Il finto funerale
Lo zio Lucio si era messo in testa di fare ricerche serie sull'albero genealogico.
Fratello di mia madre, lo zio aveva sempre avuto grande curiosità e forte attitudine alla ricerca, così nonna lo mandò in seminario compiuti gli otto anni, cosa assai triste se vista con gli occhi di adesso, ma unica possibilità di studiare se si è appena sopravvissuti alla seconda guerra mondiale.
In matematica lo zio usava le dita anche per la tabellina del due, ma in campo umanistico collezionò lauree come figurine di calciatori. Scrisse la tesi sul Cadorna, Luigi o Raffaele non ricordo mai, fu il biografo ufficiale di padre Gapp, un martire marianista decapitato dai nazisti, scrisse un paio di libri di educazione civica e articoli vari di storia contemporanea.
Era un grande uomo, lo zio, sempre all'avanguardia, soprattutto in campo tecnologico, fatto che ha sempre scandalizzato i suoi confratelli. Mi sono dimenticata di dire che lo zio, alla fine del seminario, prese i voti e divenne marianista, ossia apparteneva all'ordine religioso istituito dal francese Padre Chaminade... un ordine che non si fila tutt'ora nessuno e che anche il correttore del computer cambia sempre in marinista.
Quando chiedevo allo zio di spiegarmi la differenza tra marianista e marinista, vocale a parte, si inventava sempre una supercazzola come solo uno che ha una laurea in filosofia può fare. Anche i miei cugini, figli dell'altro fratello di mamma, avevano provato a capire la differenza senza alcun risultato... ora che non possiamo più chiederglielo, potremmo googlare e risolvere il dilemma, ma nella vita alcune cose devono rimanere segrete.
Come uno degli enigmi di famiglia... scoperto proprio dallo zio. Lui lo disse solo a me e io lo racconto a voi, miei cari e fidati lettori. [Insomma alla fine conosceremo questo segreto scabroso in tre. Un paio d'anni fa, l'ho detto anche a mio cugino piccolo, ma si era appena fatto una canna quindi è convinto che non sia una storia vera - in effetti, possiamo non contarlo: rimaniamo in due.]
Torniamo alla prima frase:
Lo zio Lucio si era messo in testa di fare ricerche serie sull'albero genealogico.
Sottolineo serie perché ero appena stata a una fiera dove, per quindici mila lire, stampavano l'origine e l'araldica del proprio cognome. A dodici anni c'ero cascata e, quando dissi allo zio che la famiglia di mio padre discendeva dagli zar russi, mi dovetti sorbire una lezione sul come si fa ricerca in storia, subito seguita dal laboratorio di ricerca storica applicata.
In chimica, quando vai in laboratorio è semplice: prendi i tuoi reagenti, la bilancia, prepari la reazione, valuti i risultati con gli strumenti e ti esalti se esce tutto come previsto.
In storia non funziona così e il risultato è sempre incerto. Quando fai una ricerca genealogica e i parenti a cui chiedere hanno tirato la gambetta [Martina, tirare la gambetta vuol dire morire... ci sono altri lettori che non avevano mai sentito questa espressione?], si ricorre a quattro fonti fondamentali.
UNO: occorre innanzitutto andare a scartabellare tra le carte ingiallite e polverose della parrocchia.
DUE: domandare alle le fedelissime del prete, facilmente riconoscibili dalle imbarazzanti stonature dei canti durante le messe, donne che, proprio come le galline da brodo, più sono vecchie e meglio è.
TRE: le perpetue, la memoria storica dei fatti incresciosi.
QUATTRO: i sagrestani, di solito preti mancati che hanno barattato la loro vocazione per una scopata sotto giuramento.
Si chiama matrimonio, Andelon Curse.
... e dei sagrestani, di solito preti mancati che hanno barattato la loro vocazione per il matrimonio. [Meglio questa versione?]
Lo zio, che tirava fuori la sua nomina fittizia di monsignore quando gli faceva comodo,
[... non è sede, questa, per discutere degli astuti stratagemmi di un frate...]
entrò in sagrestia, accompagnato dalla sua consulente di numeri,
[la me stessa dodicenne che faceva i conti meglio di un calcolatore elettronico]
per consultare le carte relative agli atti di nascita e di morte dei suoi/nostri avi. [Per accertarci della veridicità della storia sugli avi da parte di padre, i famosi antenati zar russi, avremmo dovuto andare dall'altra parte dell'Italia, ma avevamo solo un pomeriggio a disposizione prima che mio zio ripartisse per il convento.]
Mi state chiedendo in cosa consistesse la mia consulenza in numeri?
Io ero una pedina fondamentale nella ricerca storica. Senza di me lo zio non avrebbe mai scoperto nulla! Gli servivo per rispondere a domande difficilissime del tipo «Se il Peppin era nato nel 1895, nel 1947 quanti anni aveva quando è morto?»
Le sagrestie conservano tutti gli atti di battesimo, comunione, cresima, matrimonio, morte con date, firme, croci al posto di firme, annotazioni a margine. [Se vi capitasse mai di poter accedere alle carte, a parte sviluppare un'allergia gravissima agli acari, lì presenti da ancor prima dell'invenzione del cristianesimo, ne uscirete sicuramente stupiti e con qualche scoperta.]
A dodici anni non ero il ritratto della gioia a sentire il prete parlare di fatti vecchi di decenni, in dialetto strettissimo, con lo zio auto-trasformatosi in monsignore, così andai nel cortile dell'oratorio a giocare, anche perché avevo adocchiato un ragazzetto carino con cui volevo sperimentare un po' di romanticismo.
Dopo un'ora, in cui non ero riuscita nemmeno a chiedergli il nome perché sembrava inspiegabilmente immune al mio fascino, lo zio comparve sulla porta che dava sul cortile per dirmi che era ora di andare.
Era sempre gioviale, ma ora anche la barba sembrava aver perso la sua naturale ispidezza e oscillava morbida e informe seguendo un insolito passo accelerato.
Era sempre chiacchierone, ma ora le labbra rimanevano sottili e sigillate.
Era sempre attento, ma ora mi aveva chiesto dove avessi parcheggiato la macchina.
Eravamo andati in bici perché nessuno dei due aveva la patente, io per i miei pochi anni, lui perché... non ho mai capito perché non volesse guidare, giuro che non lo so.
«Zio, non ho la macchina. Nemmeno la patente.»
«È ora che tu la prenda, non puoi farti scarrozzare sempre da tua madre.»
«Che cosa è successo?»
«Sei una ragazza sveglia, non puoi dipendere dagli altri.»
Lo zio era diventato cinereo e aveva proposto un gelato prima di tornare a casa.
«Cosa hai scoperto?»
Mangiava il gelato alla crema senza dire nulla. Poi, nel momento cui aveva addentato il cono, mi aveva fatto giurare di non riferire alcunché a mia madre per aggiungere, un secondo dopo, che era meglio se una ragazzina di dodici anni non sapesse certe cose.
La mia curiosità era alle stelle, ma, come spesso accade, più mostri di volere una cosa e più gli altri si incaponiscono nel non dartela, così feci finta di nulla... e lo zio ovviamente parlò subito.
«Tu sai che mio padre, tuo nonno, prima della prima guerra mondiale, soffrì la fame?»
Oddio che palle la solita storia: quando non volevo mangiare, ossia tre volte al giorno, mia madre sciorinava il suo repertorio di «Non sai cosa voglia dire la fame», «Avresti dovuto sentire i racconti di tuo nonno buonanima», «Ti do le formiche se non mangi: tuo nonno si è mangiato le formiche, altro che questo buonissimo minestrone!»
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Le formiche.
Mio nonno si era mangiato le formiche.
Lo so che in alcuni Paesi del mondo sono un piatto tipico, ma nel nord Italia, nei primi del novecento, non lo erano.
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«Zio, ti prego, la storia delle formiche del nonno la sentirò anche a cena... possiamo evitare e finire il gelato che almeno non è verdura?»
«Sai perché soffrì la fame?»
«Il bisnonno è morto lasciando la bisnonna da sola con due figli...»
«Non è morto.»
«Il bisnonno austro-ungarico? Quello bello della foto? Quello morto giovane?»
«Non è morto. Adesso sarà anche morto, sennò avrebbe...»
«Più di cento anni. Non sappiamo quando nacque, ma il primo figlio era del 1906.»
Lo zio usò le dita non impegnate dal cono per cercare di contare, ma lasciò perdere.
«Mio nonno abbandonò mia nonna, mio zio e mio padre che aveva sì e no quattro anni.»
«Ma la nonna non lavorava? Non poteva mantenerli?»
«Per questo devi diventare indipendente e prendere la patente! A inizio secolo, le donne non avevano nemmeno il diritto di voto; se lavoravano, guadagnavano poco e, comunque, nessuno avrebbe dato da lavorare a una donna abbandonata dal marito. Era scandaloso.»
Lo zio parlava, ma, assorto com'era, non sembrava ricordare che fossi la nipote dodicenne...
«La perpetua dice che sua madre le raccontò una storia folle che però sembra essere confermata dai documenti. La nonna era stata abbandonata, ma, per fortuna, il prete di allora si prese a cuore le sue sorti. Per mesi, aveva vissuto di elemosina e sarebbe finita a fare... vabbè di questo non parliamo... e così il prete organizzò un finto funerale.»
«Finto?»
«Nessuno aveva visto il morto. Sembrava che il cadavere fosse stato rinvenuto nel fiume e che il medico che firmò il certificato di morte fosse un vedovo con tre figli, molto interessato alla bisnonna.»
«Che fine aveva fatto il bisnonno?»
«Lo scoprirò. Ma non poteva scomparire e ricomparire cadavere sei mesi dopo. Dopo sei mesi nell'acqua sarebbe stato irriconoscibile! Aveva già cambiato una volta il cognome, italianizzandolo, quando era venuto in Italia.»
«Dici che tornò in Austroungheria?»
«... nell'impero austro-ungarico... Possibile, ma la Storia non si basa su congetture, ma su documenti. Il nonno è scomparso a ottobre del 1912, per ricomparire cadavere a marzo del 1913. La nonna si risposò dopo due settimane, nemmeno il tempo del lutto.»
«Si risposò?»
«Per questo il prete celebrò il funerale, avrà messo della terra nella bara, sennò non avrebbe potuto risposarsi col medico, lo stesso che aveva firmato il certificato di morte.»
«Ma la bisnonna era innamorata del vedovo?»
Solo allora sembrò ricordare che ero sua nipote e che, forse, non avrebbe dovuto parlare con me di quella storia. Mi appoggiò una mano sulla testa come a invitarmi a ragionare con la mente e non col cuore.
«Sarebbe morta di fame assieme ai suoi figli.»
Mio zio fece altre ricerche, ma non scoprì mai dove andò il fuggitivo.
Trovò, però, un'altra signora che si ricordava di una cosa che aveva sentito da bambina, ossia che la bisnonna non solo non andò mai al cimitero a trovare il primo marito, ma che, sul letto di morte, aveva voluto indossare nuovamente la vera che aveva tenuto appesa al collo per oltre quarant'anni.
Prima condividevamo questo segreto io e lo zio; ora che non c'è più, lo sappiamo io e te.
Il resto è storia.
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