voce di suo zio.
«Quale?»
«Quella di prenderti cura di Ester: ciò che mio suocero ha in mente per lei è peggio della morte.»
«Noi stiamo scappando, non può più farle del male.»
«Come fai a scappare se sei morto?» gli chiese indicandogli il corpo riverso sul pavimento. Fernando guardò in basso e, vedendo il foro di proiettile da cui era fuoriuscito il sangue, si toccò istintivamente il petto. La camicia era bucata ma non sporca. Si strappò i primi due bottoni e si ispezionò trovando una nuova cicatrice rotondeggiante che sembrava vecchia di anni. Alzò di nuovo gli occhi, si trovava ancora nel giardino di Amalfi, ma era inverno e la neve cadeva lentamente ricoprendo ogni cosa.
«Sono morto?»
«Non è la prima volta.»
Fernando chiuse gli occhi e rivisse gli attimi in cui stava per essere divorato da un'anaconda gigante. Provò di nuovo la paura di non poter vivere con Ester e urlò con tutta la rabbia che aveva in corpo, proprio come la notte in cui si ritrovò solo e sperduto nella foresta amazzonica.
Era già sopravvissuto una volta alla morte, non poteva soccombere proprio adesso che si erano ritrovati. Un secondo urlo, questa volta di sfida, squarciò il velo dell'irrealtà e lui si ritrovò a fissare il soffitto e le pareti spoglie del corridoio che portava alla parte posteriore del palazzo.
Si rialzò come se nulla fosse successo, senza guardarsi indietro, e si mise a correre così forte che fu in strada dopo quello che gli era sembrato solo un battito di ciglia.
Ignazio stava maltrattando la sua Ester e teneva sotto tiro Giovanni. Egli, accortosi del suo arrivo, alzò il viso e gli sorrise sorpreso.
«Sei vivo!» esclamò e questo bastò a far voltare il vecchio che trascinò con sé la nipote.
Fernando, non appena vide il volto tumefatto dell'amata, sentì montare una collera mai provata prima di allora. Chi era quell'uomo che si era arrogato il diritto di mettersi tra loro due e che, con la scusa dell'essere il capofamiglia, decideva la sorte di tutti i suoi discendenti?
L'uomo fece un passo indietro e gli fissò il torace.
«Tu non puoi essere vivo» e gli sparò una seconda volta, facendo spaventare Ester ancor di più di quanto già non fosse. Fernando scansò di lato, evitando di essere colpito, ma la sua furia non fece che aumentare. In un attimo gli fu vicino, afferrò il pugno avvinghiato attorno ai capelli della ragazza e lo costrinse a mollare la presa, poi circondò con le braccia il petto del vecchio e, saltando, lo cinse con le gambe all'altezza dei fianchi. L'uomo, colto di sorpresa per quelle mosse e messo alla prova dal peso oscillante del giovane, cadde a terra a pancia in giù. Batté le braccia e le gambe per liberarsi, ignorando che più si muoveva e meno possibilità avrebbe avuto di riuscire a respirare. Fernando aumentò la stretta con tutti gli arti.
«Demonio, lasciami andare» sussurrò l'uomo col residuo di respiro che aveva nei polmoni e, agitandosi un ultima volta, si rilassò a terra.
«Vuoi uccidere anche lui?»
La domanda di Ester gli fece allentare la presa. Ignazio era, al momento, solo svenuto e, se fosse stato per lui, non avrebbe avuto pietà. Non toccava però solo a lui decidere.
«Merita di vivere dopo tutto ciò che ci ha fatto?»
Ester, senza smettere di guardarlo in viso, si inginocchiò accanto a lui e sollevò una mano a toccargli le guance e le labbra.
«Sei proprio tu?»
Fernando allargò le braccia in un invito che lei accettò senza remore. Lo stava bagnando di lacrime e di baci, senza smettere di toccarlo e stringerlo a sé. Si distaccò solo per guardargli il torace, la camicia senza alcuna macchia di sangue, coi bottoni strappati e la cicatrice che, pur sembrando vecchia di anni, non gli aveva mai visto. Gliela sfiorò con la punta delle dita e gliela baciò.
«Com'è possibile?»
«Non lo so... Ma ti prometto che starò con te fino alla fine della nostra vita, se lo vorrai.» Le sfiorò le labbra spaccate e la guancia tumefatta. «Ti fanno tanto male?»
«Ora che sei vivo, non più. Andiamo via?»
Fernando indicò Ignazio: «E lui? Se lo lascio vivo, non smetterà di inseguirci... Ma farò come vuoi.»
Ester scrollò la testa.
«Noi non siamo mai stati come lui.»
«E tuo fratello?»
«Mio nonno ha detto che lo farà curare in Svizzera e, questa volta, non uscirà.»
I due si rialzarono, senza più badare al vecchio, ancora sdraiato in mezzo alla strada.
«La nostra vita ci sta aspettando da un pezzo» gli sorrise e lui la baciò facendo attenzione a non farle male.
Giovanni si era tenuto in disparte fino a quel momento, ma ormai la notte stava per cedere passo al giorno. Si avvicinò e tossicchiò per avvertire della sua presenza.
«Ti avevo creduto morto» disse squadrandolo da capo a piedi.
«L'erba cattiva non muore mai!» Fernando fece l'occhiolino a Ester e lei scosse la testa, ancora incredula.
«Come mai ci avete messo tanto?»
«La vita è una sorpresa continua. Non puoi programmare nulla che subito i piani vanno in malora.»
«Siete in ritardo di più di un'ora. Siete sempre intenzionati a fuggire?»
«Più che mai.»
Giovanni allungò le chiavi della macchina al fratello e indicò il Capitalista steso a terra.
«E lui?»
«Si sveglierà quando saremo ormai lontani.»
Si guardarono a lungo e gli occhi di entrambi diventarono lucidi.
«Ti rivedrò?»
«Dipende da te: ci raggiungerai?»
Per tutta risposta Giovanni lo abbracciò stretto, poi fece lo stesso con Ester. Forse lo avrebbe fatto.
Suo fratello e sua cugina si presero per mano e si misero a correre verso la macchina.
«Ti scriveremo!»
..............E non li rivide mai più.
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