zero ❪ PREFACE ❫


940 parole

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tre mesi prima del test attitudinale

Gli abiti eleganti e senza alcun tipo di piega l'avvolgevano come mai avevano fatto prima d'ora: se un tempo si era sentita protetta dagli occhi indagatori di persone che, forse, non conoscevano nemmeno il suo nome, adesso la stavano soffocando. La camicia, bianca, abbottonata sino al collo magro, le stringeva la gola, quasi impedendole di respirare normalmente. La giacca nera, legata solo in vita da un fiocco dello stesso colore della blusa, restringeva il movimento delle sue braccia che faticavano a star completamente ferme al loro posto. Insieme ai pantaloni color della pece alle scarpe alte con il tacco che non avrebbe dovuto indossare, la sua postura appariva scomposta, mentre camminava a passo svelto, quasi nervoso, si inclinava leggermente verso sinistra, sperando di trovare qualcuno a sorreggerla o che il resto delle persone presenti avesse ben altro per la testa invece che il suo portamento. I capelli lunghi e di un castano scuro erano stati legati in una coda alta che non lasciava spazio alle imperfezioni e che le tiravano le tempie facendo crescere sempre di più il mal di testa con il quale si era svegliata quella fatidica mattina di aprile. Il trucco era semplice e correggeva quelli che erano i segni di una settimana insonne, in cerca di risposte a quanto era accaduto, senza ricevere una parola di conforto o un qualcosa di simile ad una rassicurazione.


Camminava al centro di una navata sterile, spoglia di qualsiasi ornamento sfarzoso che potesse ricordare la giovinezza della quale tutti erano stati privati. Le uniche decorazioni presenti erano dei fiori rossi, dei quali si rifiutava di ricordare il nome, dinnanzi alla fotografia di Cora, quando il suo viso era capace di produrre un sorriso non completamente dritto o bianchissimo. Si ritrovò ad incurvare gli angoli delle labbra anche lei, anche se la sua apparente espressione di contentezza non somigliava per niente a quella della fotografia. L'amarezza aveva consumato ogni suo pensiero e continuava a farlo anche se con maggiore discrezione. Si ricordò del momento in cui quello scatto era stato prodotto e abbassò il capo, sconfitta da quelle memorie che avrebbe tanto voluto cancellare per sempre dalla sua mente oramai affollata solo dal suo nome e dalla sua risata cristallina che non era stata mai capace di eguagliare, neanche nei suoi momenti più liberi.


Dietro la sua figura traballante, quattro uomini della sua stessa fazione, senza alcuna espressione sul volto sbarbato, sorreggevano sulle loro spalle allenate una bara bianca, di una grandezza tale da contenere il corpo inerme di sua sorella. Non osò voltarsi neanche un secondo, non sapeva cosa sarebbe successo se si fosse concessa di guardare anche solo l'angolo di quel feretro. Sarebbe crollata, forse, oppure si sarebbe infervorata con chi non aveva fatto e non aveva alcuna intenzione di fare qualcosa per portare giustizia all'innocenza. Solo l'incrociare lo sguardo con quello della fotografia, l'aveva destabilizzata, pugnalata ancora una volta nello stesso punto che aveva determinato la morte della persona più importante della sua vita. Continuò con passo veloce, già immaginando nella sua testa i conseguenti rimproveri dei suoi genitori per questa sua lontananza dal cataletto di Cora, lasciando indietro gli uomini sperando che questi catturassero l'attenzione di tutti i presenti. I suoi occhi chiari restavano fermi in un punto imprecisato, non concedendosi l'onore di posarsi di nuovo sul viso di sua sorella, ma poteva comprendere come, al contrario, gli occhi degli altri vagavano per il piccolo santuario, posandosi più di una volta sulla sua figura.


Non capiva cosa volessero tutti da lei, Aurora, cosa speravano lei confessasse o dicesse a chi le chiedeva cosa fosse successo. Non capiva perché avrebbe dovuto sprecare più di due parole per qualcuno che non aveva mai calcolato la sua famiglia e lo stesse facendo in quel momento solo per risultare compassionevole al resto della fazione o perché avrebbe dovuto ascoltare le voci che la condannavano per non aver protetto Cora o, ancora, voci che l'additavano per averla persino uccisa. Aveva solo deciso di tenersi per lei tutto, cadere in un silenzio temporaneo che l'avrebbe salvata dal subire domande su domande su domande e che avrebbe, però, peggiorato la sua posizione che, in realtà, non le interessava minimamente. E come poteva essere qualcosa di importante quando sua sorella era stata uccisa? Accoltellata senza rimorso, più volte, senza mai fermarsi. Un omicidio a sangue freddo, l'avevano definito, programmato anche. Ma nessuno aveva aperto bocca, nessuno aveva suggerito le motivazioni perché nessuno sapeva. Cora era amata dalla maggior parte e indifferente solo ad alcuni, tutti erano rimasti folgorati dall'improvvisa notizia del suo decesso. Aurora era, invece, rimasta impassibile. Non aveva versato una lacrima davanti agli altri, non un lamento, nemmeno un momento di incertezza o debolezza nella settimana che aveva trascorso. Si accucciava nella notte, lontana dagli sguardi accusatori o di pietà e si lasciava andare, singhiozzando silenziosamente durante il corso del suo tempo da sola senza mai riuscirsi ad addormentare o a trovare un momento di pace.


La sua vista era leggermente corrotta da quelle che Cora amava chiamare nuvole trasparenti nei suoi occhi quando raggiunse la fine della navata e si trovò faccia a faccia con la fotografia. Annuì leggermente e sorrise mentre udiva il suono di qualcuno boccheggiare alla sua azione totalmente fuori posto. Distolse lo sguardo e si sedette in prima fila al fianco dei suoi genitori che scuotevano il capo, per niente soddisfatti da ciò che aveva appena compiuto.


Da quel momento in poi, Aurora non vide mai più Cora.






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