4 - Gabriél. Vetri incrinati _02

Gabriél. 

Vetri incrinati

Dietro di lui, visibili nell'angolo dello specchio rotto in due da un'incrinatura, c'erano Jorgen ed altri due ragazzi.
Gabriél si voltò e appoggiò una mano sul lavabo, cercando di rielaborare rapidamente la situazione.
<Pure i rinforzi? Una singola giacca ha davvero rovinato l'umore generale, a quanto vedo.>

Riuscì a dare alla propria voce un tono divertito. Il cuore però gli batté contro il petto con battiti sempre più assordanti. Le palme della mani iniziarono a formicolare, ma frenò l'impulso di sfregarle contro i pantaloni. Non poteva permettere che vedessero il suo nervosismo. <Non vi consiglio di andare al centro commerciale: lì ne vendono fin troppe, di giacche. Rischiereste un inutile attacco di panico.>

Con gli occhi controllò la loro postura e la loro vicinanza alla porta. Al loro minimo accenno avrebbe dovuto reagire rapidamente. Tre contro uno non sarebbe finita bene. La salvezza del corridoio sembrò vicina e al contempo fin troppo distante.
Era stato troppo ottimista. Sarebbe dovuto andare direttamente in classe.

I due ragazzi che erano entrati con Jorgen erano i suoi tirapiedi preferiti. Oddvar e Terje.
Oddvar era uno spilungone dalle gambe e braccia troppo lunghe per il suo torso ed i suoi capelli avevano l'aspetto di alghe, sempre flosci sulla sua testa oblunga. Appoggiato al muro con una spalla, Terje era più largo che lungo. La mole massiccia lo rendeva perfetto nelle situazioni in cui bisognava usare la forza bruta. La pelle pallida, tendente al rosa sul collo e sulle orecchie, era sempre visibile in mezzo ai suoi capelli rasati, facendolo sembrare calvo.
Nessuno di loro rispose al commento che aveva fatto.

Gabriél rimase in attesa, i nervi sempre più tesi. Jorgen mosse la testa verso i cubicoli, gli occhi rivolti a qualcosa fermo nell'angolo opposto.
<Potreste uscire?>
Sarebbe potuta sembrare una richiesta garbata, se a pronunciare quella domanda non fosse stato Jorgen.
I due sconosciuti che erano entrati nel bagno prima di loro si spostarono in silenzio dal cono d'ombra in cui si erano rifugiati. Tennero gli occhi bassi. Non guardarono Gabriél se non per scoccargli una singola occhiata, carica di senso di colpa. Imboccarono la porta e sparirono rapidamente. Terje tirò fuori il proprio smartphone e controllò lo schermo. Lo mostrò a Jorgen, e poi uscì dalla porta.

<Ancora un attimo di pazienza.> fece Jorgen, avanzando con calma verso il centro della stanza. <L'ospite d'onore si è fatto attendere.>
Gabriél capì di colpo perché avevano aspettato e soprattutto perché Jorgen era stato così accomodante con il professore poco prima. La porta venne aperta dall'esterno.
Dietro agli occhiali quadrati, il volto dalla forma allungata, stravolto di paura, passò su tutti i presenti, fermandosi su Gabriél. Quando lo riconobbe i suoi occhi si allargarono, mettendo a nudo il bianco intorno all'iride.
Era Erik.

Gabriél si lanciò verso di lui ma, repentino, Jorgen lo afferrò per la vita e lo rigettò contro il lavabo. Con un suono sordo il suo fianco cozzò contro la dura ceramica. Il fiato gli fuggì dai polmoni in un grido spezzato.
<Non rendiamo la faccenda più complicata di quel che è.> fece Jorgen. Afferrò Gabriél per i capelli e sbatté la sua faccia contro il muro. <La regola è: nessun aiuto. Più proverai ad aiutarlo, più doloroso sarà per lui.>
<Vaffanculo.> fece Gabriél, tra i denti. <Gli ho solo dato la giacca, lui non ha...>

Jorgen ritrasse e risbatté la testa di Gabrièl contro il muro.
Un lampo di dolore scoppiò per un'istante dietro agli occhi di Gabriél. Lo zigomo gli bruciò come se qualcuno gli avesse premuto contro un tizzone ardente.
<Te l'ho detto: ci sono dei limiti.> La voce di Jorgen risuonò lontana, simile ad un rombo. <E tu li hai ignorati.>

Gabriél caricò un calcio all'indietro con tutta la forza di cui era capace. La sua scarpa impattò contro qualcosa di solido e la presa sui suoi capelli si allentò con un'imprecazione. Fu solo un istante. Senza alcun preavviso, venne strattonato verso il basso. La sua tempia premuta sul pavimento. Un ginocchio piantato in mezzo alle sua scapole; le braccia tirate indietro e bloccate dietro la schiena.

Sentì le proprie ossa scricchiolare e si lasciò sfuggire un sibilo di dolore.
Con la coda dell'occhio, vide Erik dall'altra parte del bagno.
Era bloccato a terra, sotto la presa ferrea di Oddvar. Non aveva più i pantaloni e la maglietta gli era stata sollevata fino al petto. Il suono di uno sciacquone, tirato più volte, fece capire a Gabriél dove dovevano essere finiti i suoi indumenti.

Terje tornò e con un pennarello disegnò un pene gigante sullo stomaco di Erik, il cellulare nell'altra mano a riprendere la scena. Erik gridò.
Gabriél tentò di liberarsi con uno strattone, ma Jorgen ripetè: <Decidi tu quanto farlo durare. Se rimani fermo, per lui finirà più in fretta.>

Cercò di svincolarsi, muovendo il torso, ma senza alcun risultato. La voce di Erik divenne un suono strozzato e piagnucoloso mentre veniva sollevato dagli altri due ragazzi, portato forzatamente vicino al lavandino pieno di acqua sporca e spinto a faccia in giù dentro al liquido verdastro.
Il suo corpo magro si tese, le braccia mulinarono penosamente, ma sia Terje che Oddvar lo tennero saldamente per il collo e le spalle. Le loro risate riempirono l'aria. Gli sciabordii divennero meno frequenti e, con la stessa forza con cui era stata spinta in basso, la testa di Erik venne sollevata e ritorta all'indietro.

La gola esposta si mosse come un pistone, cercando di rigurgitare il liquido ingerito con violenti colpi di tosse.
Non gli lasciarono riprendere fiato. La faccia di Erik venne immersa di nuovo, questa volta più a lungo. Le risate ripresero più sguaiate.
<Jorgen, falli smettere.> La voce di Gabriél risuonò disperata perfino alle sue stesse orecchie. <Falli smettere, maledizione!>

<Non diventare noioso.> fece Jorgen con uno sbuffò, <Non ti si addice.>
Gabriél scosse la testa, i muscoli esausti, la gola contratta. Avrebbe voluto che tutto quello finisse, che si fermassero. L'orrore prese piede dentro di lui: il nuovo anno si annunciava solo come una macabra prosecuzione del precedente. Si impose un autocontrollo estremo e rimase immobile. Incredibilmente, nel momento esatto smise di opporsi, sentì il peso di Jorgen farsi più gentile e leggero.

<Hai visto? Non era poi così difficile.>
Terje mollò finalmente la presa e Erik scivolò al suolo. Con sussulti scomposti, vomitò liquido misto a pezzettini di carta igienica. Tappandosi ostentatamente il naso, Oddvar gli tirò una sberla sulla nuca mentre Terje lo pungolava con la scarpa.
Erik piagnucolò, cercando di sottrarsi ad entrambi con movimenti scomposti, disperati .
Gabriél distolse lo sguardo. Non potendo fare altro, rimase disteso a terra. Provò disgusto per sé stesso.

Soddisfatti, Oddvar e Terje uscirono dai bagni, scambiandosi le foto sui rispettivi cellulari. Jorgen si alzò a sua volta e si diresse all'ingresso.
<Dai, tirati su, Gabriél. Non vorrai fare tardi a lezione proprio il primo giorno.> La mano di Jorgen gli scompigliò amichevolmente i capelli e Gabriél desiderò spaccargliela. <Sei uno studente modello, dopotutto.>

Scoccandogli un'occhiata cocente, Gabriél si alzò. Le osse gli dolevano e la testa era sul punto di scoppiargli. Barcollò e si premette la mano sul fianco, lì dove il bordo del lavabo lo aveva colpito. Guardò Erik e un'espressione di puro allarme comparve sul volto del ragazzo.
<No. No. Per favore.>
Con un solo braccio, Erik si trascinò penosamente sulle piastrelle, cercando di allontanarsi da lui.

Gabrièl gli si avvicinò con una mano tesa, per aiutarlo. Erik pianse e si raggomitolò su sé stesso.
<No. No. NO.> I singhiozzi divennero simili a rantoli. <Stammi lontano. Stammi... lontano>
Jorgen sorrise.
Il loro obiettivo era stato raggiunto.

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