Epilogo
Mio nonno Giovanni aveva costruito una palafitta in legno sulla spiaggia che dava sullo Stretto di Messina.
Nelle mattine d'estate, portava noi nipoti a pescare su un barchino a remi e, all'ora di pranzo, sotto una canicola inimmaginabile, allestiva una griglia su cui arrostiva verdure e il pescato (non pescavamo mai niente).
Era taciturno, di solito parlava mia nonna, ma un giorno che c'eravamo solo noi nipoti perché la truppa di adulti era a visitare il Museo di Reggio Calabria, ci raccontò di avere avuto un fratello morto in circostanze misteriose a Napoli. Ovviamente, tutti sapevamo della tragedia occorsa in famiglia durante l'Epidemia di Spagnola, avevamo conosciuto gli altri fratelli, ma di Fernando non avevamo mai sentito parlare prima. A quanto pare, solo nonna era a conoscenza della sua esistenza perché persino i figli non avevano mai saputo nulla...
Separati da piccoli dopo essere rimasti orfani, non si erano visti per un paio di decenni. Era rimasto stupito quando Fernando gli aveva chiesto aiuto, lo aveva rincontrato che era già uomo e «probabilmente, aveva avuto delle esperienze coi selvaggi così terribili che lo avevano lasciato un po' tocco.»
Gli erano venute le lacrime agli occhi e si era dovuto fermare più volte per riprendere fiato, ma voleva raccontare, questo lo avevamo capito, e probabilmente voleva un auditorium di innocenti che si sarebbero solo entusiasmati a sentir parlare d'amore, di morte e di imprese eroiche senza emettere alcun giudizio.
«Lo hanno trovato ucciso nel palazzo da sposata di nostra cugina. Era innamorato di lei, lui sosteneva che fosse ricambiato, ma io nutrivo dubbi che fosse tutto nella sua testa. Ester, forse, aveva rinunciato al loro amore dopo che lui andò a fare fortuna in America: sposò, infatti, un tedesco di stirpe nobile. Le cronache dell'epoca scrissero che Fernando uccise il marito teutonico e poi si tolse la vita. Però, io lo so, mio fratello non avrebbe potuto uccidere nessuno.»
«Ed Ester che fine fece?»
«Dicono sia morta in manicomio... Ho provato a cercarla, ma non l'ho mai trovata.»
Il nonno ci aveva nutrito con pane e pomodoro alla brace e noi avevamo pensato che il racconto fosse finito lì, però dopo essersi messo a bere il vino rosso che faceva un suo amico, uno di quei fermentati che al sud raggiungono come nulla i tredici gradi, aveva aggiunto una frase che, all'epoca, non capii.
«È solo grazie a mio fratello che voi esistete. Lui e nostra cugina erano così innamorati che il loro amore sconfisse la morte. Smisi di rincorrere tutte le sottane e mi misi a cercare l'unica donna che potesse evocare in me quella forza.»
Il nonno si era addormentato, la nostra curiosità bambinesca non durò fino al suo risveglio. Lui non ne parlò più nemmeno quando, anni dopo, gli chiesi cosa intendesse con l'amore sconfisse la morte. Rispose solo che non ricordava di averlo mai detto e che, comunque, era meglio se nessuno fosse venuto a sapere che, in famiglia, avevamo avuto un assassino.
Non ho più ripensato a quella storia fino a quando la lontana cugina dall'America mi ha contattato per dirmi che aveva il diario di sua nonna Ester e che le sarebbe piaciuto che io ne scrivessi la storia romanzata.
Il diario, però, finisce bruscamente quando Ester decide di seppellirlo, quindi il resto della storia mi è stata in parte narrata da mia cugina secondo il racconto dei veri protagonisti, in parte è stata ricostruita dalle cronache dell'epoca sia italiane che straniere, in parte è stata inventata da me.
Ester e Fernando raggiunsero il Sud America dove il padre del bambino che il prozio aveva salvato nell'Amazzonia lo stava aspettando per continuare il processo innovativo delle sue piantagioni. Divennero soci e anche la prozia lavorò con loro: contribuì a migliorare l'estrazione dello zucchero dalla canna e sviluppò un processo per liofilizzare il caffè. A quanto pare, Fernando l'aveva spinta a imparare la lingua e a iscriversi all'università dove si laureò in chimica.
Ebbero tre figli e undici nipoti.
Nel 1991, Ester si ammalò e Fernando la vegliò fino all'ultimo. Una mattina furono ritrovati l'uno accanto all'altro senza vita, con le mani intrecciate e il volto sereno.
La leggenda familiare vuole che nonno Fernando non sia mai morto... ed effettivamente potrebbe essere vera ma dobbiamo fare un passo indietro per capire il perché.
Quell'ultima mattina napoletana, quando Ignazio il Capitalista ritornò in sé, impiegò qualche minuto a capire cosa fosse successo e, soprattutto, a riprendersi dallo shock di aver visto Fernando vivo e vegeto davanti agli occhi, infuriato come non mai. Dopo essersi sincerato che il nipote disgraziato fosse al sicuro a casa di Imelda, chiamò i carabinieri e denunciò l'uccisione di Ansgar e il rapimento della nipote da parte di Fernando.
I carabinieri, però, trovarono due cadaveri nel palazzo di Ester, uno appartenente al Tedesco e l'altro proprio a Fernando. Quest'ultimo venne dichiarato morto per un colpo di pistola al cuore.
Ester fu cercata in lungo e in largo... Ignazio il Capitalista non sapeva veramente più cosa pensare e, dopo qualche giorno in cui capì che si stava rendendo ridicolo a sostenere che i due fossero fuggiti assieme, lasciò perdere e tornò alla sua vita.
Se venne trovato un cadavere di Fernando in Amazzonia nel 1930 non ci è dato saperlo, ma ne fu trovato uno a Napoli nel 1932 e un altro in Sud America nel 1991...
E se fosse riuscito a fare una "specie di muta" proprio come fanno i serpenti? E quindi, ogni volta, fosse riuscito a cambiare pelle e a fuggire?
Io ho una mia opinione, lascio al lettore la sua: comunque sia, le ipotesi non sono purtroppo verificabili e quindi ci tocca rimanere col dubbio.
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