Seven (Nation Army)

Il corpo di Ashton emanava un certo calore contro il mio petto, mentre sfrecciavamo tra le auto in coda. Era piacevole, rilassante, forse perfino familiare.

Scivolai con le dita sulla sua pelle, coperta dalla felpa e spostai il viso lateralmente, tenendo la guancia premuta contro la sua schiena.
Avrei potuto sentire il suo respiro, se mi fossi concentrata abbastanza. Presi un respiro profondo e mi concentrai solo sul battito del suo cuore che vibrava sul mio petto, annullando il rumore delle auto e delle moto, il vociare della gente e la musica dei locali.

Avevo bisogno di pace, di silenzio, di riflettere. Mi strinsi di più a lui, fingendo che fosse per paura di cadere.
Non ero il tipo di persona che amava gli abbracci o le dimostrazioni di affetto ma, come tutti, ogni tanto anche io ne sentivo bisogno.

E questo era uno di quei momenti. Avrei voluto dimenticare ogni cosa, pensare egoisticamente soltanto a me, ma non ci riuscivo.
Ero furiosa.

Mio padre avrebbe dovuto parlarmi prima della sua nuova ragazza, chiedere il mio parere su una simile azione, soprattutto considerato che era della nostra famiglia che si stava parlando. Non che avessimo mai avuto una vera famiglia, e quindi qualcosa da rimpiangere, ma un matrimonio avrebbe comunque stravolto ogni cosa.

Come poteva avere la faccia tosta di presentarsi con una ragazza incinta della metà dei suoi anni senza nemmeno avvisarmi con un po' di anticipo?

E probabilmente, anche sapendolo con un certo preavviso, mi sarei sentita male comunque. Perché per quanto mi potesse infastidire non sapere nulla della vita dell'unico uomo che rappresentava la mia famiglia, l'emozione che mi stava divorando dall'interno, centimetro dopo centimetro non era l'odio.
Era la gelosia.

Ero gelosa di una donna che era riuscita a conquistare il cuore di mio padre come mia madre non c'era mai riuscita, e come nemmeno io c'ero mai riuscita. E gelosa di quel bambino o di quella bambina che sarebbe nato tra poco più di due mesi prendendo definitivamente il mio posto.

Io non avevo mai avuto un padre o una madre, nessuno che seguisse i miei primi passi o che ascoltasse le mie prime parole. Nessuno che mi amasse nel modo in cui dei genitori dovrebbero amare i loro figli.

E ora questo bambino avrebbe avuto ogni attenzione, avrebbe avuto un padre e una madre e in particolare avrebbe avuto mio padre.
Era troppo da sopportare e soprattutto troppo da scoprire tutto in una volta a conti fatti con lei presente.

Sollevai il viso quando Ashton parcheggiò la moto di fronte ad uno stabile di media altezza. La vernice scrostata sulle pareti cadeva a terra, ricoprendo il marciapiede esterno di polvere biancastra.
Il tetto era ricoperto di lamiera e le finestre erano sbarrate, le tapparelle incastrate a metà altezza.

Accanto alla porta aperta c'era un uomo abbastanza anziano che fumava una sigaretta su una sedia in plastica bianca.
La pancia spuntava dall'orlo inferiore della maglietta bianca, stretta da un paio di pantaloni della tuta corti fino al ginocchio.

Esitai, seguendo con lo sguardo Ashton che scendeva dalla moto e si sfilava il casco rivelando i riccioli biondi, appiccicati dal sudore sulla fronte.
Si passò una mano tra i capelli, cercando di sistemarli, per poi voltarsi verso di me.

"Quando ti ho dato carta bianca non intendevo 'Portami a prendere qualche malattia mortale in un covo di topi'" mi lamentai, afferrando la sua mano tesa per scendere dalla moto.
Con lo sguardo caddi sui muscoli scolpiti del suo braccio destro, illuminati dal sole che ne accentuava le curve.

Con uno scatto violento mi trascinò verso di lui facendo aderire il mio viso al suo petto.
"Un'altra parola e me ne vado. E non so quanto potresti trovare piacevole la compagnia di quell'uomo" sibilò sul mio viso, indicando con la coda dell'occhio l'uomo seduto accanto all'ingresso.
Feci per controbattere ma lo sguardo gelido che i suoi occhi mi regalarono fu sufficiente a farmi tenere la bocca chiusa.

Mi liberai della sua stretta sul fianco e gli feci cenno di riprendere a camminare.
Cercai di tenere il passo, per non rimanere dietro da sola, e lo seguii verso la porta d'entrata, sbuffando.
Osservai il profilo delle sue spalle ampie, la schiena anch'essa muscolosa in una postura tesa mentre oltrepassavamo l'ingresso.

All'interno l'edificio non versava in condizioni molto migliori. Soltanto alcune pareti erano verniciate e un'altra era preparata per essere tinteggiata, il nastro adesivo che copriva il battiscopa e i bordi delle finestre.

Ashton mi prese una mano, notando gli sguardi di un gruppetto di operai seduti in un angolo, e mi trascinò in un'altra stanza.
Più che una stanza sembrava un camerino a causa delle dimensioni ridotte e la parete più lunga delle quattro era attraversata da una mensola che sosteneva un paio di cassaforti e delle scatole di cartone.

Iniziavo ad essere sempre più perplessa, ma non avevo il coraggio di lamentarmi con Ashton.
Cercai di fidarmi di lui, per quanto poco lo conoscessi, facendo una lista dei motivi per cui fidarsi di lui sarebbe stata una buona idea.
Prima di tutto, pur avendone avuto l'occasione più di una volta, non si era approfittato di me o del mio corpo, per quanto sembrasse comunque attratto da me.
Inoltre non appena gli avevo chiesto di venire a prendermi si era presentato all'indirizzo prestabilito senza esigere ulteriori spiegazioni.

Al momento quelle erano le uniche cose che mi venivano in mente e cercai di non pensare a come mi avesse drogata facendo passare il tutto per una sciocchezza, o come ancora avesse finto di avermi fatto un tatuaggio.

Per concludere, ero costretta a fidarmi di lui, e solo più tardi avrei potuto scoprire se questa sarebbe stata una buona o una cattiva idea.
Infilò la mano destra in tasca e qualcosa di metallico tintinnò contro i suoi anelli.

Ripescò una piccola chiave verniciata di nero dal mazzo di chiavi stretto tra le sue dita e aprì la prima cassaforte.

Il sangue mi si gelò nelle vene quando calate entrambe nelle mani all'interno della cassaforte ne risalì con due pistole.
Lo afferrai per una spalla.

"Sei impazzito? Cosa ci vorresti fare con quelle?" domandai, cercando di non urlare e controllando che non ci fosse nessun altro nella stanza "Mettile via, ti prego"

Ashton rise di gusto, sollevando la testa e guardandomi per un attimo, assaporando il mio sguardo confuso.
"Vedi, te l'avevo detto che sei una persona noiosa. Tranquilla, non uccideremo nessuno" sentenziò, appoggiandomene una sul palmo della mano, per poi frugare nelle scatole di cartone.

Ne tirò fuori due paia di cuffie professionali e, dopo aver richiuso la cassaforte, mi spinse fuori dallo stanzino.

Non avevo mai maneggiato una pistola ed ero pressoché terrorizzata, considerato che sembrava anche essere carica.
La strinsi riluttante tra le dita, sperando di non azionare il grilletto e spararmi ad un piede o ad una gamba.

La prossima volta avrei dovuto decidere da sola dove andare. Mi sarebbe anche solo bastato mangiare un gelato. Ma evidentemente Ashton aveva ben altri piani per la mente, e questi piani sembravano comprendere una pistola, un paio di cuffie e una baracca che quasi cadeva a pezzi piena di operai.

Mi passai una mano tra i capelli. Forse avrei dovuto chiamare Stacey al suo posto. E in realtà nemmeno io riuscivo a spiegarmi per quale motivo io avessi deciso di comporre proprio il suo numero.
Non eravamo nulla. Se l'avessi dovuto presentare a qualcuno non avrei nemmeno saputo cosa dire, non era il mio fidanzato, né un amico e non ci avevo nemmeno fatto sesso.

Lui non era nulla per me. E allora perché avevo chiamato proprio lui?
Forse era solo una sorta di sfida personale. Non ero abituata a dei rifiuti e forse non appena fossi riuscita a portarmelo a letto mi sarei dimenticata completamente di lui, o forse no.

Non mi sembrava stesse nascendo qualcosa tra noi e, come me, nemmeno lui sembrava interessato ad un rapporto che andasse oltre il sesso.
Quindi che genere di rapporto si stava instaurando tra noi due?

I miei pensieri furono zittiti dal tocco di Ashton che mi spinse oltre un'altra porta.
Mi ritrovai in un corridoio abbastanza stretto lungo solo cinque o sei metri e percorso sulla parete destra da una parete in vetro, attraversata da un paio di mensole sopra le quali erano incise delle finestre cave quadrangolari.

Oltre la vetrata si trovava una stanza quadrata abbastanza grande, sulla cui parete di fondo erano dipinti alcuni bersagli circolari.
Mi aveva portata a tirare al bersaglio?
Emisi un risolino nervoso, prima di infilarmi le cuffie per ripararmi le orecchie.

Ashton mi posò una mano sulla spalla.
Ci sarebbe stato da divertirsi.

Spazio Autrice.
Scusate per il capitolo esageratamente corto, cercherò di aggiornare velocemente per farmi perdonare.
Fatemi sapere se la storia vi interessa, a presto.

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