Capitolo 2

Camila atterrò all'aeroporto di Roma Fiumicino, dove sapeva che la stesse aspettando un rappresentante dell'ambasciata americana in Italia. Era così attenta a cercare quel benedetto cartello con scritto il suo nome, che non si curò di far attenzione alla marmaglia attorno a lei.

Fu per questo che, quando sentì un tonfo, non si rese conto di aver urtato una persona.

"Oh, mio Dio. Mi scusi, sono mortificata", disse allungando una mano verso la donna per terra, che, in quel momento, aveva tutti i capelli davanti agli occhi. Wow, pensò Camila. I suoi occhi erano rimasti bloccati ad ammirare lo sguardo profondo dell'altra donna. Nonostante fossero in un mare di gente, Camila riusciva a vedere il mare solo negli occhi della bellissima donna davanti a sé.

Erano due smeraldi perfettamente incastonati, probabilmente quello era uno dei tesori più belli al mondo. Le ricordavano tante di quelle storie sugli antichi dei egizi e sul potere dei loro sguardi. Si sentiva catturata, profondamente ammaliata, e non si era resa conto di star trattenendo un respiro fin quando non la sentì la voce roca della donna.

"Non c'è alcun problema, capisco che può essere confusionario questo posto. Ma, la prossima volta faccia attenzione a dove mette i piedi", disse la donna con un perfetto inglese. Solo allora realizzò di essere in Italia, e che, forse, quella persona sarebbe potuta essere del posto. Ma, non ebbe modo di chiederglielo, perché la donna già si era allontanata verso la direzione opposta. L'archeologa scosse la testa e riprese a cercare il suo cartello, facendo più attenzione alla gente attorno a sé.

Vide il cartello con il suo nome a pochi metri da lei e si affrettò a raggiungerlo. Il rappresentante l'aiutò con i bagagli e la scortò fino all'auto che l'avrebbe portata all'appartamento in cui avrebbe alloggiato per i prossimi mesi.

Nel tragitto dall'aeroporto alla sua nuova casa, ammirò la città dal finestrino e ne rimase sorpresa. I libri non le rendevano giustizia e sapeva che avrebbe dovuto lavorare, ma una città come quella non se la sarebbe mai persa.

Ciò che la spaventava era che avrebbe dovuto condividere l'appartamento con le altre cinque persone e sperava che non andasse tutto a rotoli. Non era abituata a vivere con altre persone che non fossero la sua famiglia, viveva da sola da quasi sette anni e ne era più che felice.

Era così persa nei suoi pensieri, che non si rese conto che fossero giunti a destinazione. Scese dall'auto e si guardò un po' intorno. Era diversa dalle vie di Miami, la strada non era asfaltata, ma fatta di grandi pietroni, che si ricordò essere uno dei simboli dell'Impero Romano. Il jet lag la stava già uccidendo. Era partita di sera e si ritrovava in una piena giornata di sole, tra le ore del volo e il fuso orario. Si sentiva già stordita e voleva solo farsi una doccia e buttarsi nel letto.

Gli ascensori le facevano paura, ecco perché decise di salire per le scale, mentre le sue valigie si facevano un bel viaggio verso l'alto con il suo accompagnatore. Sperava di essere la prima ad essere arrivata, ma si sorprese a vedere che, forse, era proprio l'ultima.

Entrando nell'appartamento, quattro persone le andarono incontro.

"Ciao, tu devi essere Camila. Aspettavamo solo te", parlò la più bassa. Aveva la carnagione chiara e capelli e occhi castani. Nonostante la sua statura, il suo viso dimostrava più degli anni di Camila, o almeno questo era ciò che aveva percepito l'archeologa. "Sono Jade e sono la più vecchia qui in mezzo a quanto pare, speravo che tu mi avresti salvato da questo onore", sorrise in direzione di Camila, che ricambiò allungando la sua mano.

"Sì, sono Camila e mi spiace non esserti d'aiuto", tutti scoppiarono a ridere.

"Ok, basta chiacchiere. Io sono Matthew, ma puoi chiamarmi Matt e lei – indicò Jade – è mia sorella, ma è una grande chiacchierona."

"Oh, smettila Matt, solo perché tu hai preso i geni calmi e dell'altezza, non significa che tu possa insultarmi quando vuoi", Camila guardò la scenetta con un sorriso sulle labbra e fece spola tra i due ragazzi. Le sembrava surreale che fossero fratelli perché erano completamente diversi. In comune avevano solo gli occhi castani, per il resto potevano anche essere completamente estranei.

"E solo perché tu sei nata sette minuti prima di me, non significa che puoi dirmi cosa devo fare. Sei comunque più vecchia", il suo tono era giocoso, ma sapeva che così avrebbe fatto infuriare sua sorella.

Jade sembrò volerlo incenerire con gli occhi, ma un'altra voce li interruppe.

"Già, fanno così da stamattina. Sono gemelli, ci credi? Ciao, io sono Mike", il biondino allungò la mano in direzione di Camila, che la strinse gentilmente.

"E io sono Andrew", un ragazzo rossiccio, che sembrava in piena pubertà per via dell'acne sul suo viso, comparve da dietro Mike. "Scusami, stavo bevendo un bicchiere d'acqua", ridacchiò.

"È un piacere conoscervi tutti", iniziò Camila, ma non si rese conto che nella stanza erano in cinque, il che significava che mancava un'altra persona.

Dall'ultima stanza in fondo al corridoio uscì una ragazza che si stava strofinando i capelli con l'asciugamano per cercare di asciugarli un po'. Arrivò all'ingresso e spostò l'asciugamano per conoscere l'ultima arrivata. Aveva avuto il piacere di conoscere gli altri quattro prima e stavano aspettando l'ultima per andare al congresso di benvenuto.

Appena i loro occhi si incontrarono, un sorriso di scherno si formò sul viso della ragazza dai capelli umidi.

"Sono contenta che non mi stia investendo di nuovo", disse con una leggera risata. "Le nostre strade si incrociano di nuovo, sono Lauren."

Tese la mano all'archeologa, che ricambiò il gesto.

"Sono davvero mortificata per prima, stavo cercando il -"

"È tutto okay", sorrise la corvina, sminuendo l'accaduto con un gesto della mano.

"Sono Camila", arrossì, stringendole la mano.

A quel punto, tutti tornarono alle loro cose e Camila rimase in piedi ferma all'ingresso, con le valigie al suo lato sinistro. Non si era accorta che il rappresentante le avesse lasciate lì e non si era nemmeno accorta di quando questo aveva lasciato l'appartamento, chiudendo la porta dietro la stessa archeologa.

L'unica rimasta lì era proprio la ragazza dagli occhi verdi, che, notando lo sguardo smarrito della castana, si affrettò ad aiutarla.

"Okay, ehm... sono l'ultima arrivata, ma i ragazzi mi hanno mostrato un po' la casa", disse con l'asciugamano umido in una mano e i capelli ancora un po' gocciolanti che ricadevano sulle sue spalle larghe. Tanti anni di sport le avevano formato un corpo scolpito, a discapito delle sue forme femminili. La palestra aveva reso i suoi lineamenti fisici meno delicati, ma Camila poteva ancora apprezzarne le forme mentre la sportiva le dava le spalle e camminava avanti a lei. Girarono subito sulla destra e l'archeologa si meravigliò. "Questa è la cucina ed è decisamente grande. Ma si sa, gli italiani sono molto devoti al cibo fatto in casa e non a preconfezionati come noi americani", ridacchiò e Camila sorrise al suo commento.

"Saranno pure strani, ma la loro cucina supera tutto. Ho sempre sognato di assaggiare una pizza in questo posto, sono una vera fan della pizza."

"Bene, questo non sarà un problema."

Camila vide quella che aveva appena conosciuto come Lauren avvicinarsi ad una porta di vetro e aprirla, per mostrare una vista mozzafiato, ed un balcone dal quale, affacciandosi, era possibile notare una immensa insegna che diceva, tra le tante cose, 'PIZZA'. L'archeologa spalancò la bocca e questo provocò una risata in entrambe le donne, che dopo poco continuarono il loro giro per la casa.

"In realtà non c'è molto altro, perché tutte le stanze hanno un bagno privato. Quindi il resto delle porte chiuse sono le nostre stanze", illustrò Lauren, e Camila cominciò a guardare una ad una le porte, trovandone solo due aperte, alla fine del corridoio che si affacciava sull'ingresso. Le due stanze erano una di fronte all'altra e Camila era proprio curiosa di vedere l'interno della sua.

Senza aspettare che Lauren le dicesse quale delle due sarebbe stata la sua nuova tana per i prossimi quattro mesi, si incamminò verso la fine del corridoio e si affacciò nella stanza sulla destra. Ma dei passi ed una voce la bloccarono.

"Ehm, quella è la mia. La tua è quella sulla sinistra. Ho lasciato la porta aperta mentre uscivo per presentarmi."

"Oh Dio, mi dispiace, non volevo farmi gli affari tuoi. Solo che pensavo che fosse questa, mi è venuto istintivo guardare in quella di destra e...", non finì la frase per l'imbarazzo e prese a grattarsi la nuca.

Lauren la guardò divertita e poi si appoggiò allo stipite della porta della sua stanza.

"Vado ad asciugarmi i capelli, prima di prendere un raffreddore. Se hai bisogno di qualsiasi cosa, non esitare a bussare. Benvenuta!", e si girò su stessa, per chiudere la porta. Camila rimase impalata a guardare la porta della corvina e si svegliò dalla sua trance solo dopo che sentì il rumore del phon provenire da quest'ultima.

Ripercorse il corridoio fino all'entrata e prese le sue valigie, per dirigersi verso la sua stanza. Non ci aveva ancora guardato dentro, e la sua prima occhiata la lasciò infreddolita. Non era mai stata una da casa piena di cianfrusaglie, ma le piacevano le case accoglienti, con foto appese alle pareti e colori caldi. La sua casa a Miami conteneva un sacco di foto, ricordi di lei e suo papà nei vari viaggi per il mondo, giornate divertenti passate con sua sorella e foto imbarazzanti di lei e Normani a qualche festa. L'ultima ad essere stata appesa era quella che ritraeva le tre amiche con i capelli bagnati, appoggiate al muretto della piscina in cui si trovavano, con le mani sotto il mento e sorrisi smaglianti. Gliel'aveva regalata Ally per il suo compleanno precedente ed era dell'estate di due anni prima, quando lei e Normani si erano laureate e quest'ultima aveva dato una festa nella sua casa. Ne aveva una persino con sua mamma, nonostante il loro rapporto distante.

Ma quella stanza davanti a lei era, letteralmente, vuota. Certo, quella della sua compagna al di là della porta non che fosse molto diversa; ma, comunque, l'arredamento e le parenti, tutti di colore bianco, la fecero sentire come se fosse nella camera fredda di un ospedale. E, diciamo, che non era il luogo che più preferiva, non dopo averci lasciato un pezzo di cuore.

Quel pensiero la riportò indietro ad un ricordo che ritraeva una versione di Camila sedicenne, seduta al lato di un letto, mentre manteneva la mano di una donna dal colore pallido e con il sorriso spento, ma sempre presente. Ogni volta che si guardava allo specchio, le sembrava di vederla. Le assomigliava così tanto ed era il suo vanto più grande. Ma la morte l'aveva strappata via da questo mondo, lasciando alla castana il vano ricordo, che con gli anni sbiadiva sempre più.

Per questo aprì una delle valigie, trovando come prima cosa esattamente ciò che stava cercando. La cornice con quella foto. A Miami la teneva sul comodino, e l'avrebbe tenuta nello stesso posto per i seguenti quattro mesi, con sé a Roma.

Dopo aver accarezzato il viso della donna sorridente che la stringeva nella foto incorniciata, scosse la testa e si asciugò le poche lacrime che si era lasciata sfuggire.

Impiegò l'ora successiva nel sistemare ciò che aveva portato con sé. Quando aveva fatto i bagagli, non ricordava di aver messo tutte quelle cose, ma almeno adesso la sua stanza aveva un po' l'aria di "casa". La bianca libreria attaccata al muro, sulla quale ricadeva la luce proveniente dalla finestra, era riempita per metà da libri di archeologia e libri da lettura. La scrivania al suo fianco adesso teneva il peso del suo portatile e di una tazza, riempita da alcune matite e un paio di penne. Aveva il vizio di tenere su i capelli con una di esse, e spesso le perdeva perché le cadevano dai capelli, o si perdevano nei meandri del pavimento sotto il suo letto. Spesso si addormentava con la stessa nei capelli, ma, la mattina seguente, la sua chioma era disordinata e le ricadeva sulle spalle; e, per quanto duramente si impegnasse nel cercare l'oggetto perduto per la stanza, finiva per non trovarlo mai. Questo l'aveva resa una fervida credente del mostro sotto il letto, che considerava un appassionato fan delle matite. Le cose erano due: o le collezionava, o le mangiava. Ma, finché restava sotto il letto senza farle male, le andava bene che rubasse le matite. Quelle posso sempre ricomprarle, ma non posso comprare una vita come nei videogiochi, era il suo mantra.

Aveva sistemato il letto con delle lenzuola che aveva portato da casa. L'odore del suo detersivo impresso nel cotone le dava l'impressione di essere al sicuro. Per questo, dopo essersi fatta una doccia, si buttò sul letto, impostando una sveglia per evitare di ritardare al congresso di benvenuto quello stesso pomeriggio, e si addormentò profondamente.

Sorpassando due porte, Lauren, invece, non riusciva a dormire per l'eccitazione. In mente, aveva ancora il sorriso smagliante di suo padre, che le aveva mostrato attraverso lo schermo del telefono, quando l'aveva chiamato per avvisarlo di essere arrivata tutta intera. E subito dopo, aveva telefonato Jake.

Nelle due settimane pre-partenza, erano tornati ad essere gli stupidi migliori amici che erano fino a dieci anni prima, con sorpresa di entrambi. In un attimo, avevano dimenticato tutte le dispute, tutte le liti e le faide tra loro, o meglio le avevano riportate a galla solo per ridere di quanto fossero stati stupidi e ciechi.

"Allora Lo, com'è l'Italia?", le aveva chiesto l'amico, appena il contatore dei minuti di chiamata aveva segnato i quattro zeri sul cellulare della studentessa.

"Ciao anche a te, Jake", gli aveva risposto, ridendo.

"Sì, sì, ciao. Ma dimmi, come sono le italiane? So, da fonti certe, che sono mozzafiato!"

"Jay, sono qui da forse un'ora? E tutto quello che ho fatto è stato salire su un taxi e dirigermi all'indirizzo dell'appartamento", disse seccata, nascondendo un sorriso. Quando aveva confessato a Jake che le piacessero anche le ragazze, lui non aveva battuto ciglio. Le aveva solo detto: "La ragazza del migliore amico non si tocca."

Ma quello era stato il motivo della loro lite ai tempi del liceo, anche se, tecnicamente, quella non era la ragazza di Jake. Ma, ormai, era acqua passata. Prima di quello, spesso si erano fatti da spalle l'un l'altro per conquistarne qualcuna, e a Lauren mancavano quei tempi.

"E, comunque...", aggiunse la corvina, "...ho intenzione di mettere la testa a posto, e sono qui per lavoro. Non ho intenzione di sprecare questa opportunità per qualche ragazza. Ancora non so come ringraziarti."

"Appena torni, mi aiuti a trovarmi una ragazza. Questo è il patto."

Lauren aveva riso per almeno un paio di minuti, il suo amico era rimasto lo stesso.

"E vedi di metterci meno di quattro mesi, perché quest'ateneo senza di te è una noia mortale. La regina malvagia mi ha già messo sotto con un progetto impossibile. Aiuto!"

"Lo sai com'è fatta. Ce ne ha assegnati a migliaia di quei progetti, anche questa volta ce la farai. Magari usalo per la tesi sperimentale", disse divertita, e, in quel momento aveva sentito varie voci nell'atrio. Per questo, aveva salutato velocemente Jake, promettendogli di richiamarlo il prima possibile, ed era uscita dalla stanza per presentarsi alla nuova arrivata.

Ed era, poi, rimasta piacevolmente stupita di scoprire che la nuova arrivata era la ragazza sbadata dell'aeroporto. Le aveva fatto tenerezza il modo in cui aveva iniziato a scusarsi, sputando parole alla velocità della luce. E aveva anche pensato a quanto fosse stata fortunata Camila, così si era presentata la castana, a scontrarsi proprio con lei. Non era mai stata una persona scortese con gli sconosciuti, almeno non lo era più da quando aveva letto una di quelle tipiche frasi da social, che, poi, aveva scoperto appartenere a Platone, la quale citava: "Ogni persona che incontri sta combattendo una battaglia di cui non sai nulla. Sii gentile, sempre."

Per questo non si era infuriata come ci si sarebbe aspettati. Dopo essersi allontanata da quella ragazza, aveva impiegato tutto il tempo nel taxi, con la fronte poggiata sul finestrino, ad immaginare il perché la castana, che adesso era una delle sue coinquiline, avesse urtato contro di lei. Fretta? Distrazione? Ad un certo punto, aveva anche sorriso all'idea che, probabilmente, l'archeologa era semplicemente una tipa sbadata. Ma, poi, aveva scacciato l'idea perché le sembrava la più assurda. Non sapeva di averci preso in pieno.

E mentre rimuginava su tutte queste cose, non si era nemmeno resa conto che le sue braccia, inconsciamente, avevano aperto l'armadio, che aveva sistemato qualche ora prima, per scegliere un completo con cui presentarsi al meeting. Non era una grande fan dei vestiti, anche perché, da classica archeologa, aveva l'armadio pieno di pantaloni comodi, pieni di tasche, felpe con cappuccio e scarponcini adatti a tutti i tipi di terreni. Però, sapeva anche che, l'essere un'archeologa implicasse un mucchio di congressi, la maggior parte del tempo noiosi, ai quali avrebbe dovuto sfoggiare un look più... elegante.

E, date le circostanze, si costrinse a scegliere un paio di pantaloni neri eleganti, con una camicia bianca con le maniche a palloncino. Ci abbinò una giacca nera lunga e, data l'aria fredda di febbraio in Italia, un cappotto nero ed una sciarpa color panna. Mentre applicava un leggero trucco sul suo viso, si prese il suo tempo per ammirarsi. Non sembro così male, ma, ovviamente, non avrei messo un vestito, parlò a se stessa nella sua mente e fu costretta ad uscire dai suoi pensieri quando un paio di tocchi gentili risuonarono sulla sua porta.

Prese il cappotto e la sciarpa, e aprì la porta.

Davanti a lei, una Camila a bocca aperta sfoggiava un vestito a maniche lunghe e collo alto di color panna, sotto ad un cappotto nero.

Quest'ultima si prese un paio di minuti per ammirare la corvina e poi si ricordò del perché avesse bussato alla sua porta.

"Ehm... le auto per portarci al congresso sono qui sotto. Siamo tutti pronti, e, da quanto vedo, anche tu. Possiamo andare?"

Lauren si mise il cappotto e la sciarpa, spegnendo la luce nella sua stanza e chiudendone la porta.

"Certo, possiamo andare. Prima le signore", disse sorridendo e facendo cenno con la mano a Camila di precederla.

Incontrarono gli altri quattro nell'atrio ad aspettarle e scesero tutti insieme. Si divisero nelle due macchine e si diressero alla Sapienza, una delle università di Roma più prestigiose, dove si sarebbe tenuto il meeting.




Come sempre, fatemi sapere cosa ne pensate e se credete sia il caso che continui.

Grazie!

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