LIII atto

Fernando distolse lo sguardo da Ansgar per concentrarsi su Ester. Non era in grado né di risponderle né di avvicinarsi, così si limitò ad osservare la cugina inginocchiarsi accanto al marito e scrollarlo per le spalle, cercando di decifrare i suoi sentimenti.

«Cosa gli hai fatto?» ripetè Ester una seconda volta e lui riuscì solo a ad alzare la testa. «Perché non si riprende? È morto?»

Lo era eccome!

Tukios gli aveva insegnato bene, col solo esempio e senza usare le parole.

Tukios era il cacciatore più abile del piccolo gruppo di Indios che si era preso cura di lui e che lo aveva accompagnato nel cuore pulsante della foresta dopo avergli mostrato come bagnare la punta dei dardi con la melassa scura che Mipé l'anziano ricavava con pazienza dal macerato di alcune liane. Il cacciatore riteneva l'allenamento una perdita di tempo. Fin dall'inizio gli aveva fatto affrontare animali temibili come il giaguaro e il caimano, probabilmente per metterlo di fronte alla paura della morte, che è la paura che impedisce di vivere e che permette di scoprire quali siano i motivi per cui si può uccidere. Tukios, però, non sapeva che era già morto una volta.

«Fernando! Non respira! Cosa gli hai fatto?»

Il giovane strinse il piccolo oggetto che teneva ancora in mano e lo sollevò per mostrarglielo.

«K-ourari. In Amazzonia lo usiamo per mangiare e difenderci.»

Nel lasciare andare le spalle di Ansgar, Ester vide un dardo spuntare dal suo collo e, istintivamente, mosse le dita per andare a toglierlo.

«Non toccarlo» le ordinò con fermezza il giovane correndo verso di lei per inginocchiarsi al suo fianco.

La ragazza si prese una mano con l'altra e abbassò il viso, incapace di guardarlo in faccia.

«Lo hai ucciso?»

Mipé l'anziano gli aveva mostrato tre vasi ricavati dalle zucche contenenti diverse ricette del k-ourari o, come veniva chiamato nel mondo civilizzato, curaro.

Anche se le parole che aveva imparato a conoscere della loro lingua erano poche, Fernando aveva compreso che l'anziano aveva tre diverse ricette: il k-ourari un albero, due alberi e tre alberi, una semplice catalogazione basata sulla velocità d'azione, valutata in numero di salti che una scimmia riesce a fare dopo essere stata colpita da una freccia avvelenata.Tukios gli aveva suggerito di usare il veleno più veloce e, come sempre, il perché della scelta aveva dovuto comprenderlo da solo. Quando si deve mangiare o ci si deve difendere occorre essere risoluti e rapidi. Non c'è tempo per i ripensamenti né bisogna giustificarsi davanti alla natura. Forse, però, avrebbe dovuto farlo con Ester.

«L'ho avvelenato.»

«Ma si riprenderà?»

Si rendeva conto che non le aveva dato alcuna spiegazione, ma non riusciva a trovare le parole per descrivere il marasma di pensieri che si ingarbugliavano nella sua mente.

Non poteva certo dire che era stato un caso né che non aveva mai pensato all'eventualità di doverlo fare: aveva intinto i dardi la sera precedente e aveva armato la piccola cerbottana in bambù poco prima di entrare nel palazzo del conte Alessandro. L'uccisione di chi avesse ostacolato la loro fuga l'aveva comunque considerata un'eventualità, anche se era stato tentato di usare il curaro poche ore prima, quando Ansgar aveva costretto Ester a fare ciò che non voleva. Se si fosse spinto oltre il bacio, non avrebbe esitato, a rischio di precludersi la possibilità di scoprire dove fosse stato rinchiuso Pietro.

Prima di quel momento lui aveva solo ucciso per mangiare e vedere il corpo immobile del suo antagonista gli ricordò la prima volta che aveva avvelenato una scimmia. La sua famiglia amazzonica lo aveva accolto come cacciatore, ma lui non era riuscito a masticare nemmeno un boccone di quello che aveva catturato. Eppure si era sempre nutrito di animali, anche se era stato abituato al fatto che gli arrivassero in tavola già macellati e cucinati... Aveva dovuto venire a patti con l'insindacabile verità che la vita è legata alla morte di altri esseri viventi, che fossero piante o animali in fondo non faceva alcuna differenza.

Uccidere un uomo, però, era tutt'altra faccenda.

Mors tua, vita mea. Il detto latino continuava a tornargli in mente, ma non gli era di conforto, soprattutto ora che lei gli aveva chiesto se il marito si sarebbe ripreso.

«Ester, tuo marito è morto.»

Vide la cugina tapparsi la bocca con una mano e i suoi occhi riempirsi di lacrime.

«Io non... Tu non sei...»

La voce uscì come un balbettio, ma Fernando comprese ugualmente cosa intendesse dire: lei non poteva credere che lui fosse diventato come suo fratello e suo marito, ossia un assassino.

Il giovane non riusciva a trovare accettabile la giustificazione dell'autodifesa, anzi, nel suo caso la situazione era peggiore: si era erto a giudice e carnefice. Aveva giudicato Ansgar colpevole e lo aveva giustiziato senza nemmeno dargli la possibilità di difendersi dalle accuse. Ma ne aveva il diritto visto tutto quello che aveva commesso?

Fernando si diceva che lo aveva fatto per Ester, era innegabile, ma, vedendo la sua reazione di repulsione quando aveva tentato di toccarla, si accorse con orrore che lei non lo guardava più con occhi sognanti. Aveva forse perso per sempre il suo amore?

Se avesse potuto scegliere nuovamente tra la vita dell'amata e il rischio di perdere il suo affetto, quale sarebbe stata la sua risposta? Una e una sola, senza dubbio alcuno.
Ora, però, non sapeva cosa dire per sistemare le cose tra di loro.

«Che cosa succede qui?»

La voce di Ignazio il Capitalista fu in grado di bloccare le congetture di Fernando. Questi si alzò per fronteggiarlo, l'essere di nuovo nella stessa stanza dopo tanto tempo gli causò una dicotomia: pensava che avrebbe provato solo odio nei suoi confronti, invece una parte di sé ritornò a essere quel bambino che voleva far breccia nel cuore di quell'uomo che, a dispetto di tutti, aveva riconosciuto il suo talento e gli aveva permesso di frequentare le migliori scuole. Perché si erano allontanati l'uno dall'altro? Solo i suoi sentimenti per la nipote? Cos'aveva trovato il vecchio di così sbagliato nel suo amare Ester in modo totalizzante?

La reazione del nonno alla vista di Fernando fu simile a quella avuta dal Tedesco. All'inizio non lo riconobbe, ma quando notò gli occhi di colore diverso la sorpresa si dipinse sul suo volto.

«Com'è possibile?»

«Non sono morto.»

«Questo lo vedo. Ma come hai fatto?»

Fernando si raddrizzò con fierezza, stringendo il pugno.

«Con fatica e solo per amore di Ester.»

La ragazza, ancora inginocchiata accanto al cadavere, sollevò la testa verso di lui, ma non fecero in tempo a scambiarsi nemmeno uno sguardo che la porta che dava sulla cantina si aprì e uscì il giovane Ignazio.

«Dio mio!» esclamò il Capitalista vedendo lo stato del nipote. Indossava una camicia spiegazzata aperta sul petto, dei pantaloni stazzonati e gli occhi saettavano da una parte all'altra del corridoio senza mai posarsi su nulla. Quello che aveva sconvolto il nonno, però, era soprattutto il fatto che fosse coperto di sangue. «Avevano detto che eri guarito.»

A quelle parole, Ester si alzò in piedi di scatto.

«Allora è vero, lo sapevi! E non hai fatto nulla per fermarli!»

Il nonno fece per andarle incontro ma lei lo fermò con la mano.

«Tuo fratello non è un assassino, è solo malato.»

«Malato?»

«L'ho mandato in Svizzera per farlo curare, ma tua madre mi ha pregato di riportarlo a casa. Deve subito ritornare là prima che si sappia...»

Ignazio il Cocainomane vagolava con lo sguardo lungo il corridoio quando si accorse dell'amico che giaceva sul pavimento. Con una bestemmia si accasciò accanto a lui a prendergli la testa tra le mani.

«Chi ti ha fatto questo?» piagnucolò, scosso da singhiozzi.

«In Svizzera? Va consegnato ai carabinieri!» disse Ester e poi si rivolse a suo fratello: «Pietro è ancora vivo?»

«L'hai ucciso tu per gelosia?» le urlò contro Ignazio stringendosi Ansgar al petto.

Quando la ragazza negò con la testa, incapace di proferire altro davanti all'amore disperato di suo fratello, Fernando le fu subito accanto per sostenerla, senza accorgersi che il vecchio aveva frugato nella tasca della giacca per estrarre una pistola e puntargliela contro.

«Allontanati dai miei nipoti e alza le mani. Ecco che abbiamo l'assassino da consegnare ai carabinieri.»

Ester si mise davanti al cugino per schermarlo col proprio corpo, sicura che suo nonno non le avrebbe mai sparato.
«Lui non ha ucciso nessuno.» 

Nell'udire la sua difesa, Fernando tornò a sperare che Ester avesse compreso il perché aveva dovuto farlo.

«E Ansgar?»

Non appena il Cocainomane sentì da suo nonno chi fosse il responsabile della morte dell'amico, venne preso da una furia cieca. Ester venne afferrata per i capelli e sbattuta a terra, senza che Fernando riuscisse a difenderla anche perché Ignazio aveva estratto un coltello per cercare di colpirlo a morte.

La ragazza si rialzò, convinta di fermare il fratello chiamandolo per nome, ma questi era accecato dall'ira e desiderava solo uccidere chi lo aveva privato del suo affetto, così quando capì che sarebbe dovuta passare all'azione, riuscì solo ad avvicinarsi per bloccare il braccio armato, ma la lama la colpì alla coscia, ferendola e facendola cadere a terra. Fernando, infuriato da quanto era appena accaduto, si avventò su Ignazio, colpendogli la mano con l'arma per disarmarlo. Quando finalmente riuscì a fargli aprire le dita, tirò indietro il braccio e gli sferrò un pugno sulla mandibola mandandolo KO.

Senza attendere oltre, Fernando fu subito accanto a Ester, preoccupato che potesse averla ferita in modo grave, si concentrò sul taglio dimenticandosi di tutto il resto: i pantaloni si erano inzuppati di sangue, ma il fendente non aveva colpito le arterie femorali, scongiurando il peggio. Felice che non fosse successo nulla di grave, la prese per le spalle e se la strinse al petto prima di baciarla sulla fronte in un bacio che tranquillizzò entrambi.

«Ti ho detto di stare lontano da mia nipote!»

«Stai calma, amore mio» le disse sottovoce per incoraggiarla poco prima di alzarsi per fronteggiare il Capitalista. «Lo vedete anche voi che devo portarla via da tutto questo.»

«Tu non andrai da nessuna parte.»

«Ce ne andremo e voi non ci fermerete questa volta.»

«Nonno,» lo pregò la ragazza col fiato corto, «ti prego, lasciaci liberi...»

Un tramestio lontano attirò la loro attenzione e, un attimo dopo, il conte Alessandro li raggiunse in corridoio con il volto preoccupato.

«I carabinieri stanno arrivando! Dov'è mio nipote?» disse trafelato, vedendo che Pietro non era tra i presenti.

«È in cantina. Quello che ho sotto tiro è il suo rapitore e l'assassino di Ansgar....»

«Non è vero» esclamò Ester, già temendo di non venire creduta. «Mio fratello e mio marito sono i responsabili!»

Il conte non la degnò di uno sguardo e si mosse subito verso la porta che portava al piano inferiore.

«Lasciateci andare» gli disse Fernando, con voce calma ma ferma. «Non avete già fatto soffrire abbastanza vostra nipote?»

«Tu non sei nessuno!»

Incapace di alzarsi per via della ferita, Ester piagnucolò una preghiera che non venne ascoltata anche perché un urlo proveniente dal sottosuolo fece loro intuire in che condizioni fosse stato ritrovato Pietro.

«Il conte si accorgerà che non sono io ad essere sporco di sangue e capirà che state mentendo...»

Senza attendere oltre, il Capitalista premette il grilletto.

Fernando abbassò lo sguardo verso il petto, incredulo di vedere una chiazza rossa allargarsi sulla sua camicia ad altezza del cuore. Ricordò la macchia che aveva visto sul torace dello zio Terenzio e pensò che non avrebbe dovuto dare un dolore così grande da affrontare a sua cugina. Spostò il viso verso di lei, desideroso di rassicurarla che non fosse successo nulla e che non avrebbe mai potuto abbandonarla. Vide i suoi occhi sgranati colmi di lacrime e le labbra articolarsi a dire qualcosa che però non riuscì a udire. Poi si sentì tradito per la seconda volta da quello che aveva in passato considerato anche suo nonno, sebbene di fatto non lo fosse... Mandarlo in America era una cosa, sparargli a bruciapelo un'altra.

Avvertì un dolore fortissimo al cuore, proprio come quando stava morendo in Amazzonia e, senza capire come, si trovò a fissare il cielo denso di pioggia, l'intrico di alberi e liane che aveva imparato a chiamare casa, le spire bianche di un'anaconda gigantesca.
Una scimmia gli fece il verso, un giaguaro saltò da un ramo a un altro con eleganza.
Tukios gli mostrò che bisognava sempre avere due cerbottane, entrambe armate.
Mipé l'anziano scrollò il capo e indicò sua cugina. Forse era arrivato il tempo dei saluti... Lui, però, era solo stanco, l'avrebbe salutata al suo risveglio.

«Ora anche tu sei sporco di sangue.»

Un approfondimento storico e farmacologico sul curaro.

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