LII atto
Ester salì lo scalone del suo palazzo accanto ad Ansgar senza dire nulla, proprio come durante il tragitto in macchina che era avvenuto nel completo silenzio visto che anche lui pareva immerso nei suoi pensieri. Al piano nobile, non proseguì verso la sua stanza, ma nella direzione opposta dove dormiva suo fratello.
Cercava di mettere distanza tra lei e il marito, non voleva ritrovarsi da sola con lui. Da quando avevano abbandonato la festa, sobbalzava al minimo rumore nel timore di essere stata smascherata. Ogni volta che lo sorprendeva a guardarla, poi, si immaginava che avesse scoperto che fosse senza intimo o, peggio, che trovasse le sue mutande nel corpetto, per non parlare del fatto che aveva addosso l'odore di Fernando. Poteva non essersi accorto di questo? O, forse, aveva mangiato la foglia, ma stava aspettando che fossero soli in stanza per dirle qualche cosa. Sempre che desiderasse solo parlare... L'avrebbe picchiata, violentata? Si sarebbe azzardato a ucciderla? Se chiudeva gli occhi poteva vedere il titolo del giornale col suo nome, l'accusa di adulterio e il plauso all'eroe che aveva ucciso una donna perduta.
«Dove vai?»
Ansgar la trattenne per una mano costringendola a voltarsi verso di lui.
«Hai detto che Ignazio non sta bene: vado vedere se ha bisogno di qualcosa.»
La ragazza non solo voleva evitare la presenza del marito, ma era convinta che sarebbe riuscita a sapere dove tenesse prigioniero Pietro.
«Era solo una scusa per tua madre.»
Ester si fermò, i capelli le si rizzarono sulla nuca.
«Dov'è?»
«Fuori.»
«Dove? Con chi?»
La mano del marito si strinse più forte attorno alle sue dita.
«Da quando ti interessa sapere cosa fa e con chi è Ignazio?»
Ester dovette deglutire un paio di volte prima di riuscire a rispondere.
«Voglio sgridarlo. Hai visto anche tu quanto ci sia rimasta male nostra madre.»
«È stato meglio così, a volte tuo fratello è solo imbarazzante.»
Ester cercò di decifrare l'espressione di Ansgar, era la prima volta che criticava così apertamente l'amico.
«Deduco che sia stato ubriaco o fatto, forse lo è anche in questo momento. Dov'è?»
«Non hai mai mostrato tanto amore fraterno come oggi, mia cara.»
Il marito la fissava in modo strano. Si domandò se non sospettasse che lei aveva scoperto il terribile segreto. Doveva stare più attenta.
«Gli farò la ramanzina domattina. Può aspettare, spero solo che non si metta in qualche guaio.»
«Non vuoi andare a letto?»
Quella domanda nascondeva un doppio senso, ma lei l'ignorò di proposito.
«Sono molto stanca, in effetti. Credo che dopo la toeletta mi addormenterò subito.»
«Sei molto emotiva questa sera... Anzi, è da un po' di giorni che lo sei.»
Ester tolse la mano da quella del marito per dirigersi verso la propria camera, desiderosa di mettere fine a quella conversazione in cui le parole sembravano allusive.
«Mi sto ancora riprendendo dalla malattia» gli disse aprendo la porta.
«Forse.» Con un gesto lento, lui appoggiò la mano sulla sua e le impedì di entrare. «O, forse, è qualcosa che non mi hai detto?»
La ragazza maledì suo nonno e chiuse gli occhi per cercare una scusa che non le si ritorcesse contro. Se avesse dichiarato di non essere incinta, chi poteva sapere se lui non lo avesse inteso come un invito a riprovarci quella sera stessa? L'idea che potesse toccarla, baciarla, entrare in lei come poco prima aveva fatto Fernando le fece venire voglia di piangere.
Perché aveva detto che avrebbe aspettato a fuggire per salvare Pietro? Che stupida era stata! Cos'era il nipote del conte per lei? Nessuno. E adesso stava rischiando di rimanere intrappolata in quella galera per colpa della sua malsana idea di sistemare le cose che andavano male nel mondo. Che differenza avrebbe fatto salvare una sola persona quando c'erano tante ingiustizie? Era stata stupida! Aveva voluto essere coraggiosa? Ora toccava a lei non urlare e piangere quando suo marito si sarebbe presentato nel suo letto.
«Mio nonno ha frainteso. Forse non ha capito veramente quanto male sia stata.»
Aprì la porta facendo forza sulla maniglia ed entrò, seguita dal marito.
«Stasera eri più bella del solito, te l'ho detto?»
«Grazie» balbettò, pensando di nuovo che avrebbe pagato per la sua stupidità un prezzo altissimo. «È stata una serata faticosa, non vedo l'ora di dormire.»
Non fece in tempo a finire la frase che il suo incubo si materializzò. Ansgar l'abbracciò stretta a sé e la baciò. Lei girò il viso, ma lui le bloccò la nuca con una mano costringendola a schiudere le labbra. Avrebbe voluto che Fernando apparisse per picchiarlo così forte da farlo svenire, invece era da sola in quella stanza a fronteggiare il mostro.
La lingua di Ansgar si insinuò nella sua bocca, provò disgusto in quel gesto che di intimo non aveva nulla. Quando poi la mano libera del marito si avventurò lungo la sua schiena, Ester capì che, se non l'avesse fermato, avrebbe scoperto il tradimento e, con la forza della rabbia, riuscì a spingerlo via premendo sulle sue spalle con la forza della disperazione.
«Ti ho detto che questa sera sono stanca!»
L'uomo era più sorpreso che altro dal gesto della moglie tanto che rimase a fissarla per qualche istante senza dire nulla.
«Non sembra che ti manchino le forze... Comunque sono stanco anche io. Buona notte.»
Rimasta sola, Ester si avvicinò al camino e cercò di scaldarsi, ma il freddo era soprattutto nella sua anima e quello era difficile da mandare via. Per poco non era stata scoperta e chissà cos'altro avrebbe potuto accadere.
Un lieve bussare la fece sobbalzare. Doveva essere Marta.
Quando le disse di entrare, si domandò se la cameriera avrebbe potuto sospettare qualcosa.
«Mi aiuteresti a slacciare il vestito?»
La ragazza ci impiegò pochissimo ma, quando fece per toglierlo, venne subito mandata a preparare una tisana al tiglio. Tempo che fu di ritorno, Ester si era lavata e aveva indossato una camicia da notte.
«Avete bisogno di altro, signora?»
Licenziata la cameriera, Ester riuscì finalmente a respirare profondamente. Bere qualcosa di caldo l'aiutò a sedare il tremore che sentiva e, finalmente, un sorriso le si disegnò sul volto quando il ricordo di ciò che aveva sperimentato assieme a Fernando fece capolino nella sua mente.
Chissà dov'era in quel momento? La stava pensando? Guardò il letto, immaginando di poterlo dividere con lui, non solo per dormire. Arrossì all'idea di vederlo completamente nudo e si immaginò altrettanto tra le sue braccia.
Chiuse gli occhi e, ricordando il suo profumo, si addormentò.
Sentiva la voce di suo padre provenire da lontano. La chiamava per nome con una nota divertita che le aveva fatto venire il sospetto che ci fosse una sorpresa pronta per lei. Era nell'agrumeto ad Amalfi, il sole le scottava la pelle e il cicaleccio era forte tanto da non riuscire a sovrastare le grida dei gabbiani. Aveva iniziato a correre in direzione della casa, la voce era stranamente sempre più lontana, quando ecco suo padre comparirle improvvisamente davanti.
«Ester, ti stanno aspettando tutti.»
«Perché?»
«Per il matrimonio. Fernando è convinto che tu non lo voglia più sposare.»
«Perché mai?»
«Perché è morto.»
«Ma come gli è venuta quest'idea?»
«Solo tu non sei ancora morta... Non perdere la speranza: morirai presto anche tu.»
Le carezzò la guancia con tale intensità che Ester spalancò gli occhi.
Sbatté le palpebre un paio di volte per mettere a fuoco la figura accovacciata accanto a lei.
«Sono io, tranquilla.»
Si era addormentata seduta al tavolo della toeletta con la guancia appoggiata alle braccia che si erano informicolate per la posizione viziosa e, quando si mise a sedere, si lamentò del fastidio.
«Certe cose non cambiano mai» sorrise mentre le massaggiava gli arti per riattivarle la circolazione.
«Mi sembra di avere degli alberi al posto delle braccia, non ho più forze» rise del proprio fastidio.
Fernando si fece serio e l'abbracciò.
«Ero qui quando ti ha baciata.»
Ester si scostò e, tremando spaventata, lo guardò in viso. Non lo aveva mai visto così furioso.
«Io non volevo farlo! Non devi pensare che...»
Lui le mise un dito sulle labbra per farla tacere.
«Non dirlo nemmeno per scherzo. Non è colpa tua, ma mia. Ti sto chiedendo scusa per non essere intervenuto.»
«Eri qui?»
«Se fossi uscito allo scoperto, non avrei potuto seguirlo, ma non permetterò mai più che ti tocchi. Te lo giuro.»
Ester annuì piano. Era delusa, ma non voleva darlo a vedere, così cercò di focalizzarsi nuovamente sul problema principale.
«Ansgar, quindi, non è nella sua stanza?»
«No.»
«E dov'è?»
«Con tuo fratello.»
«Dove?»
«Da un'altra parte.»
Ester batté il piede per terra.
«Smettila immediatamente! Dimmi dov'è.»
Fernando si massaggiò la testa con una mano e stirò il collo da una parte e dall'altra.
«È pericoloso.» La ragazza fece per aprire bocca. «Sono assassini e non possiamo affrontarli da soli.»
«Quindi?»
«Ho chiesto a Giovanni di avvisare il conte Alessandro, lui sicuramente manderà a chiamare i carabinieri.»
«E io?»
Fernando le accarezzò la guancia e la baciò sulla bocca.
«Ti prepari poi raggiungi Giovanni che ci aspetta nella mia macchina in via XXX.»
«La tua macchina?»
«La mia Alfa Romeo. Tuo padre l'ha regalata a me, non al secondo marito di sua moglie. Me la sono ripresa.»
Ester si mise a ridere e a battere le mani, ma subito si fermò quando vide Fernando allontanarsi.
«Non mi aspetti?»
«Vado a vedere che tutto fili secondo i piani e che i due non scappino. Non appena arriverà il conte, noi ci ritroveremo alla macchina. Nessuno farà caso alla tua scomparsa nel marasma che seguirà.»
«Il ragazzino?»
Il giovane si mosse verso la porta.
«È vivo e, presto, sarà libero grazie a te.»
«Dimmi dove sono?»
«Ci vediamo in macchina tra quindici minuti, alle tre esatte.» Quando la ragazza spinse in fuori il labbro inferiore, lui ritornò sui suoi passi per darle un altro bacio e le fece l'occhiolino. «Sei pronta a iniziare la nostra nuova vita?»
Era innegabile che poche ore prima Ester avesse maledetto la sua stessa idea di salvare Pietro e condannare i due manigoldi, ora però temeva di aver messo a repentaglio la vita di Fernando. Perché aveva rimandato la fuga?
«Tuo fratello ha detto alle tre... E sono quasi le tre e un quarto.»
Giovanni strizzò gli occhi per cercare di scorgere qualcosa nel buio della via e poi si voltò timido verso la cugina.
«Dopo che arriverà il conte, ci raggiungerà.»
«È passata quasi un'ora. Da quando l'hai avvisato: aspetta che gli uccidano il nipote?»
Giovanni si mosse sul sedile, a disagio. Ester aveva indossato dei pantaloni, un maglione e una giacca pesante eppure continuava ad apparire così bella che guardarla gli faceva male. Se solo fosse riuscito a trovarsi una fidanzata così, avrebbe smesso di correre dietro a tutte le sottane. Forse.
«Io vado a vedere come sta Fernando. Tanto mi basta andare...» Il ragazzo incrociò le braccia e nascose la testa tra le spalle, deciso a non completare la frase. «Sicuramente sono qui vicino, non sarà difficile trovarli quindi potrei scendere dalla macchina e...»
«...e mio fratello mi scuoierà vivo.»
«È l'uomo più mite che conosca.»
«Non lo è, se si tratta di te.»
Lei aprì la portiera per scendere, ma Giovanni la trattenne per un braccio.
«Non mi metterò nei guai: vado solo a vedere se sta bene e torno subito.»
Il ragazzo scrollò la testa.
« Eh va bene, sono nella cantina del tuo palazzo. Non devi scendere: mio fratello è nascosto di fianco alle scale che portano sottoterra.»
Erano quasi le quattro del mattino ed Ester, mentre entrava di nuovo nel palazzo, si domandò cosa stesse aspettando il conte Alessandro. Si stava mettendo in ghingheri? Era stato trattenuto dai carabinieri? Tra meno di un'ora la servitù si sarebbe svegliata e lei non poteva permettersi che qualcuno la incontrasse così vestita a quell'ora. Camminando sulle punte e senza accendere la luce, si diresse verso la parte posteriore della casa da cui era possibile scendere nelle cantine. Il chiarore che filtrava dalle finestre era assai poco, ma lei benedì la sua capacità di muoversi al buio senza far rumore.
Chissà da quanti giorni lo tenevano rinchiuso? Non dovevano essere più di un paio... Possibile che nessuno della servitù si fosse accorto? E se Pietro non fosse stato il primo ad essere imprigionato nel suo palazzo? Il pensiero le fece venire il singhiozzo e si dovette premere la mano forte sulla bocca per non infrangere il silenzio.
Doveva stare calma.
Riprese a camminare.
Aveva visto quella parte del palazzo una sola volta, subito dopo essersi trasferita, poi non ci aveva rimesso piede. Le sembrò assurdo non conoscere il posto dove abitava, forse perché non considerava quella casa sua, ma il luogo dove veniva tenuta prigioniera.
Superata un'altra porta, il corridoio divenne ancor più buio e, per procedere, dovette aiutarsi appoggiando una mano alle pareti. Ancora pochi passi. Aveva il cuore in gola e il fiato corto, ma sapeva che Fernando l'avrebbe tranquillizzata e, assieme, sarebbero tornati alla macchina. Nel silenzio della notte, sentì il rumore di un interruttore e si immobilizzò.
La luce improvvisa le fece chiudere gli occhi oramai abituati all'oscurità.
«Ma guarda chi mi sta venendo a trovare. Mia moglie.»
Aprendo prima un occhio e poi l'altro per abituarli al cambio di luminosità, Ester vide la figura di suo marito stagliata sulla porta che conduceva alle cantine.
«Non riuscivo ad addormentarmi così ho fatto un giro della casa» riuscì a balbettare in modo tutt'altro che credibile.
«Al buio, con una strana camicia da notte. Nuova?»
Ester si zittì e fece un passo indietro quando Ansgar si mosse verso di lei. Senza ulteriore indugio, girò i tacchi e iniziò a scappare, ma lui l'afferrò per la giacca.
«Stai ancora cercando tuo fratello?»
«No.»
«L'ho trovato, sai? Sta organizzando una festa al piano di sotto...»
Ester cercò di divincolarsi, ma lui tirò fuori una pistola nera di piccole dimensioni e gliela puntò contro.
«Non la toccare.»
Fernando, uscito dal suo nascondiglio, si fece avanti e Ansgar impiegò qualche momento a riconoscerlo. Persino la ragazza era stata lì lì per non farlo per via dell'espressione truce che gli aveva alterato i bei lineamenti. Aveva le mani strette a pugno lungo i fianchi, un piede davanti all'altro ed il busto sbilanciato all'indietro in una posa innaturale, ma la cosa più inquietante erano gli occhi, quello chiaro sembrava pulsare come una stella mentre quello scuro pareva ospitare lingue di fuoco.
«Nemmeno l'Inferno ti ha voluto? Non sei crepato dentro l'Amazzonia?»
«Non mi ripeterò. Se non vuoi morire all'istante, getta la pistola a terra e lascia andare Ester.»
Il Tedesco si mise a ridere, senza accennare al fatto di voler ubbidire.
«E come faresti a uccidermi? A mani nude?» domandò armando il cane e puntando la canna alla tempia della moglie.
Ester percepì un movimento repentino da parte di Fernando: aveva forse visto la lingua comparire tra i denti e le guance gonfiarsi come quelle di una rana, oppure aveva messo le mani davanti al viso come se volesse schermarsi?
Non fece in tempo a capire che Ansgar cadde a terra ai suoi piedi.
Guardò verso il basso: il volto contratto, gli occhi spalancati in un'espressione di terrore cupo e crudele, la pistola stretta ancora nella mano mentre le dita dell'altra si erano contratte a uncino.
«Cosa gli hai fatto?»
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